Edguy
Vain Glory Opera

1998, AFM Records
Power Metal

Recensione di Marco Migliorelli - Pubblicata in data: 11/02/16


 

C'è chi valuta le annate in base all'uva, divinandone la bontà in un calice di vino. Altri preferiscono farlo con la musica. Se poi i due elementi vengono ad incontrarsi, il quadro è completo, e non resta che cercarsi una parete di rilievo nel palazzo del proprio tempo ed appenderlo con affetto. Il 1998 fu una di queste buone annate: marchiata a fuoco da "Nightfall in Middle Earth" degli Blind Guardian, firmò anche la data di nascita del terzo colpo degli Edguy, un centro perfetto: Vain Glory Opera.


In alto i calici dunque, ma con una certa solennità. Sono ancora lontani i tempi delle spiazzanti prove hard rock e di quel colpo di mano noto come "Age of the Joker". La band di Sammett preferisce ancora l'armatura al sorriso beffardo di "Robin Hood" e sfodera un disco potente, drammatico, che nei momenti più lenti si avvolge in un fiabesco muto che pare sortito da un racconto dei Grimm.


Non è un caso che abbia incontrato i favori di Hansi Kursch, ospite memorabile in "Out of Control" ed all'apice della sua potenza vocale. Supponete che vi chiedano un motivo per ascoltare Vain Glory Opera: questa canzone potrebbe essere la risposta. Lo è per me.


C'è tutto quanto è nel disco e quanto sarà nella parabole successive della band fino a Mandrake: potenza (efficace il solo di Timo Tolkki), cupezza e un insolito tono marziale che permette alla voce di Hansi di tuonare letteralmente sul pezzo e propagarsi fin oltre il ritornello, in un convincente duetto con Sammett, perfettamente a suo agio nel confronto, così come nell'interpretazione: Avantasia con i due ineguagliati e indimenticabili due capitoli della "Metal Opera" è dietro l'angolo, porterà a segno un coro di singers memorabili con i quali Tobias lavorerà perfettamente a suo agio e senza soggezione.


Out of Control non è l'unico cuore pulsante del disco. Immediatamente successiva, sempre in posizione centrale campeggia la titletrack. Se nel precedente brano l'apparizione fugace di A. Crowley figurava il conflitto interiore fra anima e mente, in Vain Glory Opera sorge il canto di una Maestà torva, cadente, contesa fra giorno e notte, paradiso e inferno.


Il songwriting è semplice e diretto, reso tagliente e dilatato dalla musica stessa:


what's hell without a paradise
what's the night without a day
we would think it's bright
what's a fall if we can't rise
what's a hero at a play
without a fool to fight

 

Tutte domande la cui risposta sembra ormai nascondersi nell'ironia e nella leggerezza dei lavori degli ultimi anni. Ma cosa è cambiato allora nella musica degli Edguy?

 

Qui ci sono già ritornelli memorabili e di facile presa. Oggi a questo talento, Sammett ha affiancato la ruffianeria, a tratti affascinante, ammettiamolo, del catchy; è disinvolto, affermato, ed ha potuto sfogare ache la sua passione per l'hard rock, spesso tentando anche curiose mistioni, come nella geniale "Pandora's box", piccolo gioiellino del 2011... oppure sconfinando nel pop, come negli EP "Lost in Space".

 

Ma sono scherzi del Joker, o "mandrakate" se volete. Certo è che nulla di tutto questo, una ballata come Scarlet Rose, lasciava presagire: al testo di forte presa emotiva, s'accompagna una melodia che ancora si lascia imbrigliare dal pathos tragico dell'intero disco. "Tomorrow", secondo pezzo lento, tratteggia con più vigore questi tratti, astraendo il testo dal sentimento d'amore e riportando in primo piano il conflitto tragico dell'esistenza.

 

Cosa "manca" allora a Vain Glory Opera...? forse la variatio, ossia la capacità di alternare toni e stili diversi, stando a quanto gridano, pienamente riuscite, le altre canzoni; ma è vera mancanza? Incerto dirlo: l'album si presenta come un lavoro compatto, solido e deciso di puro power metal teutonico: esattamente quello che ci si aspettava in quella decade rampante e che mai come in quegli anni ha avuto la sua ragion d'essere.


we can't survive, if we don't realize

our world is a place that can't be created twice

 

Meglio allora averlo fatto, almeno una volta.


E continuare a viverlo oggi.





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