Blind Guardian
Nightfall In Middle Earth

1998, Virgin Records
Power Metal

Recensione di Marco Migliorelli - Pubblicata in data: 02/12/15


 

Dalle trincee di La Somme a Valinor, la strada non è tracciata. Fra loro si estende il crepuscolo. Inizia coi bagliori dello shrapnel ma termina nella luce soffusa di Gondolin e nel luccichio della Luna che si specchia nel volto dei Primi Nati.


Questo è il miracolo dell'anima di JRR Tolkien.


La sua anima non raggiunse la terra per sfilacciarsi nella mitraglia e nel fango della terra di Francia ma per dipanarsi in una geografia di luoghi in cui la guerra stessa finiva col trovare un significato e i valori dell'amicizia un senso oltre la morte stessa.


Molti anni dopo, a Krefeld, in Germania, cittadina non lontana da Dusseldorf e forse nota a qualcuno per il magnifico elmo di Krefeld-Gellep in uso presso le armate d'europa nel V- VI secolo, un gruppo di amici, decise di addentrarsi definitivamente nella vastità di quella geografia interiore.


Fra le loro mani ardeva un libro in cui la parola si rinnovava in una costellazione di nuovi linguaggi fino alla genesi di un mondo che nell'intensità del vissuto, ancor oggi, diventa più reale della Terra stessa:


Il Silmarillion, la genesi della Terra di Mezzo.


Correva l'anno 1998 . Quei quattro amici di Krefeld, i Blind Guardian, diedero alla luce quello che ancor oggi, a detta di molti di noi e dello stesso Hansi (in una intervista del 2013 per Spaziorock), è l'album più completo della band: Nightfall in Middle Earth.


Opera di 22 tracce delle quali 11 le canzoni vere e proprie ed 11 i raffinati intermezzi narrativi, figli di un ispirato approccio menestrellare alle vicende narrate, come se le canzoni stesse fossero cantiche a tutti gli effetti. L'esito? un concept la cui ambizione è quella di rendere in musica un libro la cui complessità sta nel negarsi ad un chiaro intreccio e nell'abbandonarsi ad un caleidoscopio di storie e leggende.


La via d'accesso? l'imponenza stessa delle vicende contenute nel Silmarillion, blocchi narrativi imponenti in cui le immagini si rivelano vividamente ad un occhio appassionato e attento. Blocchi di marmo che la forma canzone va a scolpire: in se stessa compiuta e al contempo permeata di una affascinante e malinconica percezione di "non-finito".


I brani sono tutti di durata medio lunga, nulla di eccessivo. Eccola la magia della narrazione. Per chi dopo anni di ripetuti ascolti e un lungo intervallo si riavvicina all'esperienza del disco intero , l'aspettativa è quella di canzoni lunghe e imponenti.


Si ritrovano invece brani brevi se comparati alla ricchezza che trasudano. La batteria di Thomen perpetua lungo tutto il disco l'illusione del tempo. Restringe i tempi nella velocità senza rubare spazio alla ricchezza delle melodie.


Come è possibile?


Carpe diem! una ragione è nel tempo stesso. Nightfall in Middle Earth esce in un momento chiave della carriera dei Bardi. Dopo seguirà il regno di mezzo noto come A night at the opera fino a che "a new reign shall come", con i lavori più recenti.


NiME è figlio di quanto la band ha fatto nei precedenti sei album, connessi da un filo conduttore che ha nome istinto. Un istinto che si è andato inspessendo nel tempo e così maturato si è reso pronto per un altro elemento chiave: la potenza delle Immagini.


L'istinto di un approccio musicale irriverente, pindarico e mai, questo va sottolineato, autoreferenziale, temperato, domato ma non represso, da una Materia narrativa potente, capace di imporsi all'immaginazione dei nostri e guidarli in un nuovo processo mitopoietico di natura squisitamente musicale!


Thomen è l'istinto. Olbrich e Siepen la temperanza, il lavoro di cesello. Hansi è la voce menestrellare che col suo inglese nitido come un mattino invernale di Krefeld, si fa araldo e cantore quando non interprete di vere e proprie figure tragiche.


E così Mirror Mirror nasce fra i pedali di Stauch e riflette l'urgenza di una speranza che viva oltre la bellezza potente di Gondolin. In quello che forse fra i pezzi veloci dei BG è il più famoso, si mescolano l'approccio grezzo e roboante dello speed metal ad un climax di cori più che epici, di epica raffinatezza.


Back to the old days
Of bliss and cheerful laughter
We're lost in barren lands
Caught in the running flames
Alone
How shall we leave the lost road
Time's getting short so follow me
A leader's task so clearly
To find a path out of the dark

 

Curse of Feanor è canzone vicinissima a Mirror Mirror. Il tiro di batteria è serrato ma l'atmosfera è completamente diversa. Tutti e due i brani si richiamano per velocità e immediatezza, eppure sono profondamente diversi fra loro.


