Un settembre prodigo di release oscure, per un numero post 100 da leccarsi baffi.

Aethyrick Death Is Absent 2024 7

Aethyrick – Death Is Absent (End All Life Productions)

La Triste Mietitrice,  sempre in agguato nell’ombra, può colpire con forza, agire inaspettatamente, ricevere un regalo da coloro che decidono di togliersi la vita, come il tastierista degli Ulver Tore Ylwizaker e Peter Kubik, una delle menti degli Abigor. Due recenti e dolorosi addii per commemorare i quali sembra cadere a fagiolo “Death Is Absent”, quinto full-length degli Aethyrick, duo finlandese costretto, vista la chiusura definitiva della label The Sinister Flame, a cercare un nuovo partner dopo anni di collaborazione con l’etichetta della propria terra natia, trovando subito casa nella francese End All Life Productions, sottodivisione della Norma Evangelium Diaboli. In un disco nel quale Gall Ed Exile riconoscono e onorano il ruolo provvidenziale della Morte, negandone, però, l’autorità sull’anima, i pezzi attingono a un black metal fortemente evocativo e radicato nei ‘90, le cui striature sinfoniche modello Dimmu Borgir allo stesso tempo amplificano e addolciscono una tendenza all’aggressività senza filtri superiore alle scorse release. Tremolo riffing, melodie, atmosfera: una formula tradizionale governata con la giusta freschezza da una coppia in saio rosso e cappuccio che di prosaico, fortunatamente, ha soltanto l’abito di scena.

Tracce consigliate: “The Fire That Sires The Sun”, “Beyond All Death”, “Only Junipers Grow On My Grave”

Geister

Geisterfaust – Geisterfaust (Crawling Chaos)

Dopo un paio di EP in modalità DIY, “Hang Them High / Foul Spine” (2020) e “Servile Mirrors Of Animosity” (2021),  i Geisterfaust, originari di Saarbrücken, offrono ora alle masse underground un debutto omonimo che sprigiona sconforto e pessimismo da ovunque lo si ascolti. Rilasciato sotto l’ala della label tedesca Crawling Chaos, “Geisterfaust” trasuda uno sludge nichilista e negativo, in cui le influenze black e doom metal si fanno sentire in maniera piuttosto invasiva, giusto per ottenebrare un’atmosfera già, per natura, avarissima di luminosità. Un po’ come se gli Hexis, i Sun Of Nothing e i Trptykon si fossero dapprima incontrati in sala prove al fine di improvvisare una o due canzoni degli Asphyx e poi avessero deciso di registrare il tutto con quanto più dolore e rabbia possibili. Le sei canzoni, pressoché priva di battute e di momenti orecchiabili, basano la propria virtù sul senso di angoscia e totale sofferenza che riescono a infliggere all’ascoltatore, potendo contare sia su un songwriting piuttosto solido sia su una produzione adeguatamente sporca e massiccia. Certo, sembra difficile credere che il responsabile della sgradevole cabina di cabina risponda al nome di Matthew Greywolf, ascia dei Powerwolf, eppure anche il chitarrista teutonico non ha resistito alla salda oscurità dei compaesani. Tossici.

Tracce consigliate: “Tyrant”, “A Kingdom Below”, “Death, The End Of All Human Suffering: Metamorphosis And Catharsis”

FJ 1

Förgjord – Perkeleen Weri (Werewolf Records)

I finlandesi Förgjord nacquero durante la seconda metà degli anni ’90, il medesimo periodo nel quale sbocciarono i grandi connazionali Behexen e Horna, ma per qualche ragione, compresi i frenetici cambi di formazione e di monicker, rilasciarono l’esordio sulla lunga distanza, “Ajasta Ikuisuuteen”, soltanto nel 2008, mantenendo, da allora, un ritmo costante di pubblicazione, tra split, EP e album. Un sound nero creato con cura e meticolosità e che oggi sembra raggiungere il proprio apice espressivo grazie a “Perkeleen Weri”, un platter nel quale ogni brano si incastona nell’altro in un insieme coeso e organico, rivelando una scrittura allo stesso tempo varia e compatta. La band si cimenta in un black metal crudo, veloce, gelidamente melodico, capace di accogliere brandelli di numerose influenze, dal rock al thrash, dal punk al funeral doom, dal depressive all’atmospheric, suggestioni che confluiscono entro un running time comunque serrato e conciso. Completano la sapida pietanza l’approccio minimalista e una produzione che, pur grezza, lascia trapelare alcuni sottili fioriture di complessità rilevabili nel lavoro delle chitarre e dei synth, con quest’ultimi che serpeggiano sommessi per rafforzare la sensazione di oscurità perenne. Il classico ben rivisto e corretto.

