Foto copertina: Nat Wood

In uscita oggi per Hopeless Records, “Neck Deep” è il quinto album in studio del gruppo di Wrexham, Galles. Nel bel mezzo delle prove per l’imminente tour statunitense, il frontman Ben Barlow ha trovato il tempo per chiacchierare con noi.

Ciao Ben, ti do il benvenuto su Spaziorock. Come stai?

Ciao, io sto bene. Spero che non sia fastidiosa la batteria in sottofondo, ma gli altri stanno provando. [ride, ndr]

No, ci mancherebbe! Siete emozionati per l’uscita di “Neck Deep”?

Sì, assolutamente, è da un po’ che non pubblichiamo musica. Credo sia un ritorno al sound che i nostri fan amano e ad un sound fedele a noi stessi.

Dopo alcuni titoli direi iconici, questa volta andate per l’omonimo. È per via della nuova line up?

Mmh, no, direi di no. Piuttosto è per le modalità con cui questo disco è nato ed è stato realizzato. L’abbiamo fatto noi stessi, nel nostro studio; mio fratello Seb, oltre ad essere il bassista, è stato il produttore. Solo noi, nessun’altro coinvolto e le canzoni sono tornate al nostro stile iniziale. Ci sembrava giusto chiamarlo così, no?

Sì, capisco. Ma parlando della line up, voglio dirti che apprezzo che vogliate mantenere le cose in famiglia, non so se mi spiego. Quando siete rimasti senza bassista, siete ricorsi al vostro fotografo; quando Dani [Washington] se ne è andato, lo ha sostituito il suo drum tech. E ora avete pure Seb a bordo. È bello vedere che una band al vostro livello si preoccupi comunque delle emozioni, della chimica tra di voi e tutto il resto.

Certo, è importante. Poi sai, per quanto riguarda Seb, è come se fosse nella band da sempre: quando abbiamo iniziato lui era lì, ha registrato i nostri primi brani. Non c’è nessuno meglio di lui che conosca così bene noi e i nostri pezzi. Lo stesso vale per Powles [Matt, batterista, ndr], è entrato subito a contatto con noi perché appunto ci ha sempre seguiti in tour. E poi, oltre ad essere un batterista fenomenale, è molto attento alla logistica, il che lo rende una presenza molto utile nella band. È nostro amico da 10 anni e quindi sì, abbiamo mantenuto le cose in famiglia.

NeckDeepBenMilano

E per Seb è stata la prima volta dall’altra parte dello studio con voi.

Ti dirò, mentre eravamo a Los Angeles facevamo fatica a capire che direzione prendere per questo disco. Abbiamo avuto queste lunghissime conversazioni e abbiamo dovuto rimandare l’uscita di un paio di mesi. Ma appena tornati a casa, nel nostro studio, con Seb, è andato tutto molto meglio. Era proprio ciò di cui avevamo bisogno: libertà creativa, capirsi l’un l’altro. E poi Seb lavora sempre, anche se non direttamente con noi; è sempre lì che registra oppure scrive. Lui ha lavorato tantissimo per questo album, probabilmente più di tutti noi. Ed è un album che suona “super Neck Deep”: c’è tutto ciò che ci dovrebbe essere in un buon disco pop punk e credo sia grazie al fatto che la comunicazione tra di noi è stata ottima.

La comunicazione è importantissima in un processo creativo di gruppo. Ma è durato tanto, vero? Sono passati 4 anni da “All Distortions Are Intentional” e nel frattempo avete pubblicato singoli, live, collaborazioni. E il primo singolo, “Heartbreak of the Century”, è uscito quasi un anno fa. Quando avete deciso di fare un nuovo album?

Ci è voluto un po’. Alcune delle canzoni erano lì da molto tempo. Anche “STFU” poteva far parte della tracklist, però era un po’ fuori contesto e quindi è rimasta fuori. Avevamo altre due canzoni pronte e tante altre su cui stavamo lavorando. Penso che anche il COVID abbia fatto la sua parte, ci è voluto un po’ per tornare in carreggiata.

Quindi il COVID e la pandemia sono stati fonte d’ispirazione per il disco?