Come è possibile? Le immagini. Il racconto intride le note e le permea. Non è un processo descrivibile. Non è costruzione alchemica. Musica e testi vengono ad assimilarsi-assomigliarsi.
Mirror Mirror è 'urgenza della Bellezza, nella sua fragilità. La batteria è come un rigurgito potente di giovinezza e intraprendenza oltre che di speranza nel pericolo.


Curse of Feanor è il rombo sordo della rabbia quando è cieca come l'imprevedibilità del Destino. La batteria è il dramma. Hansi l'interprete di una rabbia colta, fiera e per questo affascinante nella sua condanna. Hansi ne è l'interprete; vetta di espressività, per chi scrive, nella strofa in cui dalla dolcezza di Arda, la voce torna a farsi schiava stanca di dolore e rancore. "


Beyond the void but deep within me
A swamp of filth exists
A lake it was of crystal beauty
But Arda's spring went by
I've heard the warning
Well curse my name
I'll keep on laughing
No regret
No regret

Beyond" è la distanza che una voce piana acclara, la visione s'addensa, lo sguardo è lontano fino a che "I've heard the warning": -ho ascoltato il monito-.


Ed è come udirlo ancora perchè tutto cambia, la musica così come il registro vocale.Su tutto le chitarre come ceselli sullo sfondo malleabile del basso.


Il disco abbonda di simili passaggi. E dopo molti anni, quando si invecchia insieme ad un disco che si ama, si arriva a riflettere a fondo anche sullo stato d'animo degli artisti, certo non nei campi della certezza assoluta: al cuore è sempre affidato il compito di ipotesi appassionate.
Avvinti dalla drammaticità del racconto, i nostri non sono più davanti alla materia trattata come dei creatori-interpreti; ne divengono gli strumenti. Così dunque la musica si fa linguaggio.
Noi tutti i fortunati "lettori".


A dark Passage sottolinea quanto all'epicità degli eventi si intreccia la profondità dei conflitti interiori: soliloqui che plasmano il destino della Terra di Mezzo al pari del Canto degli Ainur.
Qui non è l'eroe maledetto Feanor ma la mente di Morgoth a tramare l'ordito del brano.
Su due piani temporali Morgoth maledice la stirpe di Hurin mentre la sua mente eccitata costruisce il proprio trionfo sui campi del Beleriand. Su tutto domina la diaspora dei figli di Feanorche sembra risuonare come una marcia lenta e monotona nelle parole finali, flebile controcanto al potente chorus della canzone:


I smashed down the light
and dared Valinor
I smashed down the light
revenge will be mine

Slowly marching on
still we're marching on

 

Questa profondità "teatrale", così come la possibilità della nostra immedesimazione, sono possibili grazie ad una forte tridimensionalità; e qui tridimensionalità è sinonimo di suono!
Il missaggio del disco (edizione originale del' 98), gioca un ruolo decisivo. Soprattutto se si considera quanto potrebbero acquistare in valore tanti pezzi più recenti (caso-pilota, il missaggio debole e pastoso del bellissimo "A night at the opera").


Gli strumenti su NiME sono concreti, vivi. Ci sono mani sulle corde delle chitarre e c'è il legno che si scheggia sulle pelli, stretto fra i pugni di Thomen!


Non sapremmo distinguere più il legno delle bacchette che si sono spezzate in studio dal fragore delle lance.


La cura del suono è la culla che col suo dondolio ci addormenta di un sogno attivo, che ci avvolge col calore di un sound che si può "vedere".


E poi le linee vocali che con i testi impongono una struttura originale alle canzoni e ispirano la musica. Del resto come era possibile che anticamente le persone restassero rapite dall'ascoltare per ore bardi e cantori? parole, voce e musica si ispiravano vicendevolmente; si rincorrevano e spronavano nella sintesi perfetta di una visione o di un sogno, se preferite.


Nightfall in Middle Earth è appunto una visione.


Da un punto di vista meno poetico e più pratico, NiME è "il ritratto dell'artista da giovane". Riferimento luminoso rispetto al quale definire la rotta di un cambiamento.


Non si pronuncia qui un giudizio di valore. Resta però un dato di fatto che la produzione dei loro dischi sia cambiata; che le orchestrazioni abbiano guadagnato una porzione non irrilevante nel loro sound e che seppur non assenti, le immagini, la forza del racconto, non siano ancora tornate a imporsi con la trionfante sicurezza di NiME.


Unico come il Silmarillion, non può tornare; ha chiuso in modo netto anche se non traumatico il primo corso di una carriera solida, madre di album cari alla nostra vita.





01. War of Wrath
02. Into the Storm
03. Lammoth
04. Nightfall
05. The Minstrel
06. The Curse of Feanor
07. Captured
08. Blood Tears
09. Mirror Mirror
10. Face the Truth
11. Noldor (Dead Winter Reigns)
12. Battle of Sudden Flame
13. Time Stands Still (At the Iron Hill)
14. The Dark Elf
15. Thorn
16. The Eldar
17. Nom the Wise
18. When Sorrow Sang
19. Out on the Water
20. The Steadfast
21. A Dark Passage
22. Final Chapter (Thus Ends...)

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