Del tutto coerente con la trasformazione e la completa maturazione andate a buon fine con “Fires At Midnight”, Ghost Of A Rose diviene la rampa di lancio del successo dei Blackmore’s Night, compagnia rock rinascimentale capitanata da Ritchie Blackmore (Deep Purple, Rainbow) e dalla bionda consorte Candice Night. Paesaggi verdeggianti, luoghi incontaminati, costruzioni antiche… Queste le immagini prevalenti che accompagneranno l’ascoltatore durante il viaggio ai confini tra realtà e fantasia, dove il tutto suonerà magicamente fluido, grazie a tante piccole gemme che allieteranno le giornate dedicate ai sogni, rimandando poi ad un appagante isolamento contemplativo.
Avendo come premesse una sempre più convincente matrice folk e il miglior chitarrista vivente in attività, il quarto manufatto dei menestrelli britannici non poteva mancare il bersaglio: è capace di offrire una gamma di colori più ampia, perché il gruppo cresce giorno dopo giorno… e si sente. E’ vero, "Ghost Of A Rose" è un lavoro più riflessivo e un po’ meno pimpante del solito, si fregia di una produzione che ad oggi, dopo il rilascio di "The Village Lanterne" e di "Secret Voyage", è ancora imbattuta per profondità e pulizia dei suoni, musicalmente riesce a travalicare gli orizzonti dei suoi predecessori e si incastona, nell’attuale discografia, come l’album più espressivo di sempre.
La conferma è data da un parco brani ammaliante, molti dei quali malinconici. La versione di “Diamond And Rust” di Joan Baez è uno dei brani più suggestivi e più suonati dal vivo, “Where Are We Going From Here” quasi struggente, “Queen For A Day” regale, poi c’è l’evocativa “Cartouche”, ispirata da un locale stile rinascimentale di Praga. La traccia guida è “Ghost Of A Rose”, uno dei più grandi capolavori dei Blackmore’s Night, a riprova che la rosa è l’elemento alchemico della perfezione. Il lato più puro del folklore blackmoresiano è evidente nella strumentale “Mr. Peagram's Morris And Sword”, nella brillante “Loreley” e nella conciliante “3 Black Crows”, quest’ultima abbellita da un incredibile assolo di chitarra acustica del man in black. Difficile non menzionare il netto contrasto ritmico di “Where Are We Going From Here”, deliziosa nel suo incedere, e “All For One”, accesa e vivace, chiude l’indimenticabile “Dandelion Wine”: i conoscitori più attenti del gruppo si saranno accorti che il brano germoglia da uno spunto strumentale della sorellina “Mid Winter’s Night”, pubblicata qualche anno prima sul capolavoro assoluto “Fires At Midnight”.
Canzoni che oggi appaiono mature più che mai, nelle quali la componente emotiva gioca un ruolo basilare. La compagnia rinascimentale brilla ormai di luce propria e la seconda vita artistica di Ritchie Blackmore, considerata la sostanza, ha definitivamente incrociato la celestiale via del gusto, del senso estetico e della gioia di sentirsi libero. E’ bastato tornare indietro nel tempo, facile no?