Spesso diamo per scontato quello che può essere una band, un progetto musicale o un concerto. Pur essendo abituati a essere bombardati continuamente da novità, da diversi tipi di musica e generi è difficile uscire dalla gabbia autoimposta delle definizioni di quello che può essere o non essere musica o di quello che può essere o non essere un’esibizione. È difficile e forse non è per tutti, ma a volte vale la pena uscire da questa gabbia e andare a vedere una band come i Sunn O))). Anche se probabilmente “andare a vedere” non è neanche l’espressione giusta per descrivere una delle esperienze più forti che potreste provare nella vostra vita.

La vita di tutti era ancora più o meno normale l’ultima volta che gli sciamani del drone avevano portato il loro spettacolo in Italia: era gennaio 2020 e forse è retorico ripeterlo, ma nessuno immaginava quello che sarebbe accaduto nelle settimane successive. Sembra passata un’eternità, ma siamo grati di avere ancora una volta la possibilità di immergerci in questo viaggio verso una dimensione parallela e primordiale. Una leggera inquietudine fermenta dentro di noi mentre ci dirigiamo verso il Live Club di Trezzo sull’Adda, pronti a vivere un’esperienza ai limiti di quello che i nostri corpi, le nostre orecchie e le nostre menti possono essere in grado di sopportare.

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Fortunatamente a stemperare la tensione ci pensano gli Horror Vacui. Partendo dal presupposto che nessuna band sarebbe perfetta per iniziare una serata prima che i Sunn O))) divorino ogni certezza, i bolognesi tengono il palco con sicurezza e convincono il pubblico, presente già in buon numero. Il quintetto, attivo ormai da più di dieci anni ci delizia con un sound dark e gothic, che parte dagli anni ’80, senza risparmiarsi incursioni in territori punk. Come detto prima, nonostante tutto la scelta è azzeccata, se non altro per il modo in cui gli Horror Vacui, oltre a risultare praticamente perfetti sul palco, riesco a settare un mood oscuro e minaccioso, preludio di quanto sta per abbattersi sui fedeli riuniti.

Dopo 45 minuti di set (che volano in un batter d’occhio) i bolognesi lasciano il palco, che inizia ad essere preparato per il rito. C’è schiera infinita di amplificatori posizionata a semicerchio e nel frattempo, mentre un misto di inquietudine ed eccitazione inizia a salire dentro di noi, la musica di sottofondo vira verso lidi doom e stoner, e questo segno è inequivocabile: la cerimonia sta per avere inizio. Ci posizioniamo, proviamo a prepararci mentalmente, ignari di quello che sta per succedere – perché non importa che sia la prima o la decima volta, non si può essere pronti a qualcosa di questa portata. La musica si abbassa, le luci si spengono, un boato esplode dalla platea, poi il palco viene avvolto dalla nebbia e dopo l’ingresso di Stephen O’Malley e Greg Anderson, cala il silenzio più assoluto, preambolo di quello che sta per abbattersi senza pietà su di noi. Il primo colpo è già mortale. La terra inizia a tremare e soccombiamo sotto i colpi dei due sacerdoti, delle loro chitarre e del loro esercito di amplificatori. Non siamo neanche in grado di opporre resistenza, sarebbe semplicemente impossibile cercare una spiegazione logica a quanto suoni così prolungati, a volumi così alti possano risvegliare tutta questa devozione in noi.

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Con lo spettacolo Shoshin (初心) Duo, i Sunn O))) vogliono presentare la componente più pura e grezza del proprio essere musicale. Non ci sono quindi musicisti di supporto, niente artefatti, nessuna magia: ci sono due sciamani incappucciati, continuamente avvolti nella nebbia, penetrata solo dai fasci di luce rotanti, prodotti dai tre fari che campeggiano sopra la schiera di amplificatori. È facile capire quindi come un evento del genere possa trascendere il significato di quello che è un’esibizione musicale e porsi al di sopra. Perché, se vogliamo dirla tutta, in quello che fanno O’Malley e Anderson, di musicale non c’è quasi nulla. Non c’è ritmo, non c’è melodia, ci sono solo dei suoni lenti e devastanti, che non vengono semplicemente ascoltati – e già solo per ascoltare suoni di tale portata e volume bisogna richiedere un grosso sforzo ai proprio timpani – ma provati fisicamente: i vestiti ci tremano indosso, il nostro apparato scheletrico si muove dentro di noi, ma nonostante