Gli Edge Of Forever  tornano in scena con il quinto loro album in studio “Seminole“, uscito il 21 gennaio per Frontiers Music. Un disco oltremodo sfaccettato, carico di speranza e vitalità, che si immedesima nello spirito di resilienza dei Nativi d’America per lanciare un messaggio positivo in questo periodo così complesso. Ne abbiamo parlato con Alessandro Del Vecchio, mente e anima della band nostrana.

Ciao Alessandro e bentornato sulle pagine di SpazioRock. Come stanno gli Edge Of Forever innanzitutto?

Ciao Giovanni! Benissimo e davvero entusiasti di aver finalmente pubblicato “Seminole”!

Prima di parlare del nuovo album, facciamo un passo indietro al 2019, quando venne pubblicato “Native Soul”. È stato penalizzante non poterlo promuovere in tour oppure la ricezione da parte degli appassionati ha avuto un riscontro comunque positivo?

La ricezione è stata estremamente positiva, ma l’avere più di venti concerti in programma, in compagnia degli Harem Scared e in diversi festival, e non poter suonare e promuovere in maniera ottimale l’album, è stata dura. Ma, d’altro canto, è stata una condizione comune a tutti che non ci ha, comunque, impedito di andare avanti, pubblicare qualche brano acustico e pensare al disco successivo, progettando, per quanto possibile, i piani futuri.

Restando sempre a due anni fa, il vostro quarto album in studio è stato il primo con la line-up attuale, oggi ancora più affiatata e coinvolgente. Visti i risultati, potremmo definire la formazione odierna degli Edge Of Forever la migliore in assoluto? E quali sono i suoi punti di forza?

Non è solo la migliore in assoluto, ma anche quella più compatta e con più visione e professionalità. Partendo, comunque, dal fatto che le line-up precedenti erano composte da musicisti incredibili come Matteo Carnio, Christian Grillo, Francesco Jovino e Walter Caliaro, penso sia palese quanta energia abbia questa formazione. Sicuramente i punti di forza sono le ritmiche heavy di Aldo Lonobile e la sezione ritmica furiosa, ma di classe, di Nik Mazzucconi e Marco Di Salvia. Io non devo fare altro che scrivere i miei migliori brani, sicuro che quando arriveranno gli assoli melodici, ma tecnicamente sempre interessanti di Aldo, le batterie fuori dall’ordinario di Marco e i bassi solidi e melodici di Nik, tutto convoglierà al meglio per le canzoni stesse. Con “Seminole” è successo proprio così. I pezzi hanno vissuto un’evoluzione verso la perfezione proprio grazie all’alchimia dei musicisti della band.

Passiamo a “Seminole”, appena uscito per Frontiers Music. Già dal titolo si nota il legame con lo scorso lavoro, ma qui gli Indiani d’America rappresentano un emblema concreto di resistenza e rinascita. Perché avete scelto proprio i Nativi come simbolo di resilienza? Cosa vi ha colpito e vi colpisce ancora della loro storia?

Sono sempre stato un grande appassionato della filosofia e della cultura dei Nativi Americani. In particolare, la nazione dei Seminole si è distinta per un’estenuante quanto fiera resistenza a Spagnoli e Inglesi quando questi hanno invaso le loro terre. Nel difendere la propria terra e i propri ideali, i Seminole hanno anche ospitato numerosi schiavi che fuggivano dal Nord. Penso che un esempio migliore di resilienza, quella vera, e resistenza non esista nella storia. Il popolo dei Nativi è stato vittima del più grande olocausto mai avvenuto, perpetrato per oltre cinquecento anni e che ancora oggi viene portato avanti dietro l’indifferenza di tutto il mondo. Basterebbe passare poche ore in una riserva per capire quanto sia stato assurdo e quanto sia ancora atroce la loro condizione. Nonostante ciò, la storia culturale e filosofica dei Nativi ci potrebbe insegnare tanto ancora oggi. Proprio su come vivere a contatto con la Natura, che stiamo distruggendo, su come essere fieri di noi stessi, delle nostre origini, ma aprendo sempre il cuore e le nostre case agli sconosciuti.

Nel mondo della musica gli effetti della pandemia si sono tradotti, in questi ultimi due anni, con la pubblicazione di dischi spesso angoscianti e apocalittici. Vi sentite un po’ una mosca bianca in questo contesto, considerato lo spirito vitale e positivo emanato dai solchi di “Seminole”?

Abbiamo voluto fortemente essere diversi. Perché concentrarsi sul negativo quando questo è sotto gli occhi di tutti? La musica deve farsi portatrice di vita, di spunti su cui riflettere e di energia vitale, di forza. Basta aprire gli occhi ogni mattina per essere inondati di brutte notizie, morte, distruzione e riempirsi di angoscia. Sarebbe troppo facile trovare l’ispirazione in tutto questo. Invece proprio tutto questo diventa occasione di riflessione, uno spunto su come reagire costruendo invece di distruggere e su come diventare, davvero, esseri umani migliori. In tal senso, la pandemia ha davvero rappresentato una benedizione per chi ha voluto lottare e capire dove trovare il meglio in tutto questo.

Ascoltando l’album, si nota un leggero indurimento del sound rispetto allo scorso lavoro, oltre a un’influenza più marcata dei Black Sabbath del periodo Ronnie James Dio, dei Led Zeppelin, dei Rainbow e degli stessi Hardline. Possiamo dire che con il tempo gli Edge Of Forever, maturando, hanno assunto una personalità poco etichettabile nella quale fa capolino anche un certo modo di intendere il progressive?

