Forse appare esagerato parlare dei Mork quali esponenti di punta del black metal contemporaneo, visto che il genere continua a mutare quasi a ciclo continuo, relegando in seconda fila quei gruppi più strettamente legati alla vecchia scuola degli anni ’90. Ma il sound della one man band norvegese non è rimasto certo a “Isebakke” o a “Den Vandrende Skygge”, riuscendo ad andare oltre la lezione dei Darkthrone, evoluzione sublimatasi con il nuovo album “Dypet”, in uscita per Peaceville Records il prossimo 24 marzo. Il mastermind Thomas Eriksen, tra un bicchierino d’amaro e qualche contagiosa risata, ci ha svelato alcuni particolari sul disco e su sé stesso, mostrando come si possa fare musica in maniera onesta e per puro piacere personale.

Ciao Thomas e bentornato su SpazioRock. Come stai? Ansioso per l’uscita di “Dypet”, sesto album dei Mork?

Tutto bene. Ma prima di iniziare, vorrei chiederti se hai ascoltato l’album.

Certo, molto attentamente.

Va bene. Allora mettiamola così. Dal primo album la mia musica ha subito una certa evoluzione. Ho spiegato le ali e aperto la mia mente sempre di più per ogni disco realizzato, quindi penso che questo nuovo lavoro sia ancora più lontano dagli esordi, andando oltre l’emisfero conosciuto. Non è più black metal da manuale, se capisci cosa intendo. Credo di aver trovato un modo personale di interpretazione del metallo nero e ovviamente sono un po’ ansioso per la prossima uscita. Ehi, non è black metal tradizionale!

In effetti, non sono i Mork a cui siamo abituati, ma penso sia normale un’evoluzione dopo ormai un decennio di attività.

Certo. Ed è qualcosa di completamente fuori dalla mia volontà e dalla mia mente, non programmo in anticipo come comporre un album, ma sostanzialmente faccio sempre musica solo per me stesso. Sono davvero egoista. Non scrivo ciò che i fan del black metal si aspettano, capisci? Anche l’ultimo disco e anche l’album prima di quello erano su questa strada, allontanandosi dalla tradizione, sai? Quindi sono fortunato che gli ascoltatori, o se posso chiamarli sostenitori, sembrino apprezzare quello che propongo. I vari lavori paiono aver raccolto un buon seguito nel corso degli anni e si spera che divorino anche il nuovo per intero.

Il titolo dell’album può essere tradotto in inglese come The Deep. Possiamo affermare che, mai come questa volta, hai sondato, nei testi, gli abissi della tua anima?

Sì, è vero. Ma, a pensarci bene, “Dypet” non è poi così diverso dal punto di vista testuale dai due album precedenti, “Det Svarte Juv” del 2019 e “Katedralen” del 2021. Anche quelli erano dischi estremamente personali. Ed è lo stesso per questo. Se vuoi, puoi vederla come la terza parte del mio diario di vita, considerato che i brani trattano di filosofia esistenziale. Ed è altresì per questo che penso, arrivato all’album numero sei, di essere ancora rilevante nella scena. Credo che la musica e i testi che creo siano autentici. Non sto cercando di essere un artista black metal alla moda, sia chiaro. Ho bisogno di più nella mia vita e ritengo di essere stato un po’ fortunato ad aver capito quali siano le cose per me importanti.

Un altro aspetto affascinante dell’album è l’artwork di David Thiérrée. Penso che siate molto in sintonia, visto che si tratta della terza collaborazione consecutiva. Mi sbaglio?

Hai detto bene; tra l’altro ho ricevuto il disco proprio qualche  giorno fa. È davvero bellissimo. La cosa divertente di David è che ha sempre fatto qualcosa di diverso tutte e tre le volte che abbiamo lavorato insieme. Una sorta di telepatia ci lega, abbiamo la stessa visione di determinate cose. A dire il vero, però, l’ispirazione per questa copertina fondamentalmente gli è venuta dietro mio suggerimento. Gli ho detto: “David, ora prenderò I Miti di Cthulhu di H.P. Lovecraft e li mescolerò con il folklore e le storie tradizionali della mia patria. Dipingi qualcosa di intelligente per me. Voglio anche un villaggio di pescatori norvegesi in riva al mare, ambienta tutto nel passato, magari cento o anche duecento anni fa”. E quello che mi ha consegnato ha colpito immediatamente nel segno. Anche questa volta sono stato davvero molto contento dell’artwork. Quindi credo che lavorerò ancora per molto con lui.

