Dopo otto anni di assenza, ma con una formazione intatta, i brindisini Perseus tornano con “Into The Silence”, un album power metal in linea con la tradizione nostrana del genere e che vede al microfono un lunga serie di ospiti, tutti rigorosamente italiani. Un tripudio di nazionalismo artistico completato dagli arrangiamenti sinfonici di Antonio Agate e dalla produzione di Aldo Lonobile, per un disco di buona qualità complessiva dei cui dettagli abbiamo discusso con il frontman Antonio Abate, entusiasta sia della fattura dei brani che delle numerose e nobili collaborazioni. E di una band che, prima di ogni altra cosa, è un meraviglioso gruppo di amici.

Ciao Antonio e benvenuto sulle pagine di SpazioRock. Come stai? Sei in ansia per come sarà recepito il nuovo disco dei Perseus “Into The Silence”?

Ciao Giovanni, è un piacere essere ospite di SpazioRock! Devo essere sincero, l’ansia è tanta perché questo “Into The Silence” è un album per noi impegnativo, dove abbiamo cercato di curare ogni minimo dettaglio. Le aspettative sono tante, ma affrontiamo ogni cosa con molta razionalità.

I vostri primi due lavori, “The Mystic Hands Of Fate” (2014) e “A Tale Whispered In The Night” (2016), si caratterizzavano per un metal sound vicino a Gamma Ray, Iron Maiden e Judas Priest, mentre il nuovo full-length lascia un po’ in sordina la componente più classicamente heavy per un power dai lineamenti sinfonici molto vicino alla tradizione italiana. Ci puoi spiegare le motivazioni dietro questa scelta di abbracciare con maggior convinzione uno stile più epico e orecchiabile?

Diciamo che il concetto di Perseus è nato da me e dai due chitarristi Cristian Guzzo e Gabriele Pinto. L’obiettivo era quello di creare una band che avesse come matrice il sound del power di casa nostra. Chi mi conosce bene sa che sono un fan del power nostrano, quindi è inevitabile riuscire a ottenere questo risultato strada facendo. “Into The Silence” è quello abbiamo sempre voluto che fossero musicalmente i Perseus.

L’artwork dell’album reca l’immagine di Perseo che, in groppa a Pegaso alato e sullo sfondo dell’antica Atene, ha in una mano una spada e nell’altra la testa recisa di Medusa. Dal momento che è una novità il fatto che la cover riproduca visivamente il significato mitologico del vostro monicker, possiamo considerare “Into The Silence” il primo tassello di una nuova era per i Perseus?

Questo è un album di rigenerazione, una sorta di ripartenza dopo i momenti brutti,  come il lockdown e altre parentesi difficili che ognuno di noi ha vissuto, me in primis. Perseo che combatte il Kraken è un simbolo di vittoria contro il male e il potere, visto che lui era tutto sommato un mortale che lottava contro il divino. Per quanto riguarda la nuova era produttiva, a noi le cose epiche piacciono e chissà in futuro cosa succederà. Per l’artwork, comunque, va menzionata Sheila Franco, artista e autrice di una fantastica cover, a mio avviso.

Gli scorsi lavori, a livello lirico, erano dei concept incentrati sulla figura del mago Icarus Lazard, la cui storia, a dire il vero molto affascinante, oscillava tra esoterismo e romanzo di formazione ottocentesco. Questa volta, invece, il disco risulta più snello e agile: di quali tematiche vi siete occupate nei testi? C’è un fil rouge che li lega?

Sì, questa volta abbiamo preferito non strutturare un concept, ma singole canzoni che trattassero, in modo anche epico durante alcuni brani, la lotta tra il bene e il male, dandoci così sia un filo conduttore sia una maggiore libertà compositiva. In un concept, sei sempre legato al momento della storia e, quindi, è inevitabile essere condizionati dallo storyboard. Questa scelta, come hai potuto constatare, ha reso il tutto molto più snello e fruibile.

Una delle particolarità del platter risiede nella quantità di ospiti al microfono, per la precisione nove in altrettanti brani. La scrittura dei pezzi ha tenuto conto delle diverse caratteristiche vocali dei cantanti, adattandosi a esse, oppure avete scelto i vari featuring dopo la composizione dei pezzi stessi? E vi siete mai chiesti se non ci fosse il rischio di avere troppi singoli e non un lotto omogeneo?

