Nati nel 2017, dopo “Sulle Punte Per Sembrare Grandi” e “Souvenir”, i Cara Calma tornano con il nuovo album “Gossip!”, che uscirà venerdì 14 gennaio. Un lavoro dall’intento provocatorio, in cui temi riguardanti la socialità e l’intimità di noi stessi, si intrecciano ad un comparto musicale che racchiude alcune novità. Abbiamo parlato di questo nuovo album e di molto altro con Riccardo Taffelli, cantante e chitarrista del quartetto bresciano.

Ciao Riccardo, innanzitutto benvenuto su SpazioRock! Immagino sia un periodo pieno per voi, tra pochi giorni uscirà il vostro nuovo album “Gossip!” e avete già pubblicato alcuni singoli. Come sta andando?

Molto bene! Con gli ultimi pezzi abbiamo cercato di dare un taglio diverso al nostro sound e per questo eravamo indecisi su quale far uscire come primo singolo. Si tratta di qualcosa di molto diverso rispetto a quello che facevamo prima, anche se poi l’album è vario e ci sono anche diverse cose che abbiamo già fatto nei dischi precedenti. La risposta è stata molto positiva e ci siamo resi conto che è aumentato l’interesse verso il progetto e quello che stiamo scrivendo. Siamo contenti perchè alla fine ci siamo trovati a fare quello che ci piace con più libertà. Sta andando bene, siamo felici.

Come avete vissuto questi ultimi due anni? Il settore musicale è stato tra i più colpiti e oltre a questo credo che non sia semplice scrivere e registrare un album durante una pandemia.

Sì, è stato complicato, come lo è stato per tutti. Nella sfortuna noi abbiamo avuto la fortuna di far uscire il secondo disco a inizio 2019 e quindi siamo riusciti a fare tutto il tour prima che chiudessero tutto. Però comunque la situazione ci ha abbattuto, eravamo demotivati anche perché siamo una band che scrive in saletta e in studio, con tutti e quattro presenti. È stato complicato non poterci vedere proprio nel momento in cui dovevamo scrivere. Una volta superate queste difficoltà iniziali però abbiamo scritto tutto in pochi mesi. Diciamo che l’essere concentrati sulla musica ci ha permesso di vivere in una sorta di bolla e di dimenticare momentaneamente cosa stava succedendo fuori. Come sempre la musica è una sorta di salvezza.

Riguardo il nuovo album “Gossip!”, per prima cosa vorrei parlare delle tematiche e della copertina. Mi sembra di capire che ci sia dietro un intento provocatorio rispetto alla società in cui viviamo.

Sì, si tratta anche di questo. Il concetto dietro al nome dell’album è che scrivere per noi (come per tutti gli artisti) è un’esternazione dei propri demoni e dei propri problemi. È come se stessimo scrivendo un nostro diario e avessimo il coraggio di parlare di determinate cose solo urlando davanti ad un microfono. Ci troviamo a scrivere cose che normalmente magari non siamo in grado di dire. Tutto ciò è quanto di più intimo ci debba essere e per forza di cose deve essere mercificato, perché oggettivamente questo mestiere non esisterebbe se non ci fosse chi ti ascolta o chi parla di quello che provi. Quindi si tratta di una sorta di gossip di quello che provi, deve tutto girare, deve essere criticato, accettato e così via. È come se ti aprissi lasciando tutto alla mercè di chiunque. Questo vale per il lato artistico, mentre invece per il resto è legato al concetto che questa società sta diventando sempre più una sorta di vetrina distopica di quello che sono le relazioni sociali, personali o sentimentali. L’importante è che se ne parli, anche se se ne parla male o con intento di scherno.

Rispetto a queste cose secondo te il periodo di pandemia vi ha ispirato in qualche modo? Non intendo direttamente, ma forse diverse dinamiche di cui mi hai parlato sono stato influenzate dalla situazione in cui ci troviamo.