È rimasto invariato anche il rapporto con la Peaceville Records, un’etichetta leggendaria in ambito black metal e dintorni. Immagino che ti lascino completa libertà in ambito creativo.

Sai una cosa? Ero a inizio carriera e ricordo che, prima di firmare con la Peaceville Records, stavo per siglare un accordo con un’altra grande etichetta. Non ho intenzione di dire quale fosse la label, ma gradivano che cambiassi il mio sound. Insomma, dovevo fare qualsiasi cosa avessero voluto. All’epoca non avevo esperienza, quindi ho pensato: “Ok, forse nel mondo della musica funziona così”. Ma poi mi sono accasato con la Peaceville. Non hanno mai toccato niente. Sono libero al 110% di scrivere quello che desidero, e nemmeno una volta ho ricevuto risposte negative per qualcosa che ho consegnato. Sono stati felici ogni volta, il che mi rende estremamente appagato. Come hai detto tu, è un marchio leggendario, importantissimo, e ne ho molto rispetto. E la gratitudine verso di loro è davvero enorme, visto che mi hanno accolto quando ero ancora un giovane artista e adesso stanno pubblicando “Dypet” dopo aver ristampato tutta la mia discografia. Il nostro legame, ne sono certo, continuerà nel tempo e, tra l’altro, qualcosa di nuovo bolle in pentola, forse già per quest’anno. Ma non voglio anticipare nulla.

Dal momento che uno dei segreti dei Mork è la stabilità acquisita a vari livelli, suppongo che per “Dypet” sia cambiato poco o nulla in termini di songwriting.

Ho utilizzato le stesse procedure di sempre. Come ti ho detto, adesso i Mork sono una parte importante della mia vita. Se non avessi un’etichetta o altro, comunque continuerei a scrivere. È una sorta di esercizio interiore. Poi, sai, siamo nel 2023. Ogni artista al mondo, oggi, ha uno studio a casa. Quindi è davvero comodo per me sedermi, iniziare a creare musica e svuotare la testa. Conosci il progetto, crei temi, atmosfere, sentimenti, è naturale questo per me e non è cambiato nulla. Penso che forse, però, un piccolo dettaglio di questo album è diverso. Un paio di canzoni sono state effettivamente composte quando sono stato in vacanza in montagna due estati fa, addentandomi spesso nelle foreste e costeggiando i fiordi. Per la prima volta ho portato un laptop, con una piccola scheda audio e una chitarra e ho semplicemente concepito i brani lasciandomi guidare dalle sensazioni che mi aleggiavano intorno.

Quando ti intervistai sei anni fa, in occasione dell’uscita di “Eremittens Dal”, confidasti ai nostri microfoni che “Et Rike I Nord” avrebbe potuto essere il candidato ideale per il nuovo inno nazionale della Norvegia. “Et Kall Fra Dypet” è un po’ un aggiornamento di quella traccia?

Hanno entrambe uno spirito progressive e sono molto cinematografiche, ma in fondo sono diverse. Direi che “Et Rike I Nord” è ancora il mio anthem più celebre, il migliore che abbia mai composto, mentre “Et Kall Fra Dypet” è un po’ più concettuale. Riguarda quello che ti ho detto prima sul Ciclo di Cthulhu e il suo incontro con le leggende della mia patria, in particolare la storia del draugr, il leggendario fantasma marino della tradizione norvegese. In un certo senso, ho creato il mio folklore.

In canzoni come “Bortgang” o “Svik”, si nota una maggiore ricerca atmosferica e un utilizzo più deciso della melodia, tanto che a tratti sembra di sentire l’influenza dei Katatonia. Cosa puoi dirci al riguardo?

