Dopo un magnifico primo weekend di Primavera Sound, eccoci di nuovo a Barcellona per il Primavera a la Ciutat, cinque giorni di live sparsi per tutti i locali più famosi della città: 14 locali e oltre 200 band. Ecco il racconto delle esibizioni più significative.

05/06
BECK

Che animale da palcoscenico il buon Bek David Campbell, che all’interno della sala 1 del Razzmatazz tiene il suo spettacolo più divertente. Seppur con una scaletta uguale a quella del Weekend 1, l’atmosfera raccolta della location ci fa empatizzare ancora di più, regalando al pubblico l’opportunità unica di vedere un artista internazionale in modo tutto sommato raccolto. Ed è così che Beck da tutto sul palco, che sia il main stage del parc del Forum, davanti a 30mila persone, o davanti a 1500 al Razzmatazz e sciorina i suoi più grandi pezzi di repertorio graziando il pubblico con vere e proprie perle come “Novacane” e la nuovissima “Turn Away”. Poco da aggiungere rispetto all’esibizione di qualche giorno prima, se non che vederlo in questo modo è un privilegio concesso a pochi e di cui abbiamo goduto con tanto divertimento.

Foto: Sharon Lopez

06/06

La fila di fronte al Razzmatazz è kilometrica. Tutti in attesa di entrare nella sala 2, quella che ospita in sequenza Beak> e King Gizzard & The Lizard Wizard. Puntualissimi come sempre, lo show della band di Bristol ha inizio alle 23.15 in punto, in una sala gremita di persone.

BEAK>

Un sound grandioso esce fuori dagli amplificatori quando Geoff Barrow (già Portishead), Billy Fuller (Robert Plant’s Sensational Space Shifters) e Will Young sferzano con il loro elettro rock minimal e incentrato sull’effettistica. Insieme plasmano continui crescendo sperimentali, un po’ stile Can, molto anni ’70 ma al contempo con un tocco di inaspettata modernità. In tre suonano come se fossero nella loro sala prove e – quasi nevroticamente – picchiano sugli strumenti come stessero cercando di tirare fuori a forza qualcosa da essi. E ci riescono. Il tasso di psichedelia è altissimo, dissonanti e urlanti negli strumentali, la voce non trova spazio se non in qualche coro di sottofondo. Sorprendenti e divertiti, scherzano con i fan in prima fila, a due passi da loro e fanno battute sul fatto che la canzone precedente avrebbero potuto suonarla meglio.

KING GIZZARD AND THE LIZARD WIZARD

Hanno promesso di suonare 5 scalette diverse per 5 concerti al Primavera i King Gizzard e lo hanno fatto. In quella che rappresenta la quarta serata su cinque, i pezzi sono sinceramente e caldamente rock. I sei sul palco sono scatenati, imprescindibili da sentire nella loro stupidità (in senso buono, ovviamente). Suonano a ritmi incredibili per 70 minuti in un locale dove si fa fatica a trovare aria, ma i sei australiani non demordono. Il carattere dei pezzi è progressive, ma l’animo è rockettaro dentro. Sul palco sputano l’anima dimostrandosi delle macchine da guerra senza sosta: riposarsi non è un’opzione, tutte le energie le dedicano al pubblico al quale lanciano bottiglie d’acqua da dividere, con la sala sta prendendo temperature incandescenti. Riff pesanti e molto attenti al suono sono tanti gli antecedenti che si possono ritrovare nella loro musica, ma nessuno la fa come loro.

