Il cantautore punk rock inglese Frank Turner ci ha parlato del suo attesissimo decimo album in studio “Undefeated”, in uscita venerdì 3 maggio. Turner ci ha svelato alcuni retroscena dei brani contenuti nel nuovo album e della sua partecipazione come special guest al NOFX Final Tour, raccontandoci del suo prossimo tour mondiale, che comprende anche due date italiane, oltre a quella già citata.

Ciao Frank, benvenuto su SpazioRock! Per prima cosa vorrei parlare del tuo attesissimo nuovo album. Per quanto riguarda il titolo, come mai hai scelto questo e di cosa parla la canzone “Undefeated”?

Sì, stavo proprio pensando al fatto che questo è il mio decimo album. Sono un sacco di dischi, lo so. E in un certo senso mi sento orgoglioso del fatto che sono ancora in piedi dopo tanto tempo, ho avuto un periodo nella mia carriera in cui stavo crescendo e poi c’è stata una parte davvero lunga in cui tutti mi gridavano contro, ma ora sono ancora qui. Ed è bello, ne sono orgoglioso, e anche piacevolmente sorpreso. È una cosa bella, non solo in termini di carriera. Quando ero un ragazzo, quando mi sono appassionato alla musica e al punk rock, i miei genitori mi proibivano di comprare dischi e di andare ai concerti. Non potevo comprare riviste e tutti i miei amici ridevano quando dicevo che sarei diventato un musicista, mentre i miei insegnanti cercavano di fermarmi. Quindi stavo cercando di pensare a una frase o a una parola che riassumesse quello che provo per tutto questo, ed è nata la canzone “Undefeated”, che è il tipo di canzone che penso possa racciudere tutto quello che ho provato. Conosci il film “Toro Scatenato” di Robert De Niro? Parla di un vecchio pugile che ha un ultimo incontro e lo vince. E ho pensato: “Sì, ok, è imbattuto”. Non lo so, mi è venuta in mente quella parola e mentre ero in Nuova Zelanda, dove ho un amico che fa tatuaggi, sono corso nel suo negozio e mi sono fatto tatuare sulla schiena la parola “Undefeated”. Poi ho chiamato la mia casa discografica e ho detto che questo doveva essere il titolo perché si trovava sulla mia schiena. So che a volte si tratta solo di un titolo lungo o di una frase figa, ma questa volta mi sembra davvero una parola che riassume tutto quello che provo per dove mi trovo ora, nel 2024.

E a proposito dei singoli che hai pubblicato “No Thanks For The Music” e “Do One”. Perché la scelta di questi due brani e di cosa parlano?

Allora, “No Thanks For The Music” l’abbiamo pubblicata per i fan, per far sapere loro che era in arrivo un nuovo disco e credo sia una canzone divertente. Penso che sia una canzone arrabbiata, ma anche un po’ sorridente, che celebra l’underground e la cultura musicale alternativa. Spesso nella mia vita la gente ha cercato di criticarmi dicendo che non ero rilevante o figo, e io ho risposto “Perché pensi che a me interessi essere figo o importante?” Non l’ho mai voluto. La mia musica preferita era quella che non si preoccupava di queste cose. Volevamo, quindi, pubblicare una traccia che andasse in questa direzione; una canzone un po’ rauca, un po’ arrabbiata. È una canzone punk rock ed è una specie di disco punk rock. Mentre “Do One” è stata l’ultima canzone che ho scritto per l’album. Dopo aver fatto il tatuaggio ho pensato che ci fosse un’altra canzone che dovevo scrivere per riassumere il disco. “Do One” è la canzone che apre l’album, mentre “Undefeated” è l’ultima, ed è una specie di viaggio da una all’altra. Molte di queste mie nuove canzoni vogliono essere positive, più gentili. E c’è un po’ di questo in “Do One”, ma c’è anche un po’ di “fuck the haters”. C’è un po’ più di sporco sotto le unghie. Ma una delle cose più importanti dell’intero album, quando abbiamo finito di registrarlo, è stato che mia moglie l’ha ascoltato e ha detto che sembrava che mi stessi divertendo per la prima volta dopo tanto tempo. E io ho pensato: “Sì, è un buon modo di descriverlo. Ci stiamo divertendo”.

Ho ascoltato l’album e mi sono piaciute tutte le canzoni, ma “Do One” effettivamente è una delle mie preferite.

Grazie.

E quali sono i temi che solitamente affronti nelle tue canzoni, soprattutto in questo nuovo album? Con “Do One” porti un messaggio di sfida a tutti.

