Giovedì concerto noise, venerdì concerto punk, sabato potevamo perderci un concerto black metal? Assolutamente no. Questa volta al Legend Club non c’è spazio per diciottesimi, il locale è pronto ad accogliere tutt’altro tipo di clientela: i blackster. E quando ad esibirsi come headliner è uno dei gruppi capostipiti del metallo nero, è plausibile aspettarsi un pubblico di non giovanissimi.

La serata inizia abbastanza presto, alle 19:30, eppure, al contrario di venerdì sera, è già presente una non trascurabile massa di persone all’inizio del set dei Wayfarer. Il quartetto proveniente da Denver, Colorado ci propone le proprie atmosfere black fortemente contaminate dal folk americano. 40 minuti di musica a tratti ipnotica, a tratti pesante – com’è giusto che sia –, proveniente soprattutto dal loro ultimo “American Gothic” (2023). Un’apertura azzeccata bisogna dire, a cui il pubblico reagisce abbastanza positivamente.

Il tempo di mangiare qualcosa e di prendere una boccata d’aria, al nostro rientro il palco ha cambiato bandiera: gli Svalbard sono un’altra realtà di musica estrema molto interessante e leggermente più nota delle precedente. Dire che sono una band black metal sarebbe riduttivo: certo, in live molti dettagli delle loro produzioni si perdono e ciò che permane è l’aggressività dei 4 inglesi; ma è impossibile non notare alcune sfumature più ricercate, che avvicinano la loro musica a una dimensione più post- che strettamente di un genere solo. Ecco, forse loro sono stati una scelta più fuori dagli schemi, ma sicuramente gli amanti delle cose più particolari li hanno apprezzati molto.

Questa volta non rischiamo il nostro posto, per quanto il cambio palco sia ben più lungo. Nessuno vuole perdersi l’occasione di poter vedere coi propri occhi i leggendari Enslaved esibirsi: non capita tutti i giorni di poter assistere al concerto di alcuni dei primi artisti definibili black metal al 100%. Ma, e c’è un grande ma, oggi la band è un’entità molto lontana dagli esordi. Sì, le tematiche vichinghe sono sempre al centro della loro musica, ma è quest’ultima ad essere evoluta in forme assai più complesse: banalmente, è da ormai 20 anni che la formazione include un tastierista, sia in studio, che dal vivo.

Alle 22:00 si accendono le luci blu e parte la celeberrima colonna sonora di Arancia Meccanica: quale modo migliore per iniziare, se non il synth narrante dell’ultraviolenza dei drughi, per entrare nel regno fatto di ghiaccio e morte creato da Ivar Bjørnson e soci? Ad aprire la loro scaletta è proprio “Kingdom”, tratta dal loro lavoro più recente, “Heimdal”.

Siamo entrati nel regno glaciale dei norvegesi. Forse fin troppo. Eccezion fatta per le prime file, coinvolti a un livello molto alto, la platea è attonita, come incantata. Sì, le tastiere di Håkon Vinje e i canti onirici – a cui partecipano un po’ tutti a turno, tranne il chitarrista Arve Isdal – fanno questo effetto, ma ricordiamo che ci troviamo pur sempre ad un concerto black metal. Forse è per via dell’eccessiva attualità dei pezzi, che i fan di più vecchia data hanno mancato di recuperare? Beh, in effetti l’accoglienza di brani più datati, come “Loke”, è sicuramente più calda, ma lontana dallo sciogliere le stalattiti che sembrano esserci create ai piedi di tutti.

Enslaved

Il bassista/frontman Grutle Kjellson ce la mette tutta per sprigionare un po’ di calore: brinda numerose volte con uno Skål, presenta i brani con una certa teatralità, addirittura annuncia – ironicamente, purtroppo – una cover della PFM, specificando che “siamo molto influenzati dal progressive italiano”. Ma nulla da fare, davanti si ritrova un esercito di statue.

La situazione sembra migliorare leggermente durante il bis. Dopo un assolo di batteria di Iver Sandøy -che tenta un botta e risposta col pubblico, ma anche lui fallisce –, Kjellson presenta i membri degli Enslaved con celebri nomi italiani, tra cui Alberto Tomba e Giuseppe Verdi (se stesso), al che tutti iniziano a chiamarlo in coro “Giuseppe!”. E ci vengono regalati ancora un paio di brani più datati, “Isa” e “Allfǫðr Oðinn”, direttamente da uno dei loro primissimi demo, “Yggdrasill” (1992). E (almeno) qui si poga.

Il concerto finisce dopo quasi 90 minuti e ci ritroviamo tutti fuori dal Legend Club, Enslaved compresi. Qualcuno ne approfitta per fare foto con loro. Nessuno sembra insoddisfatto o infelice. Ci siamo visti una delle band estreme più longeve e, soprattutto, tecnicamente più precise in circolazione: sembrava di sentirli su disco, mano sul fuoco, o meglio, sul ghiaccio.

Setlist

Kingdom
Homebound
Forest Dweller
Sequence
Congelia
Loke
The Dead Stare
Havenless
Heimdal
Isa
Allfǫðr Oðinn

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