L’estremo spesso veste abiti sorprendenti, soprattutto nel tardo autunno.

Black Anvil – Regenesis (Season Of Mist)

Formatisi nel 2007 a New York, i Black Anvil principiarono come il progetto black/thrash dei membri della band hardcore Kill Your Idols. Un primo album, “Time Insults The Mind” vide la luce nel 2008, poi, in successione non così rapida, uscirono “Triumvirate” (2010), “Hail Death” (2014) e l’ultimo – e tutt’altro che banale – “As Was” (2017). Dopo un’attesa di ben cinque anni, gli statunitensi tornano ora con “Regenesis”, confermando ancora una volta quella che rappresenta una caratteristica precipua del loro songwriting, ovvero un continuo e graduale affinamento attraverso l’inclusione di aspetti estranei alla proposta originaria senza che questo significhi una riduzione della loro furia nichilista. I newyorchesi corrono sì prevalentemente lungo i sentieri della violenza più efferata e soffocante, eppure si permettono con nonchalance avventure fuoristrada nelle cloache dell’industrial, del post punk e dello sludge, intasandone gli spurghi di birra scaduta e urina rancida. Barbara e spettrale, la Nera Incudine falcia essere umani meglio della Morte.

Tracce consigliate: “In Two”, “29”, “Silver & Steele”, “Castrum Doloris”

Detherous – Unrelenting Malevolence (Redefining Darkness Records)

La fusione di vari generi estremi al fine di creare un suono esplosivo, ha caratterizzato gran parte della scena metal dei fertili anni ’80, con l’emergere di gruppi ancora oggi in attività e oggetto di totale venerazione. Non sappiamo se in futuro i Detherous riusciranno a scrivere – o riscrivere –  la Storia, ma risulta pacifico affermare che il death/thrash esperito dal combo nel loro secondo album “Unrelenting Malevolence” sia di una natura così viziosa e sinistra da rendere inutile ogni tentativo di fuga auricolare. Dopo una demo omonima nel 2017 e un mini live l’anno successivo, entrambi capaci di suscitare un grande interesse a livello underground, la Redefining Darkness Records li mise sotto contratto, pubblicandone il deflagrante, benché acerbo esordio “Hacked To Death” (2019). Il nuovo opus, sempre sotto l’egida della label dell’Ohio, fluttua tra una serie impressionante di influenze euroamericane – dai Cannibal Corpse agli Epidemic, dai Sadus agli Slayer – , trovando forse nei lavori dei Demolition Hammer il paragone più calzante. I canadesi gestiscono la materia con perizia morbosa e furia brutale, senza lasciare la minima possibilità di rifiatare: la dimostrazione che un fuoco inestinguibile arde sotto il ghiaccio di Calgary.

Tracce consigliate: “Interminable Mutilation”, “Gruesome Tools Of Torture”, “Reek Of The Decayed”, “Cataclysmic Devastation”

Drudkh – All Belong To The Night (Season Of Mist)

Roman Saenko, mastermind dei Drudkh, non esce mai dai confini del proprio lavoro artistico: concerti e interviste non lo interessano, a maggior ragione in un periodo come questo, così delicato per la sua natia Ucraina e molto diverso dal 2018, quando uscì “They Often See Dreams About Springs”, l’ultimo lavoro in studio della band di Charkiv. Il nuovo album “All Belong To The Night” non risente assolutamente della difficile situazione in cui versano le propaggini estreme dell’Europa Orientale, veicolando, invece, quella splendida mistura di black metal e misticismo slavo che rappresenta da sempre il trademark dell’entità cirillica. Un disco autunnale, al tempo stesso sferzante e malinconico, carico di quelle suggestioni che soltanto delle liriche in lingua madre sono in grado di evocare e con l’espressivo cantato del fedele Thurios capace di oscillare mirabilmente tra sublime disperazione e ferale aggressività. Ancora un lavoro di alta qualità, dunque, per una band che, giunta al nono full-length, pare non conoscere cosa significhi battere un colpo a vuoto.

Tracce consigliate: “The Nocturnal One”, “November”

Ingested – Ashes Lie Still (Metal Blade Records)

Molte le cose accadute dietro le quinte degli Ingested dopo la pubblicazione, nel 2020, di “Where Only Gods May Tread”, per la maggior parte piuttosto negative. Se la firma con la Metal Blade Records ha rappresentato per gli inglesi il premio di una carriera ineccepibile, l’uscita dalla line-up di Sam Yates e soprattutto la tragica morte del padre di Sean Heynes a inizio pandemia, sono stati eventi responsabili dell’ombra luttuosa e mesta che grava sul loro nuovo album “Ashes Lie Still”. Un long playing di cupa introspezione che beccheggia in quella terra di mezzo tra death metal e deathcore, terra nella quale i britannici sguazzano a meraviglia, fondendo antico e contemporaneo attraverso un’architettura compositiva matura ed equilibrata, molto più asciutta e groovy rispetto al passato recente. Scelta “mainstream” frutto del contratto con un’etichetta di maggiore visibilità rispetto alla Unique Leader e di una legittimo desiderio di affermazione internazionale, ma anche di una crescita complessiva così evidente da rendere il vecchio “Surpassing The Boundaries Of Human Suffering” (2009) quasi un disco opera di un’altra band. Matthew Heafy dei Trivium e Sven De Caluwé degli Aborted fungono sia da ospiti di grido sia da collante identitario per un act ormai prossimo al boom definitivo.

Tracce consigliate: “Tides Of Glass”, “From Hollow Words”, “Echoes Of Hate”

Xentrix – Seven Words (Listanable Records)

Una delle realtà cardine della scena thrash inglese di fine anni ‘80, divenuta tale soprattutto grazie a un dinamitardo debut album come “Shattered Existence” (1989), gli Xentrix si sciolsero nel 1997, nonostante la stima di appassionati e addetti ai lavori. Nel 2013 i vecchi membri Kristian “Stan” Havard e Dennis Gasser, rispettivamente ascia solista e drummer, resuscitarono la gloriosa formazione, completandone la line-up con il bassista Chris Shires e il cantante, oltre che secondo chitarrista, Jay Walsh. Se “Bury The Pain” (2019) rappresentava un piacevole cavallo di ritorno discografico, questa sesta fatica in studio “Seven Words” continua a diffondere la medesima energia del predecessore, confermando una scrittura delle canzoni che guarda al movimento della Bay Area senza grandi pruriti mentali. Cordofoni a martello pneumatico, melodie accattivanti, voce guerrigliera, qualche break giusto per tirare il fiato: una formula efficace e di sicuro impatto, che, nonostante palesi una certa schematicità di fondo, mostra un quartetto ben deciso a non gettare la spugna. Garanzia assoluta di headbanging.

Tracce consigliate: “Behind The Walls Of Treachery”, “My War”, “Kill And Protect”

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