Sì, certo. Penso che non sia un concept album, mentre molto tempo fa avrebbe potuto esserlo; quindi non c’è necessariamente un tema per l’intero album. Penso sia come una conversazione tra il me del presente e il me 50enne. Perché penso molto a quell’uomo, e in un certo senso discuto con lui nella mia testa, il che è sbagliato e malsano. Quando avevo 15 anni ero molto arrabbiato, ma ero anche molto black and white e semplicistico, sicuro di me stesso e idealista; ma la vita reale è più complicata di così. E questo lo si impara invecchiando. E spesso mi ritrovo a cercare di giustificare chi sono ora con quel tipo di persona, che è una cosa stupida da fare; ma succede. La canzone “Ceasefire” parla proprio di questo. Ma ho scritto anche di altre cose; ad esempio la canzone “Girl From The Record Shop” è una specie di storia di quando si avevano 15 anni e si entrava in un negozio di dischi e si vedeva una persona figa dietro il bancone e poi si pensava: “Non parlerò mai con nessuno, non le parlerò mai. Sono troppo nervoso”. È una canzone che parla dell’essere innamorati del negozio di dischi invece che della persona che si incontra. Ma è una storia vera. Io sono quella persona. Non ho idea di come si chiami la ragazza, però, perchè non ho mai avuto una conversazione con lei. Io entravo nel negozio e andavo a chiedere se potevo ascoltare i dischi dei Descendants e cose del genere, cercando di sembrare figo, ma fallendo.

Frank Turner

“Ceasefire” è il brano più lungo dell’album, il che è strano se pensiamo alla musica punk rock in cui di solito le canzoni durano un paio di minuti. Come mai questa decisione?

Non direi necessariamente che mi sono seduto e ho deciso di scrivere una canzone lunga. In questo album ci sono molte canzoni brevi, più di quante ne abbia mai fatte. Sono ossessionato dal fatto che c’è “Fix me” dei Black Flag che dura 48 secondi; quindi ogni volta che scrivo una canzone più lunga di 48 secondi penso “Ma che diavolo stai facendo, amico?”. Come se stessi sprecando il tempo di tutti. Comunque non ho canzoni di quel tipo. Ma con “Ceasefire” è come se la musica fosse venuta insieme al testo e credo che sia una delle canzoni più complesse del disco, più profonda. E mi sembrava che valesse la pena dedicare un po’ più di tempo a questo argomento. Per scrivere qualcosa sull’innamoramento come in “Girl From The Record Shop” ti servono due minuti, per parlare dei miei problemi di salute mentale con tutto me stesso me ne servono cinque.

Sì, ovviamente. Hai un modo fantastico di suonare, passando da pezzi con un suono punk hardcore a pezzi con una chitarra acustica. Quale preferisci? Il punk o il folk?

È difficile. All’inizio facevo parte di gruppi punk prima di intraprendere la carriera solista, dove ero solo il cantante. Poi ho iniziato a suonare solo con la chitarra acustica per molto tempo, e solo negli ultimi due album ho iniziato a suonare la chitarra elettrica. Non so se lo sai, ma le chitarre elettriche sono fighissime, forti.    

Sì, io suono la chitarra elettrica.  

Fanno un sacco di rumore, e sono anche più facili da suonare rispetto alle chitarre acustiche. In questo momento mi piace molto suonare la chitarra elettrica. Recentemente ho preso una nuova Gibson SG che adoro. E poi la musica che faccio è in parte punk, in parte country, in parte di qualsiasi tipo. Ma il mio cuore è punk rock e lo sarà sempre. Ma spero che non mi punterai una pistola alla tempia per scegliere. Ed è davvero bello fare tutto questo, provare a cambiare tra le varie cose.

A cosa ti ispiri quando scrivi una canzone?

Questa è una domanda bella e complicata. In un certo senso, per essere uno scrittore, in particolare per un lungo periodo di tempo, perché è il mio decimo album e non voglio ripetermi, non voglio scrivere di nuovo la stessa canzone o altro. Quindi, in un certo senso, devi allenarti a essere sempre aperto alle idee. Per me il songwriting è composto da almeno due parti. La prima è la parte dell’ispirazione e la seconda è la parte della trasposizione, in cui si fa il lavoro duro. Per quanto mi riguarda, scrivo sempre frasi che mi sembrano interessanti sul mio telefono; a volte si tratta di una sola parola e a volte di 4 righe. E lo stesso vale per la musica: a volte si tratta di un’intera canzone, a volte sono due accordi che mi suonano bene. Poi c’è una parte in cui mi siedo, prendo tutto questo e cerco di trasformarlo in qualcosa. Per esempio avevo la frase “No thank for the music” che è una specie di battuta sulla canzone degli ABBA. Ho scritto “No thank for the music” nel mio blocco note ed è rimasta lì per circa 7 o 8 anni, perchè non avevo una canzone che la accompagnasse. Non sapevo cosa significasse, non sapevo cosa avrei detto, ma stava lì. Poi, in realtà, con quella frase ho scritto tutto il resto della canzone, poi ho aspettato un attimo e attraverso il piano l’ho trovata. Quindi sì, in qualsiasi cosa, alla fine, l’ispirazione deve essere qualcosa che ti commuove abbastanza, per poi passare attraverso tutta la parte di trasposizione. Deve essere una cosa che ti prende, deve colpire me per primo, per poi riuscire a colpire qualcun altro.

