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Dying Fetus – Make Them Beg For Death

Le sicurezze cui affidarsi ciecamente nel corso della vita appaiono davvero esigue; una di esse coincide con la pubblicazione di un disco dei Dying Fetus, all’ascolto del quale perdere la testa potrebbe assumere contorni non soltanto metaforici. In verità, gli scorsi due lavori, “Reign Supreme” (2012) e specialmente “One Wrong To Fuck With” (2017), benché buoni, mostravano comunque un songwriting non sempre originalissimo e spesso accartocciato su sé stesso, conseguenza di una chiara stanchezza diffusa, dopo lustri trascorsi a percorrere milioni di chilometri in tour piuttosto che concentrarsi in studio senza fretta né scadenze da rispettare.

In “Make Them Beg For Death”, però, gli statunitensi attestano di aver profittato alla grande della pausa pandemica e, con una formazione a tre ormai stabile dal 2007, tornano a dilaniare le carni altrui attraverso quella mistura di technical/brutal death, grind e hardcore che costituisce la cifra stilistica precipua e inconfondibile della band di Baltimore. Una sintesi, fonte di ispirazione per la successiva scena deathcore, che raggiunse il proprio apice in “Destroy The Opposition” (2000), sia a livello musicale sia lirico, con testi di natura socio-politica di raro acume e profondità: combo compositiva ripresa negli anni a venire, malgrado i testi si siano progressivamente spostati verso una rappresentazione cinica e iperviolenta della quotidianità metropolitana.

Nel nono platter, il gruppo intreccia storie di efferato carattere slasher – la cinematografica cover docet –  a un sound che preferisce concentrarsi sull’impatto e il groove invece di dare spago agli eccessivi ghirigori tecnici colpevoli di appesantire sin troppo gli episodi recenti, convogliando l’insieme entro una rete di autocitazioni per la massima parte tratte dagli LP di metà carriera, con “Descend Into Depravity” (2009) in prima fila. Un full-length snello, dunque, in grado di andare dritto al punto e che contiene almeno qualche elemento distintivo in ciascuna sua canzone, a parte, forse, “Enlighten Through Agony” e “Raised In Victory/Razed In Defeat”, di ottima fattura e ruffiane il giusto, eppure interscambiabili con qualsiasi pezzo di “Stop Of Nothing” (2003) o “War To Attrition” (2007).

L’aura malvagia di “Compulsion For Cruelty”, la velocità spaccaossa di “Feast Of Ashes”, la potenza corrosiva di “Throw Them In The Van” – probabilmente la migliore traccia lampo dai tempi di “Kill Your Mother/Rape Your Dog” – , la crudeltà crescente e l’assolo spettacolare di “Unbridled Fury”, la natura sardonica e malata di “When The Trend Ends”, le vorticose modulazioni ritmiche di “Subterfuge”, manifestano la capacità del capo tribù e macina-riff John Gallagher di mantenere sempre viva l’attenzione, anche grazie a un’orecchiabilità di fondo che corre lungo lo scheletro armonico dei brani. Certo, nonostante Sean Beasley maneggi il basso come una chitarra ribassata, una seconda ascia avrebbe giovato molto alla causa in tante situazioni, ma la produzione vigorosa dell’esperto Mark Lewis e una prova monstre dietro le pelli di Trey Williams provvedono a bilanciare una generale mancanza di pienezza, riscontrabile soprattutto, per tipicità intrinseche, in “Undulating Carnage” e “Hero’s Grave”.

I Dying Fetus, in “Make Them Beg For Death”, utilizzano le solite stoffe per cucirsi addosso un nuovo abito che non sfigura di fronte alle vecchie collezioni, sopravanzando di una spanna le ultime. Una formula accattivante che, omicida e psicotica, si fa largo tra gli inevitabili difetti.

Tracklist

01. Enlighten Through Agony
02. Compulsion For Cruelty
03. Feast Of Ashes
04. Throw Them In The Van
05. Unbridled Fury
06. When The Trend Ends
07. Undulating Carnage
08. Raised In Victory/Razed In Defeat
09. Hero’s Grave
10. Subterfuge

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