Ci aveva avvertito e la promessa la sta mantenendo: ad ottobre pare essere in uscita il nuovo “The Dark Side of the Moon”. Lo fa perché può, e su questo non si discute. Perché lo faccia? Le chiacchiere da bar sui dispetti con Gilmour sono, appunto, chiacchiere da bar, i fatti ci danno – in attesa di tutto l’album – la nuova versione di “Money”. Lunga quasi uguale, ma diversa. Profondamente diversa, nelle intenzioni. Chissà quanti commenti già online: fa schifo, non era necessario, “thanks but not thanks” e via discorrendo. Lui, molto probabilmente, se ne infischia, e fa bene. L’arte corre sempre il rischio del pubblico e al pubblico il nuovo non interessa, da manuale. Cosa ha fatto quindi Roger Waters alla così famosa “Money”, tanto famosa da essere stata una della quattro canzoni che i Pink Floyd scelsero per il loro mini concerto e ultima apparizione pubblica nel 2005? L’ha presa e l’ha aggiornata. Esatto, ne ha fatto un aggiornamento, un abito nuovo.

Per chi dice che “The Dark Side of the Moon” è un album senza tempo, forse forse, è arrivato il momento di ricredersi: rimane un album straordinario, bellissimo, pazzesco ma… forse effettivamente non descrive più i tempi che corrono. Non ce ne siamo accorti, ma non c’è solo più critica sociale, da sottolineare. Abbiamo perso la speranza – e pure l’energia del rock. Waters, per commentare questo terzo millennio, ha quindi aggiunto e sottratto (almeno da questo assaggio) alla sua opera senza tempo: l’assenza di speranza. Ora “Money” non suona più arrabbiata, ma è cupa, grigia, tenebrosa. Non c’è luce alla fine del tunnel. È come se “The Dark Side of the Moon” avesse incontrato Black Mirror. O avesse visto con i suoi propri occhi a forma di prisma che il mondo non è cambiato poi, non si è corretto e tutti noi ammiratori della meraviglia del 1973 non ce ne siamo mica accorti, abbiamo continuato a crogiolarci nella critica sociale attraverso la musica e le parole di Roger Waters, perché bellissime e perché ci andava a pennello. Lui però va oltre, vuole che quella fiamma non diventi (lo era già diventata?) un gran ricordo del passato, vuole che la sua opera continui a descrivere i tempi correnti e, magari, a rovinare la digestione a qualcuno che nel frattempo si è arreso.

“Money” è più lenta, meno tesa, la voce è grossa, profonda, abissale. Inserti strumentali qua e là che sembrano gentili coltellate, o schiaffi almeno. Proprio come la nuova versione di “Comfortably Numb”, anche questa nuova Money assomiglia a un film, a un corto cinematografico. Considerando che il resto dell’album avrà nuove tinte simili, era necessario quindi aggiornare un capolavoro? L’arte non è mai necessità, ma voglia e urgenza di comunicare. Roger Waters, la mente dietro probabilmente la più grande concept band di tutti i tempi, ha ancora tanto da dire, e lo sappiamo. Coraggiosamente, lo fa. Perché coraggiosamente? Perché c’è tanta visionarietà in questo: quanti artisti – in qualsiasi campo e non solo nella musica – mettono mano a una loro opera per poi aggiornarla? Quanti addirittura su quella di maggior successo? Pochissimi. Non lo fa per far dispetto a nessuno (andate al bar per questo genere di argomentazioni), non lo fa per soldi (sempre al bar, a farvi pagare un caffè), non lo fa per altro motivo se non la voglia incontrollabile di continuare a comunicare. “Money” del 1973 sarà sempre più bella di quella del 2023, ma con questo regalo al mondo della musica, Roger Waters continua ad esserci, artisticamente.

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