Dopo una particolare terza giornata capitanata da Paolo Nutini, gli I-Days si spostano all’Ippodromo SNAI La Maura, per una seconda tranche di live in cui permane la diversificazione sonora di sempre. Se a inaugurare il cambio di location era stato Travis Scott con una serata all’insegna del rap, oggi si ritorna al mondo della chitarra elettrica: un alternative rock britannico che si divide fra ieri e oggi, con dello splendido blues senza tempo a inframmezzare il tutto.

Foto: Luca Marenda

Nothing But Thieves

Sono all’incirca le diciotto quando la band dell’Essex sale sul palco del festival, proponendo un set di circa un’ora costituito perlopiù dai suoi singoli più importanti, cui si aggiungono quattro brani del nuovo album “Dead Club City” (uscito soltanto il giorno prima). Nonostante la maggior parte dei presenti non sia lì per loro, i cinque riescono a fare un’ottima impressione grazie a una performance energica e inattaccabile, nonché al carisma di Conor Mason, che spiazza diversi fra i non avvezzi alla sua eccelsa tecnica vocale. Non mancano i fan appassionati, una cospicua schiera individuabile dalle t-shirt della band e da alcuni gesti eclatanti: “Sembra che qualcuno abbia appena fatto una proposta di matrimonio” dice Mason in inglese alla fine della love ballad “Impossible”, per poi rivolgersi alla regia del festival: “Can you show them to me? How do you say that in Italian? Ma che cazzo”. Il gruppo saluta il pubblico con “Amsterdam” (e un “vaffanculo” sorridente da Mason), annunciando che tornerà in Italia il prossimo febbraio. È probabile che allora, fra la folla, ci saranno parecchi nuovi fan. 

Setlist

Welcome to the DCC
Futureproof
Life’s Coming in Slow
Trip Switch
Particles
City Haunts
Tomorrow Is Closed
Sorry
Unperson
I Was Just a Kid
Overcome
Impossible
Is Everybody Going Crazy?
Amsterdam

Foto: Luca Marenda

The Black Keys

All’alternative dalle contaminazioni elettroniche dei Thieves fa seguito un’altra ora abbondante di hard rock, stavolta di stampo americano. Il sound infuso di blues e 70s dei Black Keys è senza fronzoli e danzereccio quanto basta; l’accoglienza calorosa da parte del pubblico è fin da subito tangibile, sebbene ci sia una buona parte dei presenti che non sembra avere idea di chi siano. La band dell’Ohio, che non suonava in Italia da ben otto anni sembra felice di essere tornata e ci tiene a presentarsi a chi non li conosce, in quello che ha l’atmosfera di un nuovo inizio: “I’m Patrick and this is Dan” è la frase che dà il la al set. Il duo ci tiene anche a presentare tutti i turnisti che li accompagnano — Andy Gabbard alla chitarra, Zach Gabbard al basso, Ray Jacildo alle tastiere e Chris St. Hilaire alle percussioni. 

Insieme a questi quattro musicisti, Dan Auerbach e Patrick Carney mettono su un set ineccepibile, composto in buona parte da brani dei loro album “Brothers” ed “El Camino”, tutt’ora fra i più amati dai fan; sul finire del set compaiono le hit radiofoniche (“Lonely Boy”, “Gold On The Ceiling”), durante le quali anche chi era lì per l’headliner successivo si unisce al sing-along collettivo. “See you soon” dicono alla fine del set – e dopo otto anni di assenza, speriamo vivamente che sia così. 

Setlist

I Got Mine
Your Touch
Tighten Up
Have Love, Will Travel (Richard Berry cover)
Everlasting Light
Next Girl
Fever
Heavy Soul
Weight of Love
Lo/Hi
Howlin’ for You
Ten Cent Pistol
Gold on the Ceiling
Wild Child
She’s Long Gone
Little Black Submarines
Lonely Boy

Foto: Luca Marenda

Liam Gallagher

Sono le 22 spaccate. In un angolino, visto da pochi, un individuo incappucciato salta fuori da un’auto nera e sparisce dietro alle impalcature. Ne riemerge qualche minuto dopo, in bermuda, parka e maracas d’ordinanza, anticipato dai cori da stadio del Manchester City e da una registrazione di “Fucking in the Bushes” degli Oasis, nonché da una presentazione che, dato il personaggio, risulta a dir poco ilare (“umile”, “alla mano”, “zen” e via dicendo).

Liam Gallagher questa sera non è in forma smagliante: a parte qualche interruzione del set durante le prime canzoni, forse per problemi di audio, appare leggermente afono. “A volte mi va bene, altre volte no” commenta nello scusarsi a riguardo, “così è la vita”. Ma ai fan di Liam, che lo amano alla follia nonostante facciano fatica a capire il suo accento Mancunian (“che ha detto?” si sente spesso tra la folla), poco importa di un calo di voce. Ancor meno importa loro del suo celeberrimo modo di fare, quel misto di noncuranza e strafottenza con cui si atteggia sul palco, istrionicamente proteso verso il microfono, o con cui ringrazia i milanisti per il supporto al Manchester City – sì, a quanto pare, nel pubblico ci sono anche tifosi della squadra inglese, viste le sporadiche maglie esibite a mo’ di striscioni, ma curiosamente, nessuna maglia dell’Inter a fare da contraltare. 

Impossibile non notare come in tantissimi siano lì non tanto per il Gallagher solista, quanto per il Gallagher cantante di una band che non esiste più, sciolta quattordici anni or sono dall’astio fraterno. “Are there any Oasis fans in the house?” chiede a più riprese Liam, che lo sa molto bene. Il set è infatti composto per metà da sue canzoni – spiccano “Diamond In the Dark”, “Once” e la più recente “C’mon You Know” – e per l’altra metà dai grandi successi degli Oasis, con cui buona parte del pubblico sembra ridestarsi, infiammarsi di un nuovo entusiasmo. Scelta vincente quella di collocare molte delle cover all’inizio e alla fine della scaletta: così come il live viene aperto da “Morning Glory” e “Rock’n’roll Star”, è chiuso in grande stile da “Cigarettes And Alcohol”, “Wonderwall” e “Champagne Supernova”, con le quali il canto diviene davvero collettivo.

Pare, in definitiva, che molti fan di Liam siano in realtà fan degli Oasis, ancora nell’attesa sognante di una reunion; e chissà se i fratelli Gallagher, fra un tweet e l’altro, un giorno non esaudiscano le loro preghiere. 

Setlist

Morning Glory
Rock ‘n’ Roll Star
Wall of Glass
Better Days
Why Me? Why Not.
Stand by Me
Roll It Over
Slide Away
More Power
Diamond in the Dark
The River
Once
Cigarettes & Alcohol
Wonderwall
Champagne Supernova

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