Non direttamente, nessun testo a riguardo se è questo che intendi. Semplicemente è il nostro ritorno dopo tutto quanto. E forse nella nostra miglior forma, potrebbe essere il disco preferito di molti nostri fan… Sì, ovvio, siamo obbligati a dire che è il nostro lavoro preferito [ride, ndr], ma credo davvero che potrebbe esserlo per i fan.

A me è piaciuta tantissimo la copertina, mi ricorda molto le prime.

Decisamente. Sgargiante, ricca, colorata. Più divertente rispetto alle ultime, più “nostra”. Evan Weselmann, che è l’artista, ha spaccato.

NeckDeepSelfTitledFinal

Direi che tutto l’album è un ritorno però, sai? “All Distortions Are Intentional” era più introspettivo, profondo… quasi rilassato. Questo invece è molto hardcore, d’impatto. In italiano diremmo che “pestate di brutto” e vuol dire che il sound è molto pesante, in modo positivo!

[ride, ndr] Sì, sicuramente ha un sound più tagliente, più punk. Le chitarre pompano e il ritmo è molto veloce. Ci sono tutti i segnali per del buon punk. Diciamo che ai tempi di “All Distortions Are Intentional” non ci sentivamo così tanto pop punk, poi c’era la pandemia e tutto il resto… È stato strano, è stato come rimanere bloccati nel fango per due anni. Ci è voluto un po’ di tempo per tornare sui nostri passi, abbiamo dovuto fare un passo indietro e dire: “Perché abbiamo iniziato? Cosa amiamo dell’inizio? Cosa amiamo del nostro genere? Cosa amano i fan di questo genere?”. Semplificare. Fare ciò che ci viene bene e che ci viene in modo naturale. Credo che con il disco precedente stessimo tentando di combattere tutto questo.

Come dicono le vostre magliette, “Generic Pop Punk”.

Esatto! È bello tornare dove si sta bene.

Parlando di pop punk, ho adorato la reference ai blink-182 nel video di “Take Me with You”. È azzeccatissima perché poi gli alieni sono il guilty pleasure di Tom. Avete ascoltato il loro ultimo disco?

Siamo grandissimi fan dei blink da sempre, sono loro che ci hanno fatto iniziare a suonare [ride, ndr]. E diciamo che ci aspettavamo questa reunion, loro stessi lo avevano fatto intendere. Anche se Skiba ha fatto un ottimo lavoro, assolutamente, e credo che sia stato un sostituto perfetto; però sai, sentire di nuovo Tom e la sua iconica voce nasale… è una di quelle volte in cui pensi: “C’è del bello in questo mondo”.

Ben Barlow
Foto: Tom Barnes

Sì, è stato bello vederli tornare insieme. Un altro vostro video che mi ha impressionato è “We Need More Bricks” perché c’è di tutto: politica, ambiente, perfino qualche meme. Com’è venuto fuori?

“We Need More Bricks”, secondo me, è la cosa più politica che abbiamo mai fatto. Monarchia, immigrazione, proteste, guerra. In questi tempi, è come se ci trovassimo a un bivio, dove i mattoni possono essere costruttivi oppure distruttivi. La canzone è una chiamata ai punk e a tutti coloro che vogliono fare la differenza. E poi il riff e il breakdown sono tra i miei preferiti in assoluto. Spero che la chiamata faccia riflettere gli ascoltatori sul loro posto nel mondo e reagire contro le ingiustizie.

È un bel messaggio da mandare. Prima di lasciarci, volevo solo accennare ai vostri concerti perché sono divertentissimi, vi ho visti lo scorso ottobre insieme agli Static Dress. Tra l’altro, io e la mia compagna conoscevamo solo un loro pezzo e a posteriori posso dire che era uno di quelli più tranquilli. Quando hanno iniziato io ero tipo “ODDIO” e lei invece “Oddio…”. E poi è stato il mio primo surf sulla folla, durante “Heartbreak of the Century”, indimenticabile!

Grazie mille, mi piace quando sento queste storie! E sono contento che avete conosciuto meglio gli Static Dress, sono fortissimi dal vivo ed è stato bello averli in tour con noi. Il concerto di Milano è stato figo, ho avuto anche l’opportunità di provare la vera cucina italiana, e il vino… [ride, ndr]. Torneremo in Europa per I festival estivi, speriamo di incrociare anche l’Italia!

Speriamo sì! Grazie mille per il tuo tempo, ti lascio tornare alle prove.

Grazie a te! A presto!

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