Tracce consigliate: “Silmäinkääntäjä”, “Käärmeenkieli”, “Raskas Veden Taakka”

God Dethroned The Judas Paradox

God Dethroned – The Judas Paradox (Reigning Phoenix Music)

Dopo un’ambiziosa e tutto sommato riuscita trilogia attorno al soggetto della Prima guerra mondiale, i God Dethroned, con l’ultimo album “Illuminati” (2020), tornarono a interessarsi di tematiche religiose, in particolare di carattere occulto/massonico, infiocchettandole di rimbrotti a sfondo satanico molto più aspri del sound proposto. Certo, causa i continui smottamenti della line-up e i capricci del singer e chitarrista Henri Sattler, il combo non ha mai più ripetuto gli exploit di inizio carriera, ondeggiando tra mutazioni stilistiche spesso deleterie dal punto di vista artistico. I batavi, ora, nel nuovo album “The Judas Paradox”, provano a mettere insieme le varie anime che li contraddistinguono sin dal 1992, combinando quella matrice thrash di marca Slayer da sempre impressa nel loro DNA a un blackened death metal dalle discrete sfumature doom, con sostanziose incursioni nell’heavy classico capaci, di fatto, di conferire al tutto un’atmosfera diversa dall’usuale, ricordando, per molti versi, lo stigma arioso degli ultimi Rotting Christ. Up e mid-tempo, gli uni vigorosi, gli altri orecchiabili, si alternano su liriche intrise di odio anticristiano e, malgrado a volte monti l’impressione che il meglio i nederlandesi lo abbiano già dato, il disco, pur con le sue lacune, riesce a tenere viva l’attenzione dei navigatori auricolari dell’estremo.

Tracce consigliate: “The Judas Paradox”, “The Rat Kingdom”, “Asmodeus”

to the grave everyones a murdere

To The Grave – Everyone’s A Murder (Unique Leader Records)

Come la copertina del loro nuovo album suggerisce, i To The Grave sono tornati a reclamare i diritti per gli animali con una violenza e un’unità d’intenti davvero pregevoli. Significativa la circostanza che questo come back giunga soltanto a un anno di distanza dall’altrettanto sanguinario “Director’s Cut”, un disco che ha rappresentato un notevole passo in avanti compositivo rispetto al pur buono “Global Warning” (2019). Benché di primo acchito artwork e tematiche possano far pensare ai Cattle Decapitation, “Everyone’s A Murder” vede gli australiani proseguire sulla strada dello scorso lavoro, cementando la propria visione di un vegan deathcore caustico e spietato, tanto tradizionale quanto aperto a influenze varie, che vanno dai Dying Fetus ai Thy Art Is Murder passando per briciole di industrial e di una distorta psichedelia. Un opus, dunque, che, corroborato da suggestioni molteplici, riesce a tenere sotto controllo potenza e breakdown, con il singer Dan Evans capace di sprigionare dalle corde vocali una voracità e una ferocia da fuoriclasse, contribuendo non poco ad alzare l’asticella qualitativa dei brani. Gli ospiti al microfono Connor Dickson, Siantelle Johns, Michael Kearney e l’attivista Sophie Wilcher, impreziosiscono un platter che gradirebbe condurre al mattatoio gli esseri umani.

Tracce consigliate: “Set Yourself On Fire (In Public)”, “DxE Or Die”, “Burn Your Local Butcher”

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