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Dry Cleaning – Stumpwork

C’è del genio, o forse solo qualcosa di puramente magico nei Dry Cleaning e nella loro musica. Sarà che la realtà odierna è tanto pragmatica, ispida e spietata, che quando i quattro londinesi collegano i jack agli amplificatori , ci sentiamo sollevati, percepiamo il pesante fagotto di pensieri squagliarsi come orologi di Dalì. Al cospetto dell’esuberante e sbandata danza di “Stumpwork”, sophomore di un debut – “New Long Leg” – a dir poco eccezionale, ci sentiamo accarezzare da una ventata di freschezza musicale che persegue la chirurgica operazione di demarcazione dei Nostri all’interno del complesso universo post-punk. Perchè le due creature dei Dry Cleaning, nonostante il pochissimo tempo che intercorre tra le loro pubblicazioni (un anno e qualche mese), già dialogano con carattere col pubblico, descrivono un quadro sonoro e testuale specifico, caratterizzante, che salta all’orecchio istantaneamente. Con quella famosa impronta – o identità – che tante band ricercano ossessivamente lungo decenni di dischi, Florence Shaw e compagine ci hanno già fatto un calco di gesso da esposizione, e gli è bastato davvero poco, giusto il tempo di fissare una base solida, per poi iniziare a sperimentarci attorno.

Poichè “Stumpwork”, rispetto al suo predecessore, è un prodotto ben diverso, un’opera che, pur conservando gelosamente quell’appeal stralunato, acidulo e a tratti malinconico che ha forgiato la natura del sound del quartetto, divaga in un’audace escursione sperimentale per lande ancor più evanescenti, fosche, ipnotiche, e ciò viene a galla già coi singoli, dai ritmati versi di “Scratchcard Lanyard” del predecessore, levitiamo verso il mansueto intreccio di “Anna Calls From The Arctic”, attraversata da trasognate venature che trovano appiglio sull’ossessiva linea di basso di Lewis Maynard, collante del Dry Cleaning sound. È su quelle quattro corde, spesso colpite in maniera ripetuta e nevrotica, che si appollaia tutto l’ensemble strumentale prima di spiccare il volo per le consuete e abili acrobazie, che siano queste in cieli sereni, arpeggiate dolcemente come in “Kwenchy Kups” o in maniera più andante come nelle rapide “Gary Ashby” e “Don’t Press Me”, oppure in atmosfere più nebbiose, come nelle più noise-oriented “Driver’s Story”e “No Decent Shoes For Rain”, forse i pezzi più rappresentativi dell’album e, soprattutto, quelli in cui brilla maggiormente la meravigliosa voce di Florence Shaw.

Non ce n’eravamo scordati, della tenebrosa musa dei Dry Cleaning, forse il tassello fondamentale ed imprescindibile nell’identità della band: difficile immaginare un’altra voce arrampicarsi tra le melodie pizzicate di Tom Dowse – che in alcune peripezie chitarristiche ci ricorda Johnny Marr -, con quello spoken word ipnotico, stregante, che scivola nelle orecchie per tutto lo scorrimento della title track, capace di amalgamarsi alla perfezione ai pezzi più lesti – “Conservative Hell” -, e alle volatili scorribande dai toni slowcore ed ambient di “Liberty Log”, per poi consacrarsi tra le righe di una “Hot Penny Day” che antepone un basso acquoso a colmare un’aria intrisa di malinconica sensualità, ambiente ideale per l’ugola magnetica della frontman.

Un ritorno attesissimo, in un periodo farcito di uscite post-punk; eppure quando escono dal letargo i Dry Cleaning, tutto si ferma e si riduce a sfondo: la band londinese non si confonde, ma spicca sempre, ed i motivi ve li abbiamo già ampiamente spiegati nella recensione. “Stumpwork” è sicuramente meno diretto del suo predecessore, necessita del suo tempo di affinamento e di maturazione all’interno dell’ascoltatore, che a questo giro si ritrova in un ubriacante sogno ad occhi aperti, o forse, più semplicemente, in una goliardica rappresentazione di una realtà già di per sé strampalata. I londinesi sono abili disegnatori di atmosfere, che ora diventano sempre più stranianti, saggiamente intervallate, però, da tracce che riportano a terra, onde evitare digressioni esageratamente fuori orizzonte. Ennesima grande prova dei Nostri, “Stumpwork” è un must per gli amanti del post-punk e, più in generale, di tutto l’alternative rock: se non lo avete ancora fatto, fateli roteare sul vostro giradischi.

Tracklist

01. Anna Calls From The Arctic
02. Kwenchy Kups
03. Gary Ashby
04. Driver’s Story
05. Hot Penny Day
06. Stumpwork
07. No Decent Shoes For Rain
08. Don’t Press Me
09. Conservative Hell
10. Liberty Log
11. Icebergs

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