Bruce Springsteen
Tunnel Of Love

1987, Columbia Records
Rock

Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 14/02/12

“Ho tutte le fortune del paradiso in oro e diamanti, ho tutte le obbligazioni che una banca può sopportare, ho case sparse per il paese, da una costa all’altra, e chiunque vorrebbe essermi amico. Insomma, ho tutte le ricchezze che un uomo possa immaginare, ma l’unica cosa che non ho, dolcezza, sei tu”. Con queste parole semplici e inattese Bruce Springsteen inaugura nel 1987 una nuova fase della sua carriera spiazzando pubblico e critica, lontano anni luce dalle atmosfere patinate “Born In The U.S.A.” che due anni prima lo avevano consacrato al ruolo di autentica icona. L’uomo delle corse in macchina di “Born To Run”, del sogno americano tradito di “The Promised Land” e delle feroci denunce di “Nebraska” non è più lo stesso: ha trentotto anni, soldi, fama e successo non gli mancano, e solo ora realizza di non voler giocare a fare il rocker per il resto della sua vita. Parole come amore e famiglia si insinuano nella sua mente dopo dieci anni vissuti da autentico zingaro del rock n’roll, in cui Springsteen era passato dai locali sul lungomare di Asbury Park agli stadi di mezzo mondo.

Bruce capisce che è il momento di rompere gli schemi: sarebbe stato sin troppo facile per uno come lui partorire un “Born In The U.S.A.” parte seconda ma non è nella sua natura nè lo sarà nel corso della sua carriera, in cui ci abituerà a repentini e umorali cambi di rotta al pari di altri cantautori americani (vedi Neil Young e Bob Dylan). Springsteen scioglie la gloriosa E Street Band, smette i panni del rocker per ricondurre la sua opera ad una dimensione più intimista e privata, iniziando a porsi senza vergogna domande sull’amore e la vita di coppia. Domande che purtroppo troveranno una risposta da lì a due anni nel fallimento del matrimonio con la modella Julianne Philips, da cui si separerà nel 1989. Quello che ne nasce è uno dei capitoli più intensi e particolari della sua sterminata discografia. Contrariamente a quello che molti pensano, “Tunnel Of Love” non è un disco autobiografico, né tantomeno un esercizio di psicanalisi messo in piedi da un cuore infranto per esorcizzare la fine di una relazione che iniziava a mostrare i primi scricchiolii. E’ un disco quasi premeditato, una reazione istintiva all’ascesa, alla fama, al successo, il necessario contrappeso per preservare la propria integrità davanti a uno status per certi versi ingombrante. Musicalmente vengono messe da parte le sonorità scintillanti che hanno reso dischi come “Born To Run” o “Darkness On The Edge Of Town” autentiche pietre miliari in favore di uno stile più asciutto ed essenziale, di sicuro più consono a certe tematiche, ma non per questo meno raffinato negli arrangiamenti.

Il booklet interno ritrae uno Springsteen casalingo in canottiera e chitarra acustica, seduto alla scrivania con un vecchio registratore; sembra di trovarselo davanti quando intona le prime note di “Ain’t Got You”,  accompagnato da poche frustate di chitarra acustica. Springsteen si mette a nudo al pari del  Bob Dylan ai tempi di “Blood On The Tracks”: è meno straziante ma ha anche meno risposte, si trova appunto all’inizio del tunnel con tutte le sue paure. L’incipit di “Tougher Than The Rest” ci rincuora subito e fuga l’impressione di trovarsi davanti a un nuovo “Nebraska” (altro gioiello della discografia del Boss, ma tutta un’altra storia). La classe riaffora prepotente in questo pezzo fra i suoi più affascinanti e struggenti di sempre, una autentica dichiarazione d’amore impreziosita da un magistrale tappeto di tastiere. Decisamente più rassicuranti e solari le atmosfere “All That Heaven Will Allow”, dal sapore vagamente pop. “Spare Parts” è un blues sanguigno in cui Springsteen si cimenta con uno dei suoi testi più efficaci mentre con “Cautious Man” i toni si abbassano ancora e il Boss torna alla dimensione voce/chitarra con un altro testo di rara profondità: “sulla sua mano destra Billy aveva tatuata la parola amore e sulla sinistra la parola paura, e non fu mai chiaro in quale mano reggesse il suo destino”. Parole struggenti che descrivono lo smarrimento di un uomo innamorato e al tempo stesso incapace di gestire le proprie paure. La successiva “Walk Like A Man” è una delicata ballad in cui un delicato riff di tastiere avvolge le strofe in un’atmosfera quasi familiare.  “Tunnel Of Love” non rientrerà fra i suoi classici di sempre ma è un ottimo esempio di pop rock dalla classe sopraffina, nonché uno dei brani più vivaci del disco. Con “Two Faces” si torna all’acustico dai toni intensi e se musicalmente “Brilliant Disguise” può sembrare la sorella gemella della title track, nelle lyrics è la continuazione della traccia precedente, in cui il tema dell’ipocrisia viene ribaltato da se stesso (“due facce ho io”) alla propria amante (“così dimmi cosa vedo quando ti guardo negli occhi, sei davvero tu o solo un brillante travestimento?”). Atmosfere da crepuscolo invece per l’amara riflessione di “One Step Up”: “Ci siamo dati più di una lezione, ma non abbiamo imparato niente, è sempre la stessa vecchia storia: un passo avanti, due passi indietro”.  E’ uno Springsteen quasi rassegnato e inerme davanti alle forze irrazionali dell’amore. Giunge “When You’re Alone”  a stemperare i toni che, però, si rifanno intensi e struggenti in chiusura: “Valentine’s Day” fa pari con il gioiello posto in apertura e rappresenta il manifesto romantico di Bruce Springsteen, in cui il nostro eroe torna a casa dal suo amore guidando in una strada buia e tempestosa  metafora del suo tormento interiore. Ancora una volta Springsteen non dà risposte, limitandosi ad esplorare le dinamiche di un sentimento tanto complesso come l’amore. Il pezzo è quanto di più spettacolare per concludere un disco come questo, a parer mio uno dei vertici della sua produzione.

Springsteen entra nel tunnel dell’amore e ci uscirà solo parecchi anni più tardi, dopo aver provato la gioia della paternità e di una relazione stabile, quella con la corista Patti Scialfa, che dura tuttoggi. Accolto tiepidamente da pubblico e critica, “Tunnel Of Love” non riuscirà a bissare il successo del suo blasonato precedessore, e i suoi brani verranno riproposti dal vivo sporadicamente. Per quanto risulti difficile individuare al suo interno una hit o un brano più rappresentativo che possa tenere il passo di capolavori come “Thunder Road” o “The River”, il disco verrà rivalutato lentamente negli anni come uno dei capitoli più interessanti nella discografia del Boss, un lavoro il cui fascino si annovera nelle atmosfere pacate, quasi signorili, e nei testi che, come nei successivi “Human Touch” e “Lucky Town”, esplorano la dimensione più intima del rocker americano, aggiungendo ulteriori spunti ad un percorso artistico di un artista che, come disse Bono Vox, detiene il cuore dell’America. E di chi lo ascolta.





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