07/08 (PARAL.LEL 62)
L’IMPERATRICE

Quando si entra dentro il Paral.lel 62, a due passi dal teatro Apolo, è difficile non rimanere sorpresi dalla bellezza della location, un teatro di piccole dimensioni decorato alle pareti, dall’effetto chic e antico. Forse la location perfetta per ospitare il disco group L’impératrice. I Sei francesi sono qui per farci ballare, una dichiarazione esplicitata fin dall’inizio. Sembrano un mostro a sei teste, talmente sono uniti e precisi negli stacchi (componente fondamentale della loro musica), vestiti con una tutta rossa e un cuore a led che brilla a ritmo di musica. Tutto è perfetto nella loro esibizione e l’energia è assolutamente quella giusta per una Flore Benguigui a metà tra Blondie e Raffaella Carrà. Tra una canzone e l’altra gli applausi e l’entusiasmo del pubblico sono talmente forti da dover interrompere per qualche secondo prima di riprendere. Uno dei live migliori di tutto il Primavera a La Ciudad, fatto di groove e tanto divertimento.

Foto: Christian Bertrand

08/06 (POBLE ESPANYOL)
RIDE

Ascoltare i Ride dal vivo vuol dire perdersi in una foresta di suoni dove il silenzio non riesce a passare. Iniziano con il loro cavallo di battaglia “Leave Them All Behind” e proseguono con un rock disteso e fluido. Il loro è un sound che sa di libertà, libero dai vincoli chitarristici, dagli stereotipi della musica AOR, mentre invece abbraccia l’imprevedibilità, i passaggi inaspettati e tanto strumentale. Le chitarre guaiscono a ripetizione mentre insieme al basso e alla batteria si fanno durissimi i drop più rockeggianti. Un live asciutto e dritto al punto quello della shoegaze band di Mark Gardener, che non si perde in chiacchiere, suona continuamente in un unico e perfetto flusso sonoro.

KHRUANGBIN

Partiamo dalla fine. Giunti alla fine del live, ne volevamo almeno per un’altra ora. I Khruangbin sono stati la sorpresa perfetta per questa serata al Poble Espanyol. Dal vivo il trio composto da Laura Lee al basso, Mark Speer alla chitarra e Donald Ray “DJ” Johnson Jr. alla batteria trasmette una nonchalance da veri professionisti, ma la calma è solo apparente. Quando i Tre del Texas iniziano a fare sentire di che pasta sono fatti, ecco che dai momenti “chill” si passa a quelli più “heavy” con strabiliante fluidità, senza mai perdere l’attitudine trascinante che portano con loro. Il loro set è quasi tutto strumentale e ci vuole carisma per riuscire a catturare l’attenzione, ma i Khruangbin non si perdono il pubblico neanche un secondo. orgasmici nelle parti più lente, reinterpretano i riff più famosi della storia (“Let’s Dance”, “Wicked Game”, ecc) con stupenda precisione. Calmi e letali quando si approcciano all’inizio di un pezzo, giocano con la loop machine e ne tirano fuori una moltitudine di influenze diverse tra loro, come la musica soul classica, la dub e, soprattutto, la musica psichedelica. I tre sono di un altro pianeta

Foto: Christian Bertrand

PHOENIX

Il meglio deve ancora arrivare. Appena sono le 23.20 fanno il loro ingresso i Phoenix, attesissimi e visibilmente emozionati per un ritorno del genere in mezzo alla folla. L’inizio è col botto con “Lisztomania” ed “Entertainment”, per poi calare un po’ a esibizione inoltrata. Qualche problema d’audio inoltre non aiuta a godersi la performance. Le scenografie alle spalle della band sono mozzafiato, come un binocolo digitale usato da Thomas Mars per inquadrare la folla e collegato direttamente con il maxischermo. Nel complesso il live è da grande band, di quelle famose in tutto il mondo e il pubblico risponde a tale dimostrazione con tanto affetto. Pur non essendo tutte le canzoni al medesimo livello, il gruppo sa vendere il proprio show e non si fa parlare dietro: i musicisti sono tutti preparatissimi ma gran parte del lavoro lo fa il batterista Thomas Hedlund (Cult of Luna) protagonista in più pezzi. Nel complesso il gruppo francese brilla per divertimento, ironia e convinzione e non si fa mancare nemmeno un bagno di folla a fine concerto. Tutto quello che ci è mancato vedere.

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