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NUOVE USCITERECENSIONI

Udåd – Udåd

Il progetto Mork, nel corso di un decennio, ha subito, all’interno, s’intende, di un contesto black orgogliosamente tradizionalista, una leggera evoluzione stilistica, di cui l’ultimo “Dypet” (2023) costituisce di certo il frutto più “audace”, con linee depressive, stacchi ambient e impercettibili umori prog a variare uno spartito debitore in massima parte della lezione di Darkthrone e Satyricon. Forse preso dai sensi di colpa per essersi spinto oltre la comfort zone delle coste e delle foreste norvegesi, Thomas Eriksen decide, oggi, di dare corpo all’entità di nome Udåd, un nuovo vascello nero in grado di veleggiare verso agli albori della second wave, già oggetto di devozione cultuale nell’album “Isebakke” (2013).

Il debutto omonimo della one man band scandinava prendere ispirazione, a parte i soliti noti, soprattutto dalle demotape di fine anni ’80 e inizio ’90, frutto di quelle formazioni, come gli Uruk-Hai di un imberbe Varg Vikernes, che rappresentarono il brodo primordiale dal quale emerse, poi, la golden age del metallo nero. Un sound necrotico, dunque, intriso di crudo minimalismo e caratterizzato da un’incisione in analogico che celebra il trionfo dell’approssimazione entusiastica, aspetto tipico del periodo a cui il musicista prova a riconnettersi, a tratti riuscendovi, a tratti, invece, faticando ad arginare il sé stesso artistico attuale.

La strumentale “Den Evindelige Ende”, un po’ eccessiva nei suoi tre minuti e rotti di durata, presenta un’effettistica sconnessa di impronta dungeon che sembra citare la catatonia medievale di “Dauði Baldrs”, ma rimpolpata da un riff ripetitivo e malinconico. Il ritmo dei brani successivi resta in massima parte cadenzato, con la voce del mastermind di Halden tesa a emulare le urla dolorose del Conte in “Aske” e “Burzum” (“Avgudsdyrker”, “Vondskapens Triumf”), mentre la batteria si affanna nel tentativo di rompere un enorme muro di ovatta e la chitarra pare raspare attraverso un amplificatore da cinque watt (“Kald Iver”).

Eppure, malgrado le impurità e le interruzioni tonali non vengano deliberatamente corrette in ottica raw, il talento compositivo di Eriksen affiora suo malgrado, dalla perfida orecchiabilità di “Bakenfor Urskogens Utkant”, alle vibrazioni heavy di “Den Virkelige Apokryf”, dalla uggiose melodie di “Blodnatten” alle ipnotiche scorribande di “Antropofagens Hunger”, pezzi che valicano i confini esclusivi della plettrata aperta e degli arpeggi distorti per gettarsi tra le braccia di una vaga accessibilità e nelle cinematiche fantasie necrofile del regista tedesco Jörg Buttgereit.

Le inequivocabili radici antiche della creatura Udåd si scontrano, dunque, con le pulsioni moderne del proprio artefice, generando un ibrido che, se dal punto di vista tecnico riesce, bene o male, a condurre l’ascoltatore nel grembo di un passato leggendario, a livello di scrittura sembra il cugino povero dei Mork. Un (accidentale) piede in due scarpe non sempre porta agli obiettivi sperati.

Tracklist


01. Den Evindelige Ende
02. Bakenfor Urskogens Utkant
03. Avgudsdyrker
04. Blodnatten
05. Den Virkelige Apokryf
06. Vondskapens Triumf
07. Kald Iver
08. Antropofagens Hunger

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