Un agosto fuoco e fiamme per il mondo sonoro dell’estremo.

Abest – Molten Husk (Moment Of Collapse Records)

Per definire il sound degli Abest potremmo elencare come band di riferimento Amenra, Cult Of Luna, Dyscarnate, Psychonaut, Ulcerate, senza riuscire a incasellarli con esattezza. Il loro terzo album in studio “Molten Husk” si inserisce nel mastodontico calderone del post metal, estrapolando da esso mattoni sludge e passaggi atmosferici, ma, anche rispetto ai due lavori precedenti “Asylum” (2014) e “Bonds Of Euphoria” (2019), il tutto diventa più agile e scorrevole, complice una durata complessiva estremamente concisa. I tedeschi intrecciano dissonanze ultraterrene, energia hardcore, groove e spigolature black metal in un disco magmatico che basa la propria forza sulla liquidità del materiale e non sulla sua consistenza, preservandone comunque intatto il calore intenso. Tra pungiglioni contemplativi, melodie deformate, ripetitività ossessiva e brevi odissee strumentali, il trio di Göttingen ha il solo torto di puntare su una produzione che ricama i brani intorno alla voce del chitarrista Joscha, lasciando nelle retrovie il notevole lavoro della sezione ritmica di Patrick e Rezy. Per il resto, pollice convinto in alto.

Tracce consigliate: “Narrative Subactred”, “Molten Husk”, “Into A Mirrored Hall”

Aronious – Irkalla (The Artisan Era)

“Perspicacity” (2020), l’esordio sulla lunga distanza degli Aronious, mostrava un act talentuoso, elegante e tentacolare, ma ancora incapace di gestire, in modo razionale, i molti elementi diversi alla base del proprio vulcanico stile, generando così confusione e interrogativi nell’ascoltatore. Due anni e tre cambi di formazione dopo, gli statunitensi tornano con “Irkalla”, un ottimo album di technical death metal che guarda con interesse sia alle atmosfere dissonanti degli Ulcerate sia alle evoluzioni prog degli Exocrine, ponendosi entro una via di mezzo che permette loro la costruzione di transizioni più fluide e sensate rispetto al tecnicismo esasperato del debutto, La produzione densa e carnosa consente di apprezzare il lavoro alle asce di Ryan Brumlic e Nick Weyers, prodigo di riff mutevoli e assoli ubriacanti, e i metronomici pestaggi di Kévin Paradis (Benighted), mentre il fondatore del gruppo Brandon Brown, passato dalla chitarra al microfono, scaglia folli anatemi ancestrali destreggiandosi tra mugghi gutturali e qualche grattugiata di matrice blackened. L’antico mondo sotterraneo mesopotamico scolpito nel titolo non è mai stato così prossimo alla rifioritura.

Tracce consigliate: “Nincubura”, “Enkidu”, “Elu Ultu Irkalla”

Obituary – Slowly We Rot – Live And Rotting / Cause Of Death – Live Infection (Relapse Records)

Quando si parla di death metal floridiano e dei suoi pionieri, i nomi che spesso vengono menzionati appaiono quelli di Death, Deicide e Morbid Angel, ma parimenti fondamentali e capaci di influenzare una caterva di band successive sono gli Obituary. I due album di inizio carriera, “Slowly We Rot” (1989) e “Cause Of Death” (1990) rappresentano, forse, l’apice creativo del combo di Tampa, il primo dal sound viscerale e nauseabondo, il secondo dalla scrittura sì elaborata e meno impulsiva, ma altrettanto efficace e spietata. Nell’ottobre del 2020, durante l’emergenza pandemica, entrambi i dischi diventarono oggetto di un paio di live streaming, oggi disponibili in formato fisico attraverso Relapse Records, e arricchiti da una serie di bonus track relative anch’esse a performance dal vivo. Sia “Live And Rotting” che “Live Infection” si mantengono pressoché fedeli alle versioni registrate in studio, anche se vengono un po’ a mancare le atmosfere cupe e morbose degli originali e la violenza infera dell’iconico growling di John Tardy, qui tendente a un cantato hardcore reperibile nelle ultime uscite del gruppo. In ogni caso, una release – artwork compresi – autentica, massiccia e priva di interventi di maquillage, che ci restituisce una band che sul metallo della morte più marcio e letale ha costruito la propria gloria imperitura. Tupa-tupa rules.

