“Se tu potessi fare una domanda a Venerus, che cosa gli chiederesti?”. Il fan a cui abbiamo appena posto questo quesito non ha dubbi: “Se vuole fare l’amore con me”. Poi si attacca a una transenna, di quelle che separano il prato dal backstage del palco, e inizia a urlare “Andrea, vieni fuori!”, seguito a ruota da una schiera di ragazzi. E alla fine Andrea Venerus esce fuori davvero, venendo istantaneamente travolto dalla piccola folla in estasi che gli chiede foto e autografi, accogliendolo come uno sciamano cosmico o un hippie dei giorni nostri (ossia uno con pantaloni cargo e brillantini floreali sui denti al posto di bandane e jeans a zampa). Sembra un’ordinaria (più o meno) scena post-concerto nel nostro Bel Paese, se non fosse che siamo a Budapest, allo Sziget Festival 2024, dove il cantautore e polistrumentista milanese si è appena esibito per la sua unica data all’estero del tour estivo. L’abbiamo incontrato anche noi – dopo le foto e gli autografi – per fare una chiacchierata con lui circa l’ispirazione dietro alla sua musica: il viaggio, la natura e persino un po’ di poesia.

Ciao e benvenuto a SpazioRock! Come stai?

Ciao! Grazie, molto bene, sono molto contento.

Com’è andato questo esordio allo Sziget? Ho visto che c’era una fanbase incredibile ad attenderti.

Incredibile, è stato incredibile. Sono arrivato qua oggi pomeriggio e il festival era gigante, bellissimo, ma ovviamente davanti a questo palco non c’era nessuno e non sapevo ancora cosa immaginarmi. E poi ho portato un live che comunque abbiamo provato soltanto ieri, e quindi c’erano tante sorprese e tante possibili incognite… è stato splendido, c’era un sacco di gente molto calorosa, è stato bellissimo.

Mi sono informata un po’ sul tuo “background” artistico e so che ti sei trasferito a Londra per qualche anno. Che cosa cercavi, lì, e che cosa hai trovato?

Cercavo avventure, storie. Cercavo una mia strada. E ho trovato un pezzo di percorso, ho trovato un pezzo di vita e quello che mi ha portato fino ad adesso. Niente di materiale, insomma: era più una questione di pezzetti del puzzle della mia vita. Mi ha dato tantissimo, sono molto legato a quella città e ci torno spesso.

Pensi che viaggiare dia un altro “sapore” alla musica?

Alla vita! Assolutamente, io cerco di viaggiare il più possibile e più vado avanti, più mi rendo conto che è anche uno dei motivi per cui faccio questo, nella vita. Per la possibilità di essere sempre in giro, e la musica diventa un po’ un mezzo per viaggiare col corpo, con la mente, con le emozioni.

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Venerus allo Sziget Festival 2024

La tua musica viene spesso descritta come “spirituale”. Qual è la “filosofia”, se ce n’è una, che infondi nel tuo sound e nelle tue parole? 

La quiete. La quiete è quella che cerco di trovare, che cerco di vivere nella mia quotidianità, e che ovviamente non sono sempre in grado di sostenere. Ma anche nel rumore cerco di comunicare una sensazione di pace, di tranquillità, di nonviolenza, di condivisione, che appunto la natura è molto capace di mettere in atto, e noi un po’ meno. Cerco, insomma, di avvicinarmi il più possibile a quel sentimento.

È una cosa che ho notato anche leggendo i tuoi testi; una canzone che mi piace particolarmente è “Sei acqua”, scritta con i Calibro 35. C’è una strofa in cui ho visto un riferimento quasi dannunziano: un “unirsi” con la natura, un po’ stile panismo…

Certo. La poesia è una cosa che mi piace tanto, che ho sempre letto, a cui mi sono sempre interessato. Ci sono ovviamente tante persone che prima di me l’hanno cercata, sondata, indagata con le parole, con il cuore. Ci si inserisce, poi, in un “solco”, quando si scrive: è bello avere anche un po’ di prospettiva di chi c’è stato prima, e anche cercare di “tramandare” qualcosa. Di portare avanti qualcosa, un messaggio.

Tra l’altro nella primissima canzone di quell’album [“Magica musica”, ndr] dici “ci è parso di vedere una luce pulsare a tempo con il suono”. Ricollegandoci alla poesia, la chiameremmo “sinestesia”: una figura retorica, ma anche un fenomeno psicologico. È qualcosa che ti riguarda?

Totalmente! È una chiave di lettura, penso, di molte cose nella vita. È tutto molto più comunicante di come l’abbiamo diviso noi esseri umani. È tutto anche molto più semplice, probabilmente, di come l’abbiamo cercato di descrivere nella nostra cultura ed è bello, secondo me, cercare di raccontarlo in modo, insomma, un po’ più trasversale. E “sinestesico”, appunto.

Da questo punto di vista, quale pensi che sia, al momento, la tua canzone che esprime meglio questa essenza? Se ce n’è una, perché?

Forse “Ogni pensiero vola”, che è una canzone che racconta un po’ di queste dinamiche di proporzioni. Tanti fenomeni che osserviamo nel grande poi si rispecchiano anche nel piccolo: c’è tutta una parte che parla di un prato come se fosse un universo, semplicemente perché è una sorta di “zoom” in quella situazione. 

Questa era la mia ultima domanda, grazie mille per il tuo tempo!

Grazie a te!

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