Kim Gordon The Collective
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Kim Gordon – The Collective

Kim Gordon deve aver fatto qualche strana macumba alla Dorian Gray, altrimenti non si spiega. Ritrovarsi a settant’anni (!) a rovistare e leccare i fondi più disparati delle categorie musicali, appiccicarli assieme come un promettente musicista visionario – e un pizzico fuori di testa – è uno smacco bello buono agli stronzi come il sottoscritto, col mal di schiena a ventott’anni e la testa fumante al minimo problema paratosi davanti.

Non è di certo l’eclettismo che ci sorprende dell’ex Sonic Youth, quello lo conosciamo decisamente bene: quel che meraviglia è l’abilità chirurgica con cui riesca ad essere totalmente moderna e attuale senza alcun bisogno di clichés o aiutini di sorta. Un adattamento alle lancette del presente non artificioso, bensì reale, vivido, distorto.. come piace a noi – e a lei, ovviamente.

E se “No Home Record”, debut in solo per la goddess di LA, pungeva e accarezzava in maniera alternata col suo crogiolo di influenze lasciato cucinare con molta calma ed in situazioni ben diverse – un disco più esplorativo, “giocherellone”, eterogeneo ma dall’ascolto fruibile e, in fin dei conti , scorrevole – l’ultimo “The Collective” sembra la voce compressa di un terremoto silente, il chiasso brutale di una società muta e ai limiti dell’implosione.

Scurissimo, claudicante, conturbante.. a tratti ingestibile: un sophomore che spreme l’incertezza delle persone e la cola su uno stampo amorfo, tentando di ricostruirne i confini tramite strane formule ottenibili solo trapanando virtualmente le menti e guardandoci dentro.

Un occhio acuto, quello della Gordon, scaltra nel saper trovare un punto di aggancio con le pulsioni e i ritmi di oggi – “BYE BYE”, primo singolo, spiattella lo spoken word su un beat noise/trap, “The Candy House” gioca col lo-fi e con basi hip-hop minimali, riallacciandosi a “Paprika Pony” – gettandolo, poi, in un tumultuoso abisso meccanico di echi industrial e deconstructed club (“I Don’t Miss My Mind”, “The Believers”), dove stagliante, come un’edificio brutalista, impera il noise, ora più spinto, calcato, incanalato tra refusi chitarristici soppressi da strati e strati di effetti (“I’m A Man”, “Tree House”) e tremori drone/dark ambient che fagocitano il lato più accessibile del lavoro elettronico che sta dietro al rap (“Psychedelic Orgasm”).

Kim Gordon prende le veci di un cinico mentore, cammina sulle acque nere del platter e parla, canta di sbieco, getta litanie in una sorta di monologo sconclusionato che, come un magnete, attira a sé i pensieri delle persone e li rigetta autenticamente su un pentagramma dalle linee completamente sfocate. Ai limiti, tra il Trent Reznor di “The Downward Spiral” e i clipping. Di “Visions Of Body Being Burned”, il lavoro della losangelina fa la spola tra i lati più intricati di generi semplici solo in superficie, messi faccia in giù e impiastricciati, a generare una velenosa confusione che altro non è che il ritratto più accurato possibile del mondo di oggi, ricolmo di inquietudine e di subdola paura.

“The Collective” è ostico e rumoroso, poco accogliente, difficile da digerire, eppure ha quel qualcosa di colloso che ti rimane nell’orecchio. Probabilmente è perchè ci ritroviamo nella sua lucida follia, o forse è perchè la voce di Kim Gordon pare una salvifica corda che penzola sull’abisso dei giorni nostri.

Tracklist

01. BYE BYE
02. The Candy House
03. I Don’t Miss Mind
04. I’m A Man
05. Trophies
06. It’s Dark Inside
07. Psychedelic Orgasm
08. Tree House
09. Shelf Warmer
10. The Believers
11. Dream Dollar

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