Per me la musica è fatta di tonalità, melodie e note. Non puoi farne a meno, perché non voglio solo riempire gli album di tritoni e semitoni. È bello ogni tanto, ma non sempre. Penso che questo risalga al mio fascino per Burzum. Ha utilizzato molte sfumature nella sua musica e per me l’oscurità può essere bella, sai? Ed è quello che ho cercato di fare con una canzone come “Bortgang”, in cui mi pongo delle domande filosofiche sul senso del trapasso. Cosa stai effettivamente lasciando dietro di te? Delle tracce rilevanti? O la morte stessa è priva di significato? Penso che sia una delle canzoni migliori che abbia mai composto sino a oggi. Sono molto contento di essa e lo stesso posso dire di “Svik”. In questo caso, le melodie sono un po’ più cupe e a dominare è un’atmosfera di tristezza. Il pezzo, infatti, racconta dell’essere traditi dalla propria famiglia, un qualcosa che tutti possono vivere e sentire a un certo punto della loro vita, alcuni più di altri. Non è una bella sensazione.

In “Høye Murer” spicca la presenza vocale di Erlend Hjelvik, ex cantante di Djevel e Kvelertak. Come è nata la vostra liaison? E cosa ha dato di diverso al brano il suo cantato?

È successo quando stavo facendo il mio podcast. Era uno dei pochi musicisti che in realtà non conoscevo da prima, e mi ha contattato per registrare un episodio. Ci siamo incontrati e ricordo che, mentre scrivevo le canzoni per “Dypet”, pensavo che sarebbe stato bello avere una voce ospite nell’album. La sua ugola è davvero fantastica, ha questo timbro aspro, più rock che metal, un po’ simile a quello di Lemmy dei Motörhead. Ha cantato a distanza nel suo studio e mi ha inviato delle tracce. E quello che ha aggiunto è un qualcosa che suppongo le persone di altri paesi possano comunque percepire: il suo dialetto. È stato davvero divertente per me ascoltare le mie parole in un gergo diverso, e questo ha dato alla canzone una certa originalità.

Uno dei pezzi più interessanti è sicuramente “Tilbake Til Opprinnelsen”, il cui testo ha qualche addentellato con le questioni ambientali tanto oggetto oggi di discussione.

La tua pronuncia è fantastica anche se non sei norvegese! A proposito della canzone, il protagonista è un mondo che, vedendo tutto ciò che l’umanità ha creato, dalle religioni di merda alla povertà, dall’egoismo all’inquinamento, decide di cancellare sé stesso e ricreare, da zero, fiumi, oceani e montagne. Questo è fondamentalmente il tema del brano, e ne sono molto felice. È qualcosa di davvero epico.

Alla luce delle caratteristiche di quest’ultimo lavoro, i Mork si sono staccati molto dal retaggio dei Darkthrone. Ma ti senti in qualche modo un loro erede?

Forse all’inizio, quando ho registrato i miei primi due album, in particolare “Isebakke”, nel quale penso di essere stato molto più aderente al retaggio dei Darkthrone, portando con orgoglio la torcia del metallo nero originario. Oggi credo che i Mork siano molto diversi da allora, ma non posso dire di non sentirmi un loro successore. Certo che lo sono. Ho grande rispetto per la loro eredità. Veniamo dalla stessa nazione, ma, allo stato attuale, faccio soltanto quello che sento dentro. Ed è black metal, ovviamente. In ogni caso, spetta a te, e in generale agli ascoltatori, valutare la mia arte e se essa sia abbastanza degna da essere accostata a quella dei padri della Fiamma Oscura.

Prima hai parlato di qualche novità sul versante delle pubblicazioni di cui non vuoi anticiparci nulla. Ma puoi dirci se la recente abitudine dei Mork di intervallare gli album con degli EP sarà rispettata anche questa volta?

Speriamo di sì. L’ultima volta avevo consegnato troppe canzoni alla Peaceville per un solo album e, dal momento che i brani erano così buoni da meritare una pubblicazione ufficiale, a settembre dello scorso anno abbiamo deciso di rilasciare “Den Svevende Festnig”. E poi un mini è una scusa molto divertente per fare qualcosa di diverso. In entrambi quelli realizzati più di recente, compreso “Pesta” del 2020, ho incluso alcune tracce dal vivo oltre a cover e inediti, e credo che il risultato finale sia stato fantastico. Sai, anch’io sono sempre stato un fan di questo genere di cose e spesso ho comprato gli extended play dei miei artisti preferiti. Insomma, mi piacerebbe davvero tanto fare il tris su Peaceville.