Tracce consigliate: “Internal Bleeding”, “Slowly We Rot”, “Body Bag”, “Chopped In Half”

Sigh – Shiki (Peaceville Records)

Quattro anni dopo l’ultimo disco in studio, “Heir To Despair”, la storica band avantgarde giapponese a nome Sigh cambia ancora una volta etichetta discografica, giungendo per il nuovo album sull’inglese Peaceville Records. “Shiki”, che in lingua nipponica si può tradurre in varie accezioni, affronta il tema del trascorrere delle stagioni e dell’avvicinarsi della morte, concetti che il frontman e fondatore Mirai Kawashimaapproccia dal punto di vista filosofico/esistenziale. A parte la sassofonista e vocalist Dr. Mikkanibal, la line-up subisce l’ennesimo sconvolgimento, con il ritorno in formazione di Setoshi Fujinami alle quattro corde e l’ingresso dell’axeman dei Kreator Frédéric Leclerq e del drummer dei Fear Factory Mike Heller: terremoto che non pregiudica la riuscita del disco, come sempre, nel caso dei nipponici, originale e coeso, nonostante l’apparente anarchia del songwriting. Un viaggio anticonvenzionale tra le sponde più sperimentali del mondo estremo, nel quale, sotto un eclettico cappello prog e supportati da una strumentazione eterogenea, convivono e si fondono black metal della prima ora, jazz, psichedelia anni ’70, heavy classico, elettronica, influenze tradizionali dell’Estremo Oriente. L’ennesimo gioiello di uno di quei pochissimi gruppi ancora in giro che nacque nel grembo della Deathlike Silence di Euronymous: un biglietto da visita valido a prescindere. 

Tracce consigliate: “Kuroi Kage”, “Fuyu Ka Guru”, “Mayonaka No Kali”

The Sombre – Monuments Of Grief (Chaos Records)

Black Mouth Of Spite, Caput Mortuum, Cloak Of Altering, Coffin Lurker, De Magia Veterum, Dodenbezweerder, Gnaw Their Tongues, Golden Ashes, Grand Celestial Nightmare, Hagetisse, Malorum, Mystagogue, Obscuring Veil, Pyriphlegethon, The Black Mysteries: questi, in rigoroso ordine alfabetico, sono i progetti attualmente attivi del polistrumentista Maurice De Jong, ai quali bisogna aggiungere quelli messi definitivamente a riposo e una serie di entità che si situano fuori dall’ambito metallico. Il solo project The Sombre rappresentano l’estrinsecazione dell’anima gothic doom dell’artista olandese e il nuovo album “Monuments Of Grief”, forse più dei precedenti “Into The Becoming Wilderness” (2019) e “Shapeless Misery” (2020), ne costituisce l’assoluta sublimazione, trascinando l’ascoltatore in un pozzo di disperazione assoluta, da cui si può guardare la luce, ma senza alcuna speranza di raggiungerla. Un imponente obelisco di sventura che trae ispirazione tanto dai lavori dei Peaceville Three quanto dai finlandesi Swallow The Sun e Dawn Of Solace, e dove i suggestivi momenti eterei servono unicamente per riflettere sull’infelicità dell’esistenza. Una manto cupo e straziante cala ad avvolgere le nostre teste.

Tracce consigliate: “From The Depths Of Misery”, “Alone In My Desolation”, “Paradise Regained”

Wolfnacht / Goatmoon/ Thy Serpent (No Sign Of Life Records)

Chiudiamo la kermesse agostana con uno split di cinque brani di sapore NSBM, almeno per quanto riguarda i due terzi dei protagonisti. La one man band greca dei Wolfnacht partecipa con un trio di brani inclusi nel primo full-length “Heidentum”, che quest’anno compie vent’anni tondi tondi: la nuova registrazione conserva la ruvidezza degli originali, tuttavia ne potenzia l’aggressività  grazie a un missaggio maggiormente equilibrato che permette sia di discernere gli strumenti sia di evidenziare la crescita tecnico/esecutiva del mastermind Athawolf. Altro solo project, questa volta finlandese, sono i Goatmoon di BlackGoat Gravedescrator, qui presenti con un paio di morbosi e oscuri pezzi black influenzati dall’heavy classico, con un impiego quasi sinfonico delle tastiere e scevri di quegli elementi folk che avevano caratterizzato “Stella Polaris” (2017), ultimo album in studio se escludiamo l’esperimento dungeon synth di “Silver Serpent” (2021) . Anche i Thy Serpent provengono dalla Terra Dei Mille Laghi, ma, oltre a essere fermi al palo dalla fine dei ‘90, non simpatizzano, a differenza dei colleghi succitati, per ideologie più o meno estreme, tanto da intervenire con una sola traccia di un quarto d’ora, un’epopea melodic black cupa e cadenzata vicina, per spirito, ai loro esordi. In definitiva, un puzzle eterogeneo, ma che funziona, accomunato dall’amore per il metallo nero nelle sue varie e a volte discutibili forme.

Tracce consigliate: “Licht Des Sieges”, “Bestial Ophera”, “The Endless Journey Begins”

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