Helloween
Keeper Of The Seven Keys Part II

1988, Noise/ EMI
Power Metal

Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 21/01/15

Doveva essere circa la fine degli anni Novanta quando Michael Kiske, cristiano praticante e già dedito agli studi di filosofia, sopraffatto dalla classica crisi post maturità, bussa alla porta del Cielo per avere chiarimenti. “Padre, qui non faccio più vita: il mondo sta cambiando e non riesco più a vivere di rendita con i miei dischi solisti: tutti mi ricordano per quello che ho fatto con gli Helloween e delle mie idee innovative non frega niente a nessuno. Padre, se non tornerò sui palchi di tutto il mondo, mi attenderà un futuro di miseria”. “Senti Michael”, dice il Padreterno, “ti sei voluto avventurare in un territorio ostile, rinnegando i tuoi trascorsi e le persone che ti hanno voluto bene. Ti risparmio la parabola del figliol prodigo e ti faccio una proposta: riavrai la tua splendida voce e tornerai a toccare con la tua ugola le vette di quando eri più giovane, ma a patto di rinunciare ai tuoi capelli biondi: decidi, o i capelli o la voce”. Preso in contropiede, con l’acqua alla gola, sopraffatto dalla paura di finire nell’oblio e in preda ai rimpianti, Michael dovette accettare obtorto collo una proposta che neppure il Diavolo al massimo della sua ispirazione sarebbe stato capace di partorire. “La strada da seguire la conosci, torna al posto che ti appartiene”. Scherzi a parte, le cose non devono essere andate in modo tanto diverso per Kiske. Prima di allora, il singer di Amburgo si trovava a metà fra lo status di icona vivente e quello meno appagante di ex musicista, dovuto a una carriera solista lentamente scivolata nel dimenticatoio. Madre Natura gli aveva fatto dono di una dote unica per un cantante, una voce capace di estendersi fino a tre ottave e forse oltre, e questo era bastato per renderlo uno dei cantanti metal più influenti e considerati di sempre. Negli anni ’80 Michael si imbatte al momento giusto con una band di sbarbatelli suoi concittadini dal nome bizzaro, gli Helloween, che fiutano in lui l’occasione della svolta. “Keeper I” esce nel 1987 e ha le caratteristiche dell’antipasto prima della portata principale, breve, semplice e stuzzicante; quella che inizialmente era stata concepita come un’opera unica viene di fatto splittata in due e in meno di un anno vede la luce il disco che conduce gli Helloween direttamente nella storia, un disco che ancora oggi rappresenta  il punto di riferimento per generazioni di metallari.

“Keeper Of The Seven Keys Pt. II” può essere presentato, descritto e giudicato nei modi più disparati e a quasi trent’anni dalla sua uscita, dopo averlo metabolizzato con centinaia di ore di ascolto prestate nei nostri anni migliori, lascia un elemento di valutazione insindacabile: “Keeper” è uno di quei dischi in cui non esiste una nota fuori posto, pensavano di essere i migliori e avevano ragione da vendere, Kiske e soci spalancano le finestre e portano una ventata d’aria fresca nel grande panorama metallico dell’epoca al punto da scalare in poco più di un anno i cartelloni dei più importanti festival europei. Gli Helloween rielaborano la tradizione teutonica (Accept, Scorpions) con vocalizzi e melodie di chiara ispirazione maideniana, centrifugando il tutto con ritmiche elevatissime al punto da scomodare in quegli anni l’etichetta di speed metal. Altro elemento che emergerà in modo definitivo nella musica del quintetto tedesco è l’ironia, che trapelava sin dai tempi di “Walls Of Jericho” ma che con l’arrivo di Kiske assume i caratteri espliciti di vera e propria leggerezza. Un elemento di contrasto ben dosato con il tema epico/ fantasy che fa da sfondo al disco e che non scalfisce l’appeal metallico dell’intera opera: un brano come “March Of Time” tira giù i muri ancora oggi, “I Want Out” vanta innumerevoli tentativi di imitazione, alcuni clamorosi compiuti da parte del suo stesso autore, e identico discorso si potrebbe fare per “Eagle Fly Free”; e se su “We Got The Right” Kiske riesce ad essere al tempo stesso epico e struggente, “Dr. Stein” e “Rise And Fall” sono come un cucchiaio di zucchero a velo sospinte dall’innovativo drumming del compianto Ingo  Schwichtenberg.  Tutto questo al cospetto dei tredici minuti della titletrack, un brano sbalorditivo se pensiamo che è stato eseguito e composto da cinque musicisti poco più che ventenni, una suite dalla portata unica che non regala un solo attimo di prevedibilità e che scatena la giusta tensione emotiva.  Teatralità, “fughe” di chitarra, parti acustiche, tutto condensato in un brano che non ha bisogno di effetti speciali per stupire.

I detrattori addosseranno a questo lavoro tante presunte responsabilità, prima su tutte quella di avere dato inizio al discusso filone dell’happy metal. L’heavy metal è un genere che amplifica gli stati d'animo, vale per la rabbia e il disagio così come per la gioia di vivere, gli Helloween lo avevano capito già allora e si sono mossi da veri leader, gettando le basi per un successo che dura ancora oggi. In tutto questo non c’è niente di male, verrebbe da dire, e c’è scappato persino un capolavoro. Oggi Michael Kiske è tornato a calcare i palchi di tutto il mondo e la sua voce continua a emozionare come tanti anni fa; c'è stato un altro scotto da pagare, lasciare che gli Helloween pubblicassero il discusso "Keeper III" nel 2005 in sua assenza, una sorta di clausola nascosta del famigerato patto. Non era difficile prevedere che il terzo capitolo della saga non raggiungesse il livello dei primi due: quando vedrà la luce "Keeper IV", rigorosamente con Kiske dietro al microfono, soltanto allora, giustizia sarà fatta. Con tanto di capelli lunghi.





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