Soprattutto durante la pandemia, hai registrato una serie di podcast meravigliosi, nei quali hai intervistato diverse personalità del mondo black metal. Ce ne saranno altri in futuro? E quali sono stati gli incontri più significativi? Personalmente, ho trovato molto divertente l’episodio con Nocturno Culto.

Beh, vedremo. Probabilmente realizzerò alcuni episodi, ma non in rapida successione come durante la pandemia. Ora utilizzo il mio tempo sia per creare nuova musica sia per i live, visto che sono aumentate le occasioni di tenere concerti. Cercherò di registrarli ogni volta che il tempo me lo permetterà. È un po’ triste perché negli ultimi due mesi ho fatto quasi un paio di episodi, ma non ha funzionato, quindi chissà quando accadrà di nuovo. Per quanto riguarda i colloqui più interessanti, questa è una bella domanda. Direi che ogni conversazione è stata molto buona perché era come se due amici sedessero insieme a chiacchierare per ore bevendo una birra. Molti li conosco da anni, altri li ho incrociati per la prima volta durante i podcast. La cosa divertente è che ragazzi come Håvard Jørgensen e Vicotnik non avevano mai fatto questo tipo di interviste in passato ed è stato davvero interessante ascoltare le loro vicende e il loro background. L’incontro con Gaahl è stato sicuramente il più sorprendente ed è stato un vero piacere parlarci, ha raccontato tutta la sua storia. A tratti sembrava di essere in un film horror, nominava sempre Satana e avevo paura che combinasse qualcosa di brutto, ma fortunatamente non l’ha fatto (ride, ndr). Nocturno Culto, invece, è un mio caro amico, quindi è stato probabilmente il più rilassato. C’eravamo appena accomodati sul mio divano dopo che aveva passato la notte a casa mia e il giorno prima aveva registrato la voce per “Svartmalt”, uno dei brani di “Katedralen”. Insomma, si trovava in un ambiente che lo rendeva tranquillo, ma forse era anche un po’ sbronzo (ride, ndr).

È previsto un tour a supporto dell’album? E magari anche un’incursione in Italia non ci dispiacerebbe per niente.

Il mio problema è che non ho un booking agent. Certo, ci piacerebbe molto venire in Italia, credimi. Ci siamo stati una volta, quando abbiamo suonato a Parma poco prima del COVID-19 al Black Winter Fest. Ma vorremmo tornare in un’altra città. Ho visto che sei a Roma, vero?

Non proprio Roma, ma nelle vicinanze.

Ebbene, Roma è fantastica, la adoro. Per quanto riguarda i concerti, abbiamo da poco suonato in un club qui in Norvegia. Tra un po’ saremo all’Inferno Metal Fest di Oslo, a fine aprile andremo a Berlino per la prima volta, al Walpurginacht Festival, e quest’estate torneremo in Germania al Flammen Open Air. Ad agosto, invece, sarà la volta del Brutal Assault. E poi stiamo lavorando a un grande tour in ottobre, ma non in Europa.

Negli Stati Uniti?

Non voglio dire nulla. Sai, dovesse saltare tutto! Ma toccheremo due angoli del mondo in cui non siamo quasi mai stati. E questo è davvero interessante. Per l’Italia, tocca a voi aiutarmi.

Ci proveremo. Thomas, grazie mille per l’intervista. Vorresti lasciare un messaggio ai fan italiani dei Mork e ai nostri lettori?

Se ci sono dei fan italiani di Mork là fuori, vorrei solo dire grazie mille. Apprezziamo molto il supporto che ci danno. Come ti ho detto, siamo stati una volta da voi e vogliamo tornare il prima possibile. Personalmente sono stato a Venezia un paio di anni fa, è stato indimenticabile. Amo il vostro cibo e gli italiani sono altrettanto deliziosi. Ah, un’altra cosa. Bevo molto Fernet Branca. Lo fanno a Milano?

Certo, dal 1845 lo producono le distillerie dei fratelli Branca a Milano.

Oh, meraviglioso. Buona serata e buona bevuta!

Grazie!

Comments are closed.