È una giornata infuocata quella che aspetta il popolo del metal all’Arena Parco Nord di Bologna: sia per le torride temperature estive, ma soprattutto per il ricco bill del Knotfest, il festival organizzato dagli Slipknot alla sua prima prova in terra italiana.

Un evento ricchissimo che inizia a popolare il palco bolognese già dall’ora di pranzo con i nostrani Destrage a deliziare i primi avventori del festival, già numerosissimi per accaparrarsi un posto in transenna nel pit; la voglia di vedere gli headliner da vicino è più forte della calura bolognese e il pubblico non fa che infoltirsi mano a mano che si procede nella scaletta. Bleed From Within e Nothing More si susseguono sul palco dando ripetute scariche di adrenalina, ma è per i Lorna Shore che il pubblico inizia davvero a scaldarsi. La band statunitense non lascia spazio a posizioni intermedie: o si ama o si odia. È però evidente che il pubblico del Knotfest apprezzi e non poco la performance della band, complice anche lo spirito spiccatamente positivo che pervade il festival. Caldo e polvere non fermano il popolo del metal, venuto da tutta Italia e non solo, per questo evento davvero unico: ci pensano birra e l’acqua gratuita a ristorare gli avventori e a lenire gli effetti dell’estate bolognese.

L’arrivo sul palco degli I Prevail sancisce lo scatenamento definitivo delle forze dei fan: la band del Michigan porta sul palco tutta la propria forza ed energia e il pubblico ne è ammaliato. Pogo e circle pit si sprecano mentre gli I Prevail propongono il meglio della loro discografia, esaltati anche dal fatto di essere in Italia per la prima volta, da “Body Bag” a “FWYTYK”, introdotta da un accenno a “Chop Suey” dei System Of A Down che fa letteralmente perdere la testa al pit. Il ritmo è serratissimo e la puntualità è importante per lo svolgimento corretto del festival, ma gli I Prevail non si fanno intimidire, proponendo ben 11 brani per la gioia dei fan. Il tempo di un deciso cambio di palco e di genere ed ecco arrivare gli Amon Amarth, preceduti da scenografie dal sapore norreno e da due enormi vichinghi gonfiabili. Con Odino dalla propria parte, è il caso di dirlo, la band svedese prende possesso del palco del Knotfest con la maestria e la carica che solo dei rocker navigati come loro possono avere. Gli Amon Amarth pescano con sapienza dalla propria discografia degli ultimi 20 anni, proponendo sia brani recenti come “Shield Wall” che pezzi più datati come “The Pursuit of Vikings” e la epica, conclusiva “Twilight of the Thunder God”. Tra profanità in perfetto italiano, bevute di alcol dai corni e un momento incredibile in cui il pubblico si siede e voga come vichinghi su un drakkar, la band di Johan Hegg convince e conquista anche lo spettatore più scettico e per qualche minuto tutti ci sentiamo un po’ vichinghi.

Direttamente da Brighton, Inghilterra, ma muniti di italianissimo spritz, ecco arrivare sul palco gli attesissimi Architects, che accompagnano il tramonto sull’Arena Parco Nord con uno show di alta qualità. La band inglese propone principalmente brani tratti dagli ultimi due lavori, con brevi incursioni nel loro recente passato: “Doomsday”, “deep fake”, “Meteor” ma soprattutto l’incendiaria “Animals” rendono quello degli Architects uno show granitico, compatto, duro come un pugno in piena faccia ed accolto con grandissimo favore dal pubblico del Knotfest. Evidentemente molti dei presenti hanno gradito l’inserimento nel bill della band britannica ed è una vera chicca vederli esibirsi su un palco così importante, il modo perfetto per attendere i protagonisti della giornata.

Le lunghe ore sotto il sole vengono ripagate intorno alle 21:40: con uno scoppio di pyro viene calato il telone che nascondeva il palco ed ecco arrivare Corey Taylor e soci, pronti a far risalire la temperatura nell’arena bolognese. L’apertura è affidata a “The Blister Exists” ed è subito una grande esplosione di adrenalina: tutti, dalle transenne alla collinetta, sono in piedi, urlando a squarciagola con gli Slipknot. Il concerto è a supporto dell’ultimo lavoro “The End, So Far” ma lo spazio maggiore è lasciato ai grandi classici che si susseguono senza tregua: da “Psychosocial” a “Wait and Bleed”, passando per “The Heretic Anthem” direttamente dal leggendario “Iowa”, per toccare un altissimo apice con “Snuff”, per la quale Taylor chiede l’aiuto di tutta l’arena. Anche se orfani del Clown, che è dovuto tornare in America per motivi familiari, gli Slipknot danno tutto e tirano fuori una potenza sonora inaudita, corredata da spettacoli pirotecnici e scenografie altamente tecnologiche. Del resto sono loro i padroni di casa, l’intero impianto del festival è incentrato sulla band statunitense, che sembra non risparmiare nemmeno un briciolo di energia per far tornare a casa felice il proprio pubblico. “People = Shit” colpisce l’audience come un uragano, tutto il pubblico bolognese salta, poga e canta, ma Taylor e soci non lasciano un attimo di respiro: “Duality e “Spit It Out” chiudono in bellezza il set, con pubblico e band che danno davvero tutto per una perfetta conclusione.

In conclusione questa prima prova del Knotfest italiano si chiude con un bilancio più che positivo: dall’ottima organizzazione alle performance delle band, tutto è andato secondo le aspettative, anzi queste sono state ampiamente soddisfatte e superate. Il risultato finale fa sperare per un’eventuale nuova edizione.

Setlist Slipknot

The Blister Exists
The Dying Song (Time to Sing)
Liberate
Yen
Psychosocial
The Devil in I
The Heretic Anthem
Eyeless
Wait and Bleed
Unsainted
Snuff
Purity
People = Shit
Surfacing
Duality
Spit It Out

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