Sprints Letter to Self
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Sprints – Letter To Self

Stroncare in principio la rabbia è un delitto bello e buono. Sia per il riscontro emotivo – provate a tenere un sentimento tanto eruttivo al vostro interno e fate poi due conti con le conseguenze – sia per la lacuna che si genererebbe nella musica. Da non sottovalutare, dato che di questo ci occupiamo e che adoriamo quando le emozioni, soprattutto le più spinose, vengono vomitate sul pentagramma. Non sarà mica un caso se i più grandi album della storia siano germogliati proprio dall’incontrollabile fertilità di un terreno soggiogato da radici bollenti, tremanti d’ira, decadenti di malinconia, pulsanti di dolore vivo.

Se musicare sorrisi e serenità è possibile, allora lo è anche il caso contrario: lo ha capito Karla Chubb e lo hanno capito i suoi Sprints che, da una Dublino ormai epicentro assodato dello tsunami crank wave degli ultimi cinque anni, si smarcano dalla tentazione di crogiolarsi agiatamente sulle onde del succitato movimento per appiccare il più grosso incendio d’Irlanda. Il combustibile? Pura collera.

Letter To Self” è un titolo piuttosto esplicativo: due parole con il proprio Io, quelle sputate sul foglio da Karla Chubb in una sorta di operazione di riavvicinamento con sé stessa, lavoro che parte dal passare al setaccio tutta una vita di ansia e insoddisfazione, di dolore represso e di ricerca disperata del proprio posto nel mondo.

Passa tutto attraverso i jack, tra gli amplificatori ronzanti e i distorsori sporchi dalle troppe pedate. Tremano a ogni plettrata e grattugiano l’aria, assieme al ruggito graffiato della Chubb che sbraccia e strizza l’ugola con un’intensità impetuosa – gli artigli vocali di Courtney Love e Brody Dalle – su e giù per le scalinate atmosferiche che gli Sprints costruiscono pazientemente per far sì che i volumi crescano o si plachino a seconda dell’energia mentale messa sul piatto.

Difficilmente si rimane su strade pianeggianti, a parte quando viene esploso, dritto per dritto, il proiettile garage punk di “Adore Adore Adore” o quando si cavalca la psichedelia riverberata di “Can’t Get Enough Of It”.

Il resto è tutta una successione di colossali crescendo e cadute nel vuoto a peso morto: le incazzatissime arrampicate di “Up And Comer” – tra sindrome dell’impostore e paura di non essere all’altezza (“I swim the seas between paranoia and disbelief / I reach the surface but the air is hard to breathe”) – e di “Ticking”, che brucia come legnetti incomprensione e senso di non appartenenza – il periodo non felicissimo della frontwoman in Germania, riesumato implicitamente nelle lyrics (“Maybe I should pray to Der Retter/ Mutter, Vater, Geschwister”). La richiesta di aiuto e di un porto sicuro nei morbidi tratteggi di “Shadow Of A Doubt”, agili nel lasciarsi abbindolare da un alternative rock che flirta convinto con la melodia.

“Cathedral” romba sversando benzina punk sull’asfalto, “Shaking Their Hands” si mescola agli effluvi di sghembe rock ballad dall’aspro retrogusto grungy, “Literary Mind” fa l’occhiolino a piccole esigenze pop rock, fatte sfogare tramite un refrain che sgomita nel cervello a distanza di giorni dal primo ascolto.

Un disco che filtra un’elettricità ben precisa: quella derivante dalla necessità di espellere. Il ruggito della collera, le vene ingrossate, le lacrime che solcano le guance rosse e si tuffano sull’autostrada che parte dall’anima, passa per la bocca e si dirama verso il mondo esterno. Gli Sprints non si tengono più niente dentro, gettano sul pavimento il veleno masticato da viscere ormai stanche, respirano rinfrancati. Noi ci becchiamo tutto il loro risentimento e ci va bene così: “Letter To Self” è un grandissimo debut e sarà, probabilmente, uno degli album più interessanti tra gli imperanti listoni di fine anno.

Tracklist

01. Ticking
02. Heavy
03. Cathedral
04. Shaking Their Hands
05. Adore Adore Adore
06. Shadow Of A Doubt
07. Can’t Get Enough Of It
08. Literary Mind
09. A Wreck (A Mess)
10. Up And Comer
11. Letter To Self

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