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Necrophobic – In The Twilight Grey

Che a livello grafico il decimo parto dei Necrophobic rimembri l’artwork di “Paradise Lost” dei Cirith Ungol, sebbene in una versione decisamente più fosca e mortifera, opera di Jens Ryden, potrebbe rappresentare il primo indizio di una qualche loro metamorfosi a livello stilistico. Gli ultimi due album in studio, “Mark Of The Necrogram” (2018) e “Dawn Of The Damned” (2020), infatti, presentavano delle cover dal rosso acceso che ritraevano rispettivamente l’esterno e l’interno di una chiesa satanica, una risposta non soltanto estetica al generale grigiore di “Womb Of Lilithu” (2013), senz’ombra di dubbio il peggior lavoro della discografia del gruppo di Stoccolma.

Dopo il ritorno in line-up, nel 2016, dei chitarristi di lunga data Sebastian Ramstedt, compositore principale della band, e Johan Bergebäck, il quintetto ha ripreso a marciare a dovere, macinando un death/black luciferino e dalle venature classiche, tanto aggressivo quanto accattivante, e spesso vettore di pezzi dalla clamorosa presa uditiva. Soprattutto nello scorso full-length, però, gli scandinavi si erano resi protagonisti di una scrittura meno diretta rispetto alle abitudini, concependo delle canzoni ambiziose e di ampio respiro, altresì orecchiabili benché all’interno di un contesto strutturale non esattamente rettilineo. Il nuovo “In The Twilight Grey” segue l’indirizzo generale del predecessore, aggiungendo qualche elemento capace di diversificarlo da esso e che giustifica, dunque, anche le plumbee tonalità della copertina.

Pompati dalla produzione poderosa del fido Fredrik Folkare, i brani mostrano, ancora una volta, una scrittura dal taglio progressivo, sì sempre alla ricerca del refrain d’impatto, ma in grado di accogliere nel proprio seno sia vagonate di heavy anni ’80 sia chiari rimandi ai Bathory dell’era viking, non dimenticando di dare ospitalità, lungo lo scheletro del full-length e simbolicamente nell’evocativa chiusa strumentale “Ascension (Episode Four)”, alle soluzioni extreme di un album svolta come “Darkside” (1997). Una tracklist, di conseguenza, piacevolmente varia ed efficace, che passa dal piglio cadenzato di “Grace Of The Past” e ai grezzi accenti thrash di “Clavis Inferni” a una teatrale e anthemica “As Stars Collide”, che, insieme all’epicissima “Nordavind”, costituisce la combo perfetta per celebrare le intuizioni pionieristiche del compianto Quorthon.

Una solennità pagana che, sovente incastonata entro ariosi arrangiamenti atmosferici, si esalta nel bridge di “Stormcrow”, percorre sottopelle i maligni palm mute di “Shadows Of The Brightest Night” e i tersi intarsi eufonici della title track, mentre i ronzii dei vespai di “Cast In Stone” e “Mirrors Of A Thousand Lakes” ci avvertono del tradizionale assalto all’arma bianca, con un Andres Strokirk che sputa brace fredda dalla gola in fiamme e gli assoli quasi malmesteeniani della coppia d’asce deputati a custodire l’imprimatur classic del platter. L’ingresso dell’esperto bassista Tobias Cristiansson, alle quattro corde già in Dismember e Grave e attuale membro fisso dei Darkened, non provoca scossoni di sorta, sostenendo in modo opportuno le ritmiche spietate del drummer e co-fondatore Joakim Sterner, impeccabile e mefistofelico nel suo saper polverizzare con brutale eleganza.

“In The Twilight Grey” riesce a sposare a meraviglia ferocia e melodia, marchio di fabbrica di casa Necrophobic, beneficiando inoltre di quelle variazioni che consentono agli svedesi di rilasciare dei lavori stuzzicanti, impresa non facile visti i trentacinque primavere di carriera sul groppone. In questo caso, forse, si eccede in minutaggio, eppure, onestamente, quali migliori traghettatori scegliereste per menarvi a l’altra riva / ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo?

Tracklist

01. Grace Of The Past
02. Clavis Inferni
03. As Stars Collide
04. Stormcrow
05. Shadows Of The Brightest Night
06. Mirrors Of A Thousand Lakes
07. Cast In Stone
08. Nordanvind
09. In The Twilight Grey
10. Ascension (Episode Four)

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