I feel the void extending,
I feel the self transcending
.

Doverosa e polemica premessa: un evento come quello consumatosi al Legend Club di Milano sabato 13 maggio, meritava una presenza collettiva superiore rispetto ai blandi numeri registrati, a dimostrazione che forse le band straniere non hanno tutti i torti quando decidono, spesso con contorno di imprecazioni via social da parte degli utenti, di escludere l’Italia da tour e quant’altro. Vuoi per il match dell’Inter in campionato, vuoi per la finale televisiva dell’Eurovision Song Contest, vuoi ancora per semplice pigrizia, il raccolto locale meneghino, a questo giro baciato da un’acustica abbastanza dignitosa, è stato disertato per metà della capienza di fronte a un vero spettacolo, con Swarm Chain, Cultus Sanguine e Schammasch protagonisti indiscussi di una soirée magica, in grado di travolgere ed entusiasmare i pochi eletti a essa partecipi. Bando, però, alle diatribe e inabissiamoci nel sepolcreto meneghino, pronti a risuscitare purificati e tersi d’ombra.

Le porte spalancate alle 20.00 permettono l’affluenza ordinata di appassionati che, conoscendo a memoria la materia, si godranno il concerto senza ingioiellarlo di puerili esecrazioni né di alterane la visione con scadenti additivi alcolici. Una platea di intenditori, dunque, che a partire dalle 20.40, inizia ad assistere alla performance degli Swarm Chain, quintetto piacentino dedito a un heavy/doom dalle forti venature epiche e debitore di Candlemass, Cathedral, Saint Vitus, Trouble, benché non manchino richiami a My Dying Bride e Katatonia nei passaggi di risma articolata e cangiante. Il set, sostanzialmente, riproduce, tranne “Hunters” e “Almost Nothing”, il lotto di “Looming Darkness”, disco d’esordio rilasciato lo scorso 2022 su Punishment 18 Records da un act che, al proprio interno, conta musicisti del calibro e dell’esperienza di Paolo Veluti, Daniele Mandelli, Riccardo Tonoli e Daniele Valseriati, già in azione nelle file di Dark Horizon, Edran e Tragodia, nomi cari ai cultori di power, progressive e symphonic metal. L’esibizione, breve considerato l’unico LP all’attivo, convince appieno per intensità e coinvolgimento, con una nota di merito alla potenza scenica di Emanuele Cirilli che, oltre a un growling di lignaggio, sfodera una mise da applausi, con tanto di saio da frate francescano e maschera del Medico Pestis. Un Messiah Marcolin gutturale e contemporaneo, che si alterna alle pregevoli clean vocals di Veluti e le rafforza, aggiungendo tinte plumbee e sinistre a delle tracce piuttosto variegate, dalla selvaggia pesantezza di “Codex Gigas”, alle atmosfere gotiche di “Worms”, dalla malinconia da brividi di “Witch Of The Wood” alla tetraggine abbagliante di “Looming Darkness”. Il sipario cala presto, ma con grande soddisfazione.

Setlist

Codex Gigas
Worms
Witch Of The Wood
Looming Darkness

Verso le 21.10 sale sul tavolato un’istituzione oscura nostrana, i Cultus Sanguine, fondati nel 1993 da Roberto Mammarella e Joe Ferghieph: laddove il primo uscì dalla line-up nel 1998 per dedicarsi esclusivamente ai Monumentum – inoperosi ormai dal 2002 -, il secondo rappresenta il solo membro rimasto della formazione originaria, che, ricordiamolo, incise l’epocale EP omonimo del 1995. Diciassette anni di totale inerzia, terminati con la reunion nel 2018, non hanno intaccato lo smalto dei lombardi, la cui prestazione on stage si rivela gagliarda ed evocativa, figlia di un sound sì di base black, tuttavia pregno di influenze doom, gothic, post punk e dark ambient, per uno stile atipico e immediatamente riconoscibile, che si nutre di luci diafane e afrori cimiteriali, di tentazioni suicide e foschi vagabondaggi notturni. Il frontman, carico a pallettoni malgrado l’età non verdissima, riveste il ruolo di mattatore principale del concerto: sparge petali di fiori secchi, solleva invitanti nodi scorsoi, varia il cantato seguendo le suggestioni delle liriche, inneggia al culto del sangue e della morte. Suoni di carillon, tastiere funeree dal taglio vintage e un groove da ipogeo punkettaro irrorano una scaletta che, nonostante peschi in gran misura da “Shadows’ Blood” (“The Calling Illusion”, “Il Sangue”, “We Have No Mother”, “Lady Of Lies”, “Le Tombe”), non trascura il mini citato supra (“My Journey Is Long But My Time Is Endless”) e altresì l’ottimo “The Sum Of All Fears” (“Dominatress”, “The Sum Of All Fears”), con “Delusion Grandeur”, anticipazione del nuovo lavoro in studio, a fungere da sapida chicca. Encomi a fiotti per un’entità ancora viva e vegeta, lungi dal divenire vicina di tomba degli amati defunti.