Magari non volontariamente, però ci rendiamo conto anche noi riascoltando i pezzi che sicuramente qualcosa era influenzato da quello che sta succedendo. Anche perché l’essere umano è une essere sociale e ha bisogno dell’interazione sia come accrescimento che come conforto. Come stimolo e misura di quello che è il mondo. Il dover improvvisamente stare isolati per molto tempo, solo con noi stessi, senza relazioni sociali ha incrinato il nostro modo di vedere le cose e di reagire alle cose. Questo si vede anche nei testi, ce ne sono alcuni che provengono dall’essere stati troppo con se stessi. Fa bene stare da soli ogni tanto, ma stare da soli per troppo tempo rischia di amplificare problematiche che potrebbero essere risolte in modo più breve.

Parlando invece dell’album dal punto di vista musicale, l’ho trovato molto compatto, ma allo stesso tempo vario. Ci sono pezzi aggressivi in cui si riesce a trovare una certa melodia e allo stesso sempre ci sono canzoni più soft che hanno elementi più sporchi ed energici, come il modo in cui utilizzi la tua voce. Come avete lavorato da questo punto di vista?

Si tratta di una ricerca che facciamo dal primo disco in poi. Non so dirti se è una cosa naturale, ma comunque il primo album era molto grezzo, nel secondo abbiamo cercato di mettere un po’ più di dinamica e in quest’ultimo invece abbiamo cercato di inserire nuove atmosfere, ma che avessero un senso con tutto il disco. Ci siamo stati attenti soprattutto a livello di produzione, siamo stati molto puntigliosi da questo punto di vista, soprattutto sui brani più tranquilli. Ci sono parti con batterie elettroniche, che non avevamo mai usato in precedenza. Volevamo un concept a livello sonoro, che ti potesse portare in diversi mood e ambienti musicali, ma facendoti restare sempre sul pezzo.

La canzone che mi ha colpito di più è “Kernel”, il modo in cui canti sembra in contrasto con la base quasi solenne, ma si incastra tutto benissimo. Anche il testo mi ha colpito molto, credo che moltissime persone possano trovarsi in queste sensazioni che descrivi. Puoi raccontarci come si è sviluppato questo brano?

Il brano è nato da un’idea di Cesare [Madrigali, chitarrista, ndr], che sa anche suonare il piano bene. La scrittura la piano è più completa, perché si possono contemporaneamente fare anche le parti vocali con l’altra mano, in modo da capire come si incastra. Il testo è molto sofferto, può racchiudere diverse sensazioni ma il temi costanti sono la sofferenza e l’inadeguatezza. A livello vocale inizialmente era più tranquilla, poi una notte ho pensato di cantarla più urlata. Ci piaceva, ma alla fine abbiamo fatto un’altra versione un po’ più soffusa partendo da quella urlata e abbiamo visto che funzionava bene perché, come hai detto anche te, si crea questo contrasto con la parte tranquilla e malinconica e rende molto di più cantato in questo modo. Per quanto mi riguarda è uno dei pezzi più emotivi, si viene a creare un climax quasi cinematografico.

Il vostro primo album si chiama “Sulle Punte Per Sembrare Grandi”. Facendo una sorta di parallelismo tra il mercato musicale e la società in cui viviamo, secondo te qual è il modo in cui è più importante crescere e farsi strada come band e come individui?

Hai fatto bene a dire “come band e come individui”, perché credo che prima che musicisti siamo individui. Ho l’impressione che le persone in questo settore che mi trovo a stimare e che hanno contribuito alla mia crescita siamo prima di tutto degli individui di un certo tipo. Credo che in entrambi i casi la base sia essere onesti con se stessi e non forzare rapporti e interazioni. La sincerità paga da ogni punto di vista e, per quanto riguarda il settore musicale, crea anche una fanbase molto più affezionata, che è in grado di riconoscere la sincerità in quello che stai dicendo. In tutti i mestieri che hanno a che fare con l’arte bisogna essere credibili perché altrimenti non si riesce a comunicare lo stesso tipo di emozioni. Noi abbiamo ricevuto migliaia di porte sbattute in faccia, ma siamo sempre andati per la nostra strada, cercando di formare una nostra identità, anche come persone e pian piano ci stiamo togliendo delle soddisfazioni, essendo sempre noi stessi. La base per creare qualcosa di duraturo credo sia questa.

