In Flames
Whoracle

1997, Nuclear Blast
Death Metal

Recensione di Lorenzo Brignoli - Pubblicata in data: 01/04/11

“L’album “Whoracle” praticamente non è stato prodotto. Gran parte del tempo lo si passava a giocare a Tekken III e a bere birra”

La frase qui sopra è stata pronunciata niente popò di meno che Fredrik Nordstrom (la trovate nel DVD “The Flames of the End” degli At the Gates), figura leggendaria in Scandinavia e non solo, in quanto produttore di gran parte dei capolavori pubblicati nella penisola nordica, e si riferisce appunto alle “difficoltà” avute durante la registrazione del terzo full-length degli In Flames, “Whoracle”. Se questa fase è stata così, come dire, turbolenta, è il caso di dire che l’alcol fa miracoli visto che il suddetto platter è uno dei migliori lavori (per alcuni addirittura il migliore) degli svedesi.

Battutacce a parte, è noto ai più che Strömblad e soci trovarono la propria formula vincente con il capolavoro “The Jester Race”, datato 1996, e l’anno successivo scelsero di riproporla con qualche piccolo cambiamento. Tra le date di pubblicazione dei due dischi passarono circa venti mesi, non molti, ma evidentemente i nostri all’epoca erano in una fase di grandissima ispirazione e composero una serie di canzoni di altissimo livello, che li consacrarono come una delle bands più in vista all’interno della scena estrema europea. La struttura, come detto, è abbastanza simile a quella del disco precedente, ed è costituita da un riffing melodico che alterna parti cadenzate a cavalcate aggressive, arricchite dagli assalti frontali della batteria (un esempio su tutti può essere proprio la opener del disco, “Jotun”); a tutto questo si aggiungono i famigerati inserti di musica folk scandinava, vero e proprio tratto distintivo dei primi album degli In Flames. Come anticipato nella fase introduttiva di questa recensione, le tracce che costituiscono il disco sono a dir poco di ottima fattura: il duo iniziale “Jotun” – “Food for the Gods” da solo si mangia interi album dei tanti gruppi clone dei nostri, mentre la terza traccia, la sognante “Gyroscope”, lascia a bocca aperta per la capacità con cui gli infiammati alternano sapientemente il riffing ritmato di Strömblad e Ljungström, alle parti acustiche.

Seguono “The Hive” ed una delle migliori strumentali mai composte in Svezia, “A Dialogue With Stars”: in entrambe la parte del leone la fanno le chitarre, particolarmente nella parte conclusiva della prima, con un assolo davvero memorabile. Al microfono Anders Frìden è autore di una grande prova, il suo growling possente gioca una parte importante nella sesta traccia, “Jester Script Transfigured”, la più lenta del lotto, utile a spezzare un po’ il ritmo piuttosto “tirato” dell’album e forse non è un caso quindi se è inserita proprio a metà di esso. Delle restanti tracce la più famosa è sicuramente “Episode 666”, spesso presente nei concerti degli In Flames, celebre per la potenza che libera e scarica sul pubblico, figlia di ritmiche serrate e di un ritornello riuscitissimo ("This is Episode 666 – Destination: Chaos"). Chiudono l’album un’ottima cover di una celebre hit dei Depeche Mode, “Everything Counts”, e la title-track, breve ma riuscita outro strumentale.

Qualche curiosità sul disco: innanzitutto la line-up, che cambierà immediatamente dopo la pubblicazione e rimarrà praticamente invariata per più di dieci anni, fino al doloroso recente abbandono di Jesper Strömblad. In secondo luogo i testi, scritti da Niklas Sundin (storico chitarrista dei Dark Tranquiility), che di fatto tradusse in inglese le idee raccolte da Anders Friden, il quale voleva realizzare un concept album sul passato, il presente ed il futuro del Pianeta Terra, ma non evidentemente non si riteneva abbastanza bravo con le lingue. Dalle lyrics appare una concezione non molto positiva (eufemismo) dell’argomento da parte dei nostri, come del resto si può capire dalla breve citazione di Episode 666 riportata poco fa. Insomma un disco fondamentale, talvolta messo in secondo piano nella discografia degli In Flames perché offuscato dall’ombra di “The Jester Race”, ma che in valore assoluto se non lo eguaglia poco ci manca; da avere in ogni modo.



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