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Quando chi scrive, l’ultima volta che i Nothing But Thieves erano stati in Italia, aveva ipotizzato parecchi nuovi fan per la data di febbraio, di certo non immaginava che i nuovi fan sarebbero stati così tanti. 

“La data”, infatti, ha poi finito per raddoppiarsi, con un secondo round in programma per il 27 febbraio. Tutto esaurito da mesi per entrambi i live – come, d’altronde, per gran parte del tour europeo –, a dimostrazione del fatto che i cinque inglesi erano già direzionati da tempo verso una posizione di indiscusso rilievo nel panorama rock odierno. 

Numerosissimi coloro che accorrono sotto al palco del Fabrique già dalle diciannove: molti di loro, del resto, erano in fila sin dall’ora di pranzo, incuranti del diluvio universale e del freddo tagliente che imperversano su Milano da tutto il giorno. Il locale è ormai pieno quando entrano in scena gli opener, i Bad Nerves, quintetto compaesano degli headliner (dall’Essex con furore) autodefinitosi “powerpop punk”. Il loro sound, che ricorda per certi versi gli Strokes, è adrenalinico quanto basta per “scaldare” a dovere la folla; il gruppo dimostra un’energia e una bravura notevole, i brani proposti sono tanto brevi quanto rapidi (“Adesso rallentiamo” dice a un certo punto il frontman Bobby Nerves — affermazione seguita da un minuto di silenzio e, ironicamente, dall’ennesima canzone frenetica). 

Il pubblico, nella mezz’ora di cambio palco, appare già alquanto esaltato. Mentre qualcuno tira fuori il telefono per vedere Fiorentina-Lazio – partita commentata a gran voce da una schiera di persone, ça va sans dire – a fare da sottofondo c’è Dead Club Radio, playlist/emittente fittizia introdotta all’inizio del tour (e decisamente pensata per l’occasione: l’inside joke dell’annunciare “Neon Brother” e far invece partire “Never Gonna Give You Up” ha scatenato l’ilarità dei presenti).

Si fanno le ventuno e un quarto, i Nothing But Thieves si presentano in total black, salutano la folla adorante di fronte a loro e iniziano a suonare “Welcome to the DCC”, come di consueto per questo tour (la poca flessibilità della scaletta sarebbe l’unico appunto da fare a riguardo). I brani dell’ultimo album, cui si aggiunge la nuova “Oh No He Said What?”, occupano un terzo della setlist; sebbene si senta la mancanza di certi pezzi forti del passato (“I Was Just A Kid” e “Your Blood” su tutti), occorre anche notare che, arrivati a quattro dischi di livello, i pezzi forti sono ormai parecchi. 

I live, per il resto, servono a ricordarci perché questa band sta finalmente riscontrando un enorme successo di pubblico: dedizione e desiderio di migliorarsi di continuo. Rispetto agli anni scorsi si nota la totale assenza di sbavature a livello tecnico, con “transizioni” fluide tra un brano e l’altro per un susseguirsi di performance ancora più serrato. Conor Mason è sempre una garanzia, ma anche i musicisti del gruppo non sono da meno, riuscendo a migliorare ogni singolo brano e a rendere obsolete le preoccupazioni di chi, anni fa, avrebbe pensato che l’unica risorsa dei Nothing But Thieves fosse la voce del loro frontman: se Phil Blake e James Price sono una sezione ritmica compatta e instancabile, i due chitarristi Dom Craik e Joe Langridge-Brown si prendono sempre più spazio sul palco, senza mai sovrastarsi a vicenda. 

Verrebbe anche da pensare che, dopo aver riempito i palazzetti di mezza Europa (prima di venire a Milano erano ad Amsterdam per due date sold-out allo Ziggo Dome, una venue da diciassettemila persone), l’atteggiamento verso il pubblico si sia fatto più distaccato, invece rincuora il sincero interesse che i Thieves dimostrano da sempre verso i propri fan. A tal proposito, il concerto viene fermato due volte: la prima perché Conor Mason chiede di distribuire delle bottiglie d’acqua alle prime file, la seconda per assicurarsi che una persona svenuta verso il fondo del locale sia soccorsa dai paramedici (procedura durata svariati minuti, durante i quali sono intervenuti Mason, Dom Craik e lo stage manager Stuart Dew: “Non possiamo ricominciare a suonare finché non ci assicurate che sia tutto a posto” viene ripetuto più volte).

È chiaro che, da parte di tutti coloro che lavorano al tour, la priorità sia quella di offrire un live magistralmente condotto a chiunque vi partecipi. L’umiltà con cui il gruppo parla dei propri successi, a distanza di anni, lo conferma: “Questa canzone ci ha fatto pensare che forse la nostra musica non faceva schifo” è l’introduzione alla sublime “Lover, Please Stay”. Il pubblico apprezza enormemente questo rapporto con gli artisti e l’emozione legata a certi pezzi è sempre più tangibile — tant’è che, durante la ballad di cui sopra, qualcuno fa una proposta di matrimonio, di nuovo (Mason sembra ricordarsi dell’episodio dell’anno scorso, tant’è che dedica “Impossible” alla coppia in questione). 

Che altro resta da dire su questa band, al netto dell’ennesimo show così ben fatto? Forse solo l’auspicio che, la prossima volta che passeranno dall’Italia, a ospitarli ci sarà un palazzetto come nel resto d’Europa (magari il Forum di Assago, chissà). Dopo un’ascesa lunga undici anni, se lo meriterebbero.

Setlist:

Welcome To The DCC
Is Everybody Going Crazy?
Tomorrow Is Closed
Broken Machine
Real Love Song
City Haunts
Drawing Pins
Sorry
Do You Love Me Yet?
Unperson
Phobia
Lover, Please Stay
Trip Switch
Futureproof
Impossible
Pop The Balloon
Oh No :: He Said What?
Amsterdam
Overcome

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