Siete nati come band nel 2017 e in nemmeno 5 anni (di cui 2 in pandemia) state già pubblicando il terzo album. Da dove viene tutta questa ispirazione? Immagino sia anche una questione di affiatamento.

Sì, infatti credo che questa sia una nostra grande fortuna, siamo 4 grandi amici. Non è scontato, spesso ci si trova a suonare insieme per altre dinamiche. Io e Fabiano [Bolzoni, batterista, ndr] abbiamo fatto asilo, elementari e medie insieme e abbiamo suonato insieme la prima volta nel suo garage a 12 anni. Avevamo una nostra prima band, poi ci siamo dovuti dividere, ma ci siamo ritrovati nel 2017. Anche Cesare e Gianluca [Molinari, bassista, ndr] si conoscono da un sacco di tempo e di base siamo tutti amici. Questo aiuta tanto, spesso l’unico modo per andare avanti nonostante tutte le batoste e le difficoltà è proprio l’essere affiatati con le persone che fanno parte del tuo progetto. Questo affiatamento tra l’altro ci porta a scrivere molto, ovviamente se esce un disco di 10 pezzi ne vengono sempre scartati un bel po’. Poi comunque va a fasi anche nella scrittura, ci sono momenti in cui è più difficile, ma per fortuna sono di più le fasi up rispetto a quelle down.

Come hai appena detto vi conoscevate già prima, ma tralasciando Cesare e Fabiano che suonavano insieme già prima, non venite dallo stesso background musicale. Credi che questo abbia avuto delle influenze sul come si sta evolvendo il vostro modo di fare musica?

Sicuramente. Abbiamo gusti musicali abbastanza diversi, quindi ci troviamo a fare un bell’amalgama e questo è importantissimo. Fossilizzarsi su una band o un genere è controproducente per chi fa musica e avere background diversi ha aiutato molto da questo punto di vista. C’è chi viene dal metalcore, chi ha ascoltato più pop rock o folk, punk-rock… Insomma, un po’ di tutto!

Parlando invece di live, questa estate siete tornati sul palco dopo parecchio tempo. Com’è andata?

È stato molto bello. Eravamo tutti fermi da tanto e abbiamo dovuto riarrangiare tutto il nostro set in chiave elettro-acustica perché abbiamo pensato che con la gente seduta e distanziata non sarebbe stato soddisfacente fare un set interamente elettrico e pieno. La risposta è stata buona e ci siamo divertiti molto. All’inizio è stato strano, essendo abituati ad un muro di amplificatori alle spalle che ti portano in una bolla, ma comunque è stato bello e decisamente più intimo.

Invece il tour che avete programmato per febbraio tornerà ad essere elettrico?

Sì, questa è stata una parentesi forzata, anche se comunque ci ha aiutato a vedere alcuni aspetti dei pezzi che non avevamo mai notato. Però comunque è una parentesi che si chiude lì, d’ora in poi torneremo all’elettrico perché ne abbiamo voglia e bisogno.

Covid permettendo, che aspettative avete per questo tour? Tra l’altro ho visto che l’ultima data è in casa per voi, a Brescia.

Sì, abbiamo deciso di chiudere a Brescia alla Latteria Molloy, che è un locale che ci ha dato tanto e che è un punto di riferimento per la musica in tutta la Lombardia. Le aspettative sono buone, stiamo creando un team di amici che ci darà una mano per tutte le date e le cose saranno organizzate bene. Notiamo che la gente ha voglia di andare ai concerti, anche se bisognerà capire quale sarà la percezione perché un concerto è pur sempre un evento abbastanza particolare. Posso capire che magari non tutti possano sentirsi al sicuro al 100%. Ma Covid permettendo, c’è voglia e fermento, quindi confidiamo che sarà un bellissimo tour.

Questa era l’ultima domanda, grazie mille per questa intervista! Come ultima cosa, vuoi lasciare un messaggio ai nostri lettori?

Ringrazio tutti per aver letto l’intervista e tenete duro, quando finalmente si potrà tornare a suonare normalmente sarà una liberazione per tutti. Abbiamo tutti tanta voglia di tornare alla normalità, crediamo che la musica sia uno dei più grandi aggregatori al mondo. Quando sarà, sarà una grande festa!

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