Non riuscirete mai a farlo cambiare. Roger Waters è sempre stato così. Dai problemi interni ai tempi dei Pink Floyd, passando per le continue prese di posizione politiche, fino alle polemiche di cui è stato al centro negli ultimi mesi, con i suoi concerti in Polonia e Germania cancellati o comunque a rischio. Probabilmente una persona ordinaria al suo posto sarebbe già da un pezzo in pensione a godersi giustamente la vecchiaia dopo una vita dedicata all’arte senza nessun compromesso. Ma non Waters. Una persona sanguigna che vive di musica, di arte, di politica e di impegno sociale e che, alla veneranda età di 79 anni, ha deciso di mettere in piedi l’ennesimo spettacolo totale, l’ennesima esperienza nella quale convergono da un lato i pezzi di una delle band più leggendarie della storia della musica e dall’altro la componente tematica più viscerale, che nonostante il passare degli anni, non ha minimamente perso attualità o forza – un po’ come il suo autore.

Entrando nel Forum di Assago per la seconda delle quattro date previste nell’arena milanese – a cui si aggiungeranno le due di Bologna – il colpo d’occhio è già notevole. Ogni seggiolino disponibile è occupato e il palco a forma di croce posizionato al centro del parterre – per una visione a 360° – è a dir poco imponente. Una volta che le luci si spengono ci mettiamo 30 secondi a capire come andrà la serata: dopo un annuncio che chiede di tenere spenti i cellulari, la voce di Waters invita coloro che sono “qui perché apprezzano i Pink Floyd, ma non la politica di Roger” ad andarsene gentilmente a fare in culo al bar per tutta la durata del concerto. Se da un lato è scontato che la forte ideologia politica e sociale del musicista sia parte integrante dello suo show, è anche immediatamente chiaro che Waters non ha perso neanche la minima parte della sua foga e che anzi, sa benissimo che queste sono le ultime occasioni per manifestare attraverso la musica la sua fiera ideologia. E parliamoci chiaro, la lista di cose che non vanno in questo mondo non è per niente breve.

Immediatamente ci rendiamo conto che la struttura che ricopre il palco non sono altro che dei giganteschi schermi – anche loro disposti a croce – su cui iniziano a scorrere immagini di una città devastata e sovrastata da un cielo nero. Una volta entrati nell’atmosfera, veniamo cullati dalle note – poco rassicuranti, a dire il vero – della ottima nuova versione di “Comfortably Numb”, pubblicata da Waters l’anno scorso, dopo la quale gli schermi vengono sollevati e i musicisti (con una band di prim’ordine composta da Shanay Johnson, Amanda Belair, Jon Carin, Dave Kilminster, Jonathan Wilson, Robert Walter, Joey Waronker, Gus Seyffert e Seamus Blake) possono finalmente mostrarsi al pubblico, prendendosi la prima delle numerose ovazioni. La prima sezione dello show è violenta, nervosa e mentre la band suona le immortali note di “The Happiest Day Of Our Life” e della seconda e terza parte di “Another Brick In The Wall”, sugli schermi iniziano a comparire immagini e scritte (con relativa traduzione in italiano) di denuncia contro le autorità e i leader del mondo. Il messaggio è sempre lo stesso, ma ogni volta sembra venire proposto in modo più viscerale: mentre vengono suonate “The Powers That Be” e “The Bravery Of Being Out Of Range”, i vari Presidenti degli Stati Uniti – compreso Joe Biden – vengono accusati di crimini di guerra e campeggiano i nomi di persone provenienti da tutto il mondo e recentemente uccise per il colore della pelle, la propria fede, la propria ideologia o la propria provenienza.

Ma quello che forse più sorprende – per quanto sia già difficile non rimanere a bocca aperta davanti ad una produzione simile – sono le fasi dello show in cui Waters abbassa i toni mette a nudo tutta la propria fragilità, ricordandoci che “basta un attimo per perdersi”. Viene quindi suonato al piano il nuovo pezzo “The Bar”, che rappresenta il luogo nel quale sentirci al sicuro e circondati dall’amore delle persone care. Il pensiero va poi all’amico Syd Barrett e, mentre vengono suonate “Have A Cigar”, “Wish You Were Here” e parte di “Shine On You Crazy Diamond”, sugli schermi scorrono immagini di Roger e Syd, con scritte che ricordano i momenti in cui i due hanno deciso di formare una band insieme. L’esibizione di “Wish You Were Here” raggiunge quindi picchi di emozionalità elevatissimi: tutta l’arena si tinge di rosso e canta all’unisono e forse si commuove anche Waters nel ricordo del forte legame con Barrett (“perdere una persona serve a ricordarci che questa non è un’esercitazione”) o nel raccontare un crollo emotivo avuto proprio durante le registrazioni di “Wish You Were Here”.

Prima della pausa intermedia viene anche proposta la denuncia distopica – ma neanche tanto, visto quello che viviamo ogni giorno – di “Sheep”, con una pecora gigante che vola sopra le teste del pubblico, mentre la ripresa dello show viene affidata a “In The Flesh” e “Run Like Hell”, con Waters che si trasforma come al solito nella parodia di un gerarca e il maiale gonfiabile su cui campeggia la scritta “Fuck the poor” prende il posto della pecora indifesa. C’è ancora spazio per la denuncia sociale con “Dèjà Vu” e “Is This the Life We Really Want?”, prima di una sezione dedicata all’intero lato B di “The Dark Side Of The Moon”, che parte con “Money” e termina con “Eclipse”, mentre i laser vanno a formare una serie di triangoli di luce intorno al palco e il battito cardiaco viene scomposto nei vari colori sugli schermi.

Foto: Kate Izor

Waters si prende poi diversi minuti per ringraziare il pubblico presente e raccontare un divertente aneddoto circa una folle corsa in taxi a Firenze, prima della forte denuncia contro le armi nucleari di “Two Suns In The Sunset”, che ci accompagna verso la fine dello show. Ma prima di congedarsi c’è ancora tempo per un ultimo drink. La band brinda intorno al piano con un bicchiere di mezcal e saluta la folla suonando altre due strofe da “The Bar”, che vanno poi a confluire in un emozionante rifacimento di “Outside The Wall”, sulle cui note i musicisti sfilano sul palco prima di abbandonarlo e di concludere lo spettacolo visibili solo dai giganteschi schermi.

Al momento non è dato sapere se questo manipolo di date rappresenta davvero l’ultima occasione per vedere Roger Waters dal vivo. Se così dovesse essere, saremmo felici di aver potuto ammirare la conclusione della carriera di una delle maggiori personalità artistiche viventi con uno spettacolo che celebra degnamente quanto fatto e ricalca esattamente il modo di essere di Waters: viscerale, fragile, provocatorio e impetuoso.

Set 1

Comfortably Numb
The Happiest Days of Our Lives
Another Brick in the Wall, Part 2
Another Brick in the Wall, Part 3
The Powers That Be
The Bravery of Being Out of Range
The Bar
Have a Cigar
Wish You Were Here
Shine On You Crazy Diamond (Parts VI-VII, V)
Sheep

Set 2

In the Flesh
Run Like Hell
Déjà Vu
Déjà Vu (Reprise)
Is This the Life We Really Want?
Money
Us and Them
Any Colour You Like
Brain Damage
Eclipse
Two Suns in the Sunset
The Bar (Reprise)
Outside the Wall

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