Ti ringrazio di cuore di questa domanda perché, sì, gli Edge Of Forever non sono più una band AOR o una band hard rock. Sono una band che ha voluto crescere e trovare il proprio stile, con le evidenti influenze, ma con un’alchimia e un sound unici che possano differenziare la band dalle altre dello stesso genere. Con tutta l’umiltà di questo mondo, non vogliamo essere solo una band di hard rock melodico, e la title track lo dimostra. Per il prossimo disco ho in cantiere una suite di venti minuti, quindi la direzione ormai ce la siamo data!

Guardando ai singoli brani, colpisce molto l’orecchio “Wrong Dimension”, una traccia articolata e dalle molteplici sfaccettature e che riesce a conservare un vena melodica in grado di coinvolgere e trascinare. In un’ipotetica classifica dei vostri brani più significativi, quale posizione occupa questo pezzo? E perché?

Domanda difficile. Diciamo che “Wrong Dimension” racchiude tanti elementi che amiamo. L’epicità di Rainbow e Black Sabbath dell’era Ronnie James Dio e Tony Martin, le atmosfere neoclassiche dei primi Rising Force e anche qualche accenno di Led Zeppelin che non fa mai male. E’ un brano che osa nei suoi 8 minuti, ma che rimane comunque classico. Un pezzo a cui è facile legarsi, ma con tematiche importanti. Ti vorrei dire che tutto “Seminole” dovrebbe essere nella nostra Top 20, ma se potessi trovare un posto per “Wrong Dimension”, sarebbe nella Top 5, sicuramente. Mi fa sorridere che le canzoni più apprezzate del disco siano proprio questa e la suite finale, le meno commerciali e facili di tutto il lotto. Vuol dire che davvero dobbiamo abbracciare la nostra vena progressive.

Altra perla, appunto, è la suite posta in coda alla scaletta, mini concept di grande fluidità narrativa incentrato sulla figura immaginaria di un guerriero Seminole. Ce ne racconti genesi e sviluppo?

La suite “Seminole” è stata scritta con Marco Di Salvia, il batterista della band, che ha contribuito alle parti “II” e “III”. Originariamente volevamo comporre una mini suite sullo stile di “Los Endos” dei Genesis, dove inserire e riadattare tutti brani del disco, ma poi siamo finiti a scrivere qualcosa di nuovo e unico, lasciandoci andare e seguendo il nostro istinto. Non nascondo che, all’interno della band, “Seminole” sia il brano preferito da tutti e che, quasi sicuramente, sarà quello con cui apriremo i concerti. Insomma, siamo pronti a dichiarare guerra alle classificazioni di genere e portare avanti il sound EOF per distinguerci da tutti.

   Photocredits: Alessandro Quadrelli

Negli ultimi momenti di “Seminole Pt. 4 – The End’s Starting to Began” si respira un’aria cinematografica alla Sergio Leone. Un finale in dissolvenza ispirato soltanto dai film western o che attinge anche ad altre fonti?

L’idea del fischio finale l’ho avuta mentre iniziavo a scrivere la parte “I” e, da grande fan di Sergio Leone, ho pensato che avrebbe potuto essere un bel segno di Italianità a livello internazionale. Ok, vi parliamo attraverso la filosofia e la cultura dei Nativi, ma vi ricordiamo che siamo pur sempre, e fieramente, italiani. Non sapevo però che in seno alla band ci fosse un fischiatore professionista perché il fischio finale, con tanto di citazione da “Il buono, il brutto, il cattivo”, è opera di Marco Di Salvia. Ci sembrava un bel saluto “italiano” ai nostri fan.

Ormai la liaison con Frontiers è solida e di vecchia data, anche per gli intrecci dei membri degli Edge Of Forever con altre band appartenenti al roster della label. Cosa rende così forte il rapporto tra l’etichetta nostrana e i numerosissimi musicisti a essa legati, voi compresi?

Sono ormai undici anni che lavoro principalmente con Frontiers e mi sono portato dietro un po’ tutti i miei musicisti, tanto che la label è diventata una grande famiglia. Quindi, quando è venuta l’ora di ripartire con gli Edge Of Forever, non avremmo potuto lavorare che con Frontiers. Oltretutto, il supporto che abbiamo ricevuto dalla nostra etichetta per “Seminole” è stato davvero importante e non potremmo essere più felici di come sta crescendo la band.

Sembrerebbe tornata l’ora di imbarcarsi finalmente in un nuovo tour: quali sono i vostri piani dei prossimi mesi? Avete già qualche concerto in programma?

Se il mondo è pronto per i concerti, noi siamo pronti. Tra disdette e riconferme, per ora abbiamo in programma un festival con gli amici Hell In The Club all’Arci Tom di Mantova il 19 febbraio e quattro date a marzo tra Olanda, Belgio, Germania e Svizzera. Continuiamo a lottare, e, appena si potrà, saremo pronti a salire su un palco per portare “Seminole” alla gente.

Grazie mille per l’intervista. Come ultima cosa, vorresti lasciare un messaggio ai vostri fan e ai lettori di SpazioRock?

Prima di tutto vorremo ringraziarvi per il supporto e per l’ospitalità e speriamo che il nostro nuovo album “Seminole” possa piantare un seme di speranza e forza vitale in questi tempi difficili per tutti.

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