E parlando del tour, quali sono le cose che ti piace fare quando sei in tour e qual è la cosa più importante da fare per suonare un live perfetto?

Passo molto tempo in tour e c’è un vecchio cliché sull’industria musicale: “Sbrigati e aspetta”. Puoi passare un sacco di tempo seduto e poi hai due ore di “follia”. Ma lo faccio da quando avevo 16 anni, quindi ormai ci sono abituato. Quando sono in tournée leggo molto, cerco di essere anche un po’ turista. È davvero bello. Ho un nuovo batterista nel mio furgone che è giovanissimo e non ha fatto molti tour al di fuori del Regno Unito, ed è fantastico perché andiamo a New York o a Sydney o in qualsiasi altro posto, dove io sono stato 30 volte. Mi sveglio la mattina e penso che potrei stare qui a leggere il mio libro, guardare Netflix e rilassarmi. E lui si sveglia e va su di giri. “Siamo a New York. Andiamo”, e mi afferra e mi trascina a Manhattan, al Murmur o alla Sydney Opera House o a qualsiasi altra cosa. Ed è davvero bello perché mi ricorda che è un enorme privilegio fare questo per vivere e trovarsi ogni giorno in un posto diverso; vedere il mondo solo perché si suona musica. Quindi cerco di fare un po’ di queste cose. Sulla mia giacca ho una nuova spilla che mi ha comprato il chitarrista della mia band che dice: “Vai via. Sto leggendo”. Perché ogni giorno, quando sono in tour, ceno sempre da solo, perché parlo sempre con la gente, con la crew, con la band, facendo interviste, andando in radio. E io ogni giorno mi prendo un’ora in cui non parlo con nessuno, solo io e il mio libro. E gli altri ragazzi della band mi dicono “ti dispiace se mi unisco a te?” e io dico “Sì, certo”. Così esco e leggo. Cerco di tenermi informato mentre sono in viaggio.

L’anno scorso ti abbiamo visto durante lo Slam Dunk Festival e presto tornerai come special guest per il NOFX Final Tour. Come ti senti al riguardo?

Sono entusiasta di tornare in Italia. Sono triste per lo scioglimento dei NOFX. Voglio dire, credo che sia così per tutti. I NOFX sono miei vecchi amici, ormai sono 14 anni che suoniamo insieme, quindi sono davvero onorato di partecipare allo show, e questo significa anche che posso vederli prima che se ne vadano, il che è fantastico. Sono anche entusiasta di tornare in Italia con loro. Abbiamo fatto, credo, il Bayfest insieme nel 2019. Ed è stato fantastico, davvero un bel momento, infatti, quello show in Italia al Bayfest è stato il momento in cui è nata l’idea di sciogliersi per i NOFX. E dopo lo show ero molto ubriaco e Mike mi ha detto “Vuoi che faccia una spaccata?” e io ho detto “Sì”, quindi chissà cosa succederà questa volta. Sarà un bello spettacolo. E ci sono anche alcuni grandi, come i Circle Jerks, e alcune band davvero forti. Inoltre, abbiamo altri spettacoli italiani in arrivo, a Padova e Milano, il 25 e 26 ottobre. Quindi torneremo, evviva!

Un sacco di show in Italia, una notizia fantastica!

Con il nuovo album, per me si tratta di una nuova etichetta discografica. La cosa più importante è che voglio passare più tempo fuori dal Regno Unito e dagli Stati Uniti. Come sai, passo molto tempo nel Regno Unito, e anche questo è fantastico. Ma sento che negli ultimi 10 anni avrei potuto suonare di più in Italia, che avrei potuto migliorare il mio italiano. Il mio italiano è terribile, non lo parlo. Ma amo l’Italia, e io e mia moglie veniamo sempre qui; il cibo e il vino italiani sono i migliori del mondo. Quindi voglio venire qui più spesso e fare più concerti e migliorare il mio italiano.

Vuoi lasciare un messaggio ai tuoi fan in Italia?

Grazie mille, ci vediamo presto. [in italiano, ndr] Volevo aggiungere, anche, che ho fatto diverse versioni linguistiche delle mie canzoni di recente e lavoro con un italiano. Quindi la mia pronuncia italiana va bene?

Sì, è ottima!

Non conosco le parole e dovete scrivermele, ma se gli italiani mi vorranno, credo che mi vedrete di più.

Verrò al tuo spettacolo sicuramente e ti ringrazio molto per questo tempo.

Grazie mille [in italiano, ndr].

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