Black e death battezzano l’alba estrema del 2024.

Plates 1

At The Plates – Omnivore (Autoproduzione)

Anche se il monicker potrebbe far pensare al sollevamento pesi, in realtà gli At The Plates si occupano, nei loro testi, del tema dell’alimentazione e dei problemi e delle scelte a essa correlati, trattando l’argomento con spirito parodico/dissacratorio, non di rado al limite del demenziale. Dopo un onesto debutto come “Starch Enemy” (2020), il trio della Virginia confeziona, ora, un “Omnivore” che rappresenta una buona miscela di diversi stili death spesso alternati all’interno del medesimo brano e tra i quali a prevalere è soprattutto quello svedese di metà anni ’90 di At The Gates e Dark Tranquillity. Le faville melodiche dei maestri scandinavi vengono intrecciate alle sfumature cavernose di area floridiana, alla spietatezza grind di primi Carcass e Macabre e al tecnicismo focoso di Arsis e Revocation, per una pietanza finale che, pur mostrando ancora qualche difetto in termini di gestione del songwriting, appare viepiù fresca e accattivante, con alcuni riff capaci di stamparsi in testa sin dal primo ascolto. Dedicato a chi non crede che il metallo della morte abbia le facoltà di educare a un sano regime dietetico, rigorosamente in autoproduzione.

Tracce consigliate: “Punish My Waistline”, “Roastwell 47”, “Open Buffet Surgery”

Chile 1

Deconsekrated – Ascension In The Altar Of Condemned (Iron, Blood And Death Corporation)

Nati quattro anni fa in quel di Temuco per volere del chitarrista e principale compositore Agorh Sculptor, ascia dei Cryptic, e della cantante e bassista Cath Laptikovsk, i Deconsekrated si fecero conoscere nel più abietto underground sudamericano per mezzo di un demo tape di due soli brani, “The Hidden Paths”. Una release semiamatoriale nella quale, però, già si intravedevano le intenzioni future della band cilena, tese alla realizzazione di un death metal vecchia scuola di matrice statunitense e profondamente blasfemo, con un’attenzione particolare non soltanto alla costruzione dei riff, ma anche all’evocazione di un’atmosfera occulta, un po’ sulla scia di molte formazioni connazionali in auge tra la fine dei ’90 e l’inizio dei Duemila. Vibrazioni stilistiche che trovano buona attuazione nell’esordio “Ascension In The Altar Of Condemend”, inciso da una formazione, a parte il mastermind, nuova di zecca, in grado di muoversi con sicurezza nei territori sacrileghi di Morbid Angel e Incantation, con un occhio particolare riservato ad album come “Covenant” e “Mortal Throne Of Nazarene”. Ventinove minuti di tradizione rivisitata con gusto.

Tracce consigliate: “Ancestral Voice”, “Spectral Rites”, “Litany Of The Blapshemous”

Engulf

Engulf – The Dying Planet Weeps (Everlasting Spew Records)

Chitarra ritmica dei Blasphemous, il polistrumentista Haul Microutsicos, formatosi sugli spartiti di Gorguts, Hate Eternal, Morbid Angel, Suffocation e Ulcerate, è l’unico responsabile degli Engulf, one man band che ha visto crescere la propria statura compositiva attraverso un climax di tre ottimi  EP. I tempi, dunque, sembravano ormai maturi per il debutto sulla lunga distanza, presagio oggi avveratosi con il rilascio di “The Dying Planet Weeps”, album nel quale il musicista del New Jersey riesce a elaborare un brutal/technical death metal dalle atmosfere fantasy/sci-fi, piuttosto equilibrato nelle sue varie sfaccettature e influenze, anche grazie al lavoro al basso di Giacomo Castaldi dei Darkend, capace di rendere fluida e cinetica una sezione ritmica retta dalla freddezza spigolosa della drum machine. I certosini ricami produttivi di Chris Kelly, sottovalutata ascia degli Alustrium, permette al disco di suonare fine e moderno, mentre i tanti ospiti illustri, soprattutto vocalist (Patrick Bonvin, Kevin Miller, Sven De Caluwé, Enrico “H” De Lorenzo”), ne accentuano il lignaggio e la visibilità: cos’altro si può pretendere?

Tracce consigliate: “Bellows From The Aether”, “Ominous Grandeur”, “Earthbore”

Krvna 1

Krvna – The Rhythmus Of Death Eternal (Third Eye Temple)

Dopo aver commosso i cultori del metallo nero in virtù di due full-length di ottima fattura e rilasciati a distanza di dodici mesi l’uno dall’altro, “Sempiternus” (2021) e “For Thine Is The Kingdom Of The Flesh” (2022), il progetto solista Krvna torna nel nuovo anno con un EP di cinque brani, tra cui un paio di cover dal repertorio di Abigor e Bathory. Nelle tre canzoni originali di “The Rythmus Of Death Eternal”, il mastermind australiano Krvna Vatra Smrt, polistrumentista e songwriter anche attivo in Dearthe e Pestilential Shadows, rispettivamente nelle vesti di drummer e chitarrista, si occupa di profonde tematiche filosofico-religiose, incastrandole entro una forma canzone allo stesso tempo aggressiva e maestosa. La violenza dei Marduk e la gelida poesia melodica dei Dissection si intersecano in un contesto sonoro dal taglio epico, nel quale a predominare è un misticismo sublime e a tratti sensuale, anche quando la creatura australiana spinge a tavoletta sull’acceleratore. E reinterpretare pezzi come “As Astral Images Darken Reality” e “Man Of Iron” la dice lunga sul passato, il presente e il futuro della one man band di Sidney.

Tracce consigliate: “Endless Monument”, “A God’s Work”, “What Great Lengths”

Windark 1

Windark – Wildergrave (Autoproduzione)

Progetto esclusivo di John Marshall, la one man band Windark, il cui monicker riprende l’unico album rilasciato nel 2017 dagli Ulg, vecchia creatura solitaria dello stesso mastermind statunitense, si dedica a un atmospheric black metal appena soffuso di depressive, tanto tradizionale quanto efficace. Dopo il buon debutto “Lore” (2018), oggi tocca all’EP “Wildergrave”, nel quale il musicista di Bend si compiace di distendere un tappeto sonoro denso, ma gradevole all’ascolto, con lunghi passaggi di synth supportati da chitarre in tremolo e da ritmiche ad alto voltaggio. Nella breve tracklist si può quasi avvertire la disperazione notturna degli inverni dell’Oregon, regione che, in quanto a temperature rigide, nulla ha da invidiare alle condizioni climatiche norvegesi, con i Nocturnal Depression a fare da guida tra le ombrose foreste e i terreni nevosi. Una produzione sorprendentemente nitida, malgrado venga gestita in totale indipendenza, permette al disco di insinuarsi nel cuore come un pugnale di ghiaccio, generando quella malinconia tipica delle stagioni fredde, quando l’unica consolazione è immaginare le conseguenze di un autodafé senza abiura.

Tracce consigliate: “Dark Wind Of A Forest Forgotten”, “Black Mountain Beyond The Moonlight”, “Sorrow Scream From A Funeral Wind”

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