Setlist

Le Tombe
Dominatress
The Sum Of All Fears
Delusion Grandeur
The Calling Illusion
Lady Of Lies
My Journey Is Long But My Time Is Endless
We Have No Mother
Il Sangue

Bisogna attendere una buona mezz’ora e poi, dal dietro le quinte, emergono gli svizzeri Schammasch, con indosso tuniche e cappucci dalla filigrana d’oro, i cui motivi e colori si ripetono nel trucco di C.S.R e J.B, mentre ai lati spiccano i volti nature di M.A e P.D, entrambi incorniciati da una fulva capigliatura aurea. Una recita predisposta con cura maniacale, sia nelle pose ieratiche della coppia centrale sia nei flussi dinamici delle due ali, mentre in fondo sbuffano furiose le bacchette di un B.A.W nascosto da un drumkit imponente quanto il muro sonoro medesimo, feroce, melodico, progressivo, che si innalza su picchi di montagne sovrumane grazie alla propulsione coreografica di una diabolica coda vermiglia. Il profondo silenzio che, immoto tra gli ottaedri fumanti, precede la tempesta successiva, costituisce l’alfa e l’omega di piste fluviali e complesse, imperniate sul misticismo orientale e le scienze occulte, rese dal vivo in maniera ineccepibile, se non durante la canzone più orecchiabile scritta dagli elvetici, l’ottantiana “A Paradigm Of Beauty”, durante la quale il pulito di C.S.R mostra qualche lieve crepa a livello di estensione. Davvero un’inezia, anche considerata la qualità di piste che coprono, a eccezione del debutto “Sic Lvceat Lvx”, l’intera carriera del combo. Il black/death cosparso di ascetismo di “Contradiction” (“Golden Light”), il multiforme mare magnum avanguardistico del triplo “Triangle” (“Consensus”, “Awakening From The Dream Of Life”, “The World Destroyed By Water”), le allucinazioni décadent dell’EP “The Maldoror Chants: Hermaphrodite” (“Chimerical Hope”, “Do Not Open Your Eyes”), l’ipnotismo malefico di “Hearts Of No Light” (“Winds That Pierce The Silence”, “Ego Sum Omega”, “Qadmon’s Heir”, “Rays Like Razors”), compongono il mosaico di un’espressività live altamente personale, che centrifuga Behemoth, Blut Aus Nord e Deathspell Omega per mezzo di una sintesi efficace nello spazzare e spezzare qualsiasi tipo di resistenza emotiva. Gelidi, maestosi, onirici, riflessivi, sperimentali, vorticosi: la folla, folta in rapporto alla media della serata, cade in estasi, pregustando il sapore ambiguo e discorde dell’Aldilà. Alle ventiquattro o giù di lì, le luci si spengono e i cinque scompaiono alla vista, anime rinnegate in visita sulla Terra per una settantina di minuti e algide messaggere di un Io Supremo che inganna e deride sé stesso dietro le illusioni della sacralità e dei suoi paramenti. Appagamento massimo.

Setlist

Winds That Pierce The Silence
Ego Sum Omega
Golden Light
Rays Like Razors
Consensus
A Paradigm Of Beauty
Qadmon‘s Heir
Metanoia
The World Destroyed By Water
Awakening From The Dream Of Life
Chimerical Hope
Do Not Open Your Eyes

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