Assolutamente nessun dubbio, perché i brani sono nati per la mia voce, indifferentemente dalla presenza dell’ospite. Dal vivo, non a caso, sono interpretate da me per intero, ma inizialmente la madre delle partecipazioni era “Il Labirinto delle Ombre”: questo brano è nato per essere cantato da me con un titano del nostro pop, purtroppo per varie motivazioni la collaborazione non ha avuto luogo, portandoci a decidere di lasciarla così com’è, interpretata interamente dal sottoscritto. Strada facendo, abbiamo maturato l’idea di metterci degli ospiti che dovessero essere prettamente solo voci italiane, a mio parere le migliori. Non avevamo in mente, però, chi potessero essere i vari singer. Soltanto dopo aver creato l’editing e realizzato una demo, abbiamo iniziato a ragionare sui nomi.

Tra i collaboratori vorrei sottolineare il nome di Antonio Agate, responsabile degli arrangiamenti orchestrali e di tastiera. Lo possiamo considerare, per incisività e importanza, il membro aggiuntivo dei Perseus, un po’ sul modello dei Secret Sphere, con cui, oltretutto, condividete la presenza di Aldo Lonobile?

Antonio, oltre ad essere un professionista e un arrangiatore eccezionale, è una persona speciale. Inizialmente, appena realizzati i brani, abbiamo contattato chi si era occupato delle tastiere nel disco precedente, Giulio Callivera. Purtroppo, siamo rimasti scioccati perché ci ha detto: “Ragazzi, stavolta vi siete superati, io non sono all’altezza di arrangiarvi questo disco, avete bisogno di uno che fa produzioni stile Rhapsody”. Abbiamo fatto vari tentativi con altri professionisti, ma con scarsi risultati. Poi, mi è stato fatto il nome di Antonio, che già conoscevo come musicista per le collaborazioni con i Secret Sphere e per altri suoi progetti. Da subito, tra di noi, è scattato il feeling e abbiamo capito che eravamo sulla stessa linea d’onda e, difatti, il risultato, come hai potuto vedere, è stato eccezionale, direi bombastic. Ti posso dire che, di sicuro, in un futuro quarto album dei Perseus le tastiere saranno affidate a lui. Grazie ad Antonio, inoltre , abbiamo potuto iniziare una collaborazione con Aldo Lonobile e il suo studio THM. Aldo ha fatto un lavoro eccezionale, donandoci un nuovo sound, moderno e diverso dalle produzioni scorse, senza togliere nulla al precedente disco la cui cabina di regia era affidata a Simone Mularoni.

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C’è una rosa di brani che rappresenta, forse, il cuore pulsante del lotto, tra power classico, accelerazioni roventi e striature folk: la titletrack, “Defenders Of The Light” e “Warrior”, con al microfono rispettivamente Roberto Tiranti dei Labyrinth, Marco Pastorino dei Temperance e Damna degli Elvenking. Ci puoi raccontare cosa ti esalta di queste tracce e, soprattutto, l’emozione di collaborare con tali artisti?

Roberto Tiranti e Fabio Lione sono i miei cantanti preferiti, una sorta di ispirazione. “Return To Heaven Denied” dei Labyrinth, per me, è poesia, quindi cantare con lui è stato come un sogno che si avvera. Poi, sai, la title track aveva un so che di Labyrinth e, dunque, chi meglio di Roberto al microfono? “Defenders Of The Light” è una canzone speed/power e devo dire la verità, avevamo pensato di farla cantare a un singer prettamente power stile, tipo Timo Kotipelto o Michael Kiske. Poi, qualche anno fa, ho conosciuto Michele Guatoli, quando io ero in tour con i Symphonity e lui con i Visions Of Atlantis; in quel periodo usciva “Viridian” dei suoi Temperance, disco a dir poco fantastico che avrò sentito mille volte o forse più, e ho cominciato ad apprezzare i contrasti vocali che lui, Marco Pastorino e Alessia Scolletti eseguivano. Ti confesso che mi sarebbe piaciuto averli tutti e tre, purtroppo mi sono dovuto accontentare di un super Marco Pastorino, che reputo uno delle più belle voci che ci siano in circolazione. Per quanto riguarda Davide, appena abbiamo finito di comporre “Warrior”, ho detto: “Chi meglio di lui può cantare in questo brano?”. Fu Antonio Agate a darmi il contatto. Davide è un cantante eccezionale, ha un’espressione interpretativa superlativa e sicuramente il suo inglese è perfetto.

Nella tracklist non mancano un paio di duetti con Claudia Beltrame dei Degress Of Truth e Anja Irullo degli Elegy Of Madness, entrambe dotate di una vocalità dai tratti operistici. Hai trovato subito feeling con entrambe? E cosa hai apprezzato di loro a livello professionale e umano?

Anja è una carissima amica e spero che possa al più presto ritornare sul mercato, perché c’è ne sono poche di voci come la sua. L’ho sempre definita come una fata che fa magie con la sua voce, in passato abbiamo condiviso dei festival e da lì è nata un’ammirazione reciproca. La canzone “I Believe In Love” è una delle poche scritte appositamente per averla al microfono, diciamo che è sempre stato un mio desiderio cantare con lei, quindi massimo feeling e mi auguro di poter riportare dal vivo il brano con la sua presenza. Claudia è una professionista eccelsa che sicuramente avrà una carriera lunga e piena di soddisfazioni. In verità, la canzone in questione aveva una versione cantata da un’altra persona, purtroppo per motivi miei personali non è stata possibile pubblicarla. Dovevamo urgentemente trovare una sostituta, mi fecero il suo nome e subito si mise a a disposizione, cantando magistralmente il tutto. Devo dire che la sua voce si sposa magnificamente alla mia e il risultato è perfetto.

Una pista che si stacca dal resto, e di cui mi hai parlato prima, è la ballad “Il Labirinto Delle Ombre”, da te cantata in lingua madre e sorretta soltanto dal pianoforte e da leggeri tocchi sinfonici, e che mi ha ricordato, per eleganza e atmosfere, i gruppi italiani degli anni ’70, in particolare i Pooh, e interpreti come Al Bano e Massimo Ranieri. Non pensi che oggi si guardi con sin troppo sdegno alla tradizione del canto melodico italiano, reputandolo praticamente fuori moda?

Sì, prima ti ho anticipato la storia della canzone. Infatti, l’intento era creare un brano che ricordasse quello stile che hai citato. Il bel canto fa parte del mio background e amo appunto gente come Massimo Ranieri, Al Bano, Andrea Bocelli, Francesco Renga e, perché no, anche Claudio Villa. Potrei definirmi un tenore lirico leggero trapiantato nel power metal, in fondo lo stesso Roberto Tiranti è un cantante pop trapiantato nel power, così come Fabio Lione che, quando canta in italiano, ricorda un po’ Al Bano. Marco Pastorino è un fenomeno quando affronta roba melodica, gli ho sentito cantare delle cose pop ed è spaventoso. Quindi, noi cantanti metal italiani quell’interpretazione e quella tecnica le abbiamo nel sangue, fa parte del nostro DNA, rendendoci superiori ad altri. Per quanto concerne la tua domanda, la moda cosa la determina, il fatto che oggi a Sanremo si canti solo trap, si scrive così, no? E che, di conseguenza, anche cantanti come Renga e Nek sembrano vecchi? Una cosa è certa: questa era gente che sapeva e sa cantare.

Antonio, a parte il batterista Andrea Mariani, entrato nel 2016, la line-up dei Perseus è immutata dal 2011 e questa stabilità, che si riscontra raramente nelle band odierne, a qualunque latitudini esse appartengano, vi ha permesso di maturare insieme a tutti i livelli. Cosa vi tiene ancora uniti?

I Perseus, prima di essere una band, sono una famiglia. Cristian Guzzo è il mio fratello maggiore, che mi portava ai festival, e l’ho seguito ai concerti della sua ex band. Cristian e il bassista Alex Anelli non soltanto sono amici di infanzia, ma amici per la pelle. Andrea Mariani si è aggregato dopo, ma è uno dei miei migliori amici. Non so se rendo l’idea, questo crea feeling, cooperazione e crescita.

Un’ultima domanda riguarda le date dal vivo: avete dei concerti già in agenda, forse anche in qualche festival estivo, oppure è ancora tutto da definire?

Ti do una risposta secca: tutto da definire, come mi ha insegnato il buon Aldo Lonobile (ride, ndr). Adesso ci dedicheremo alla promozione del disco e subito dopo si cercherà di organizzare delle date promozionali.

Antonio, grazie mille per il tuo tempo e davvero complimenti per “Into The Silence”. Quale messaggio vorresti condividere con i fan dei Perseus e con quei lettori di SpazioRock che vi conoscono meno?

Vi ringrazio davvero cuore per l’opportunità che ci avete dato e, soprattutto, cercate di non mollare mai e credere in voi stessi. In passato ho subito tante critiche, ma non mi sono mai arreso, continuando umilmente per la mia strada. Grazie di vero cuore a tutti quelli che dedicheranno anche solo un minuto per ascoltare il nostro “Into The Silence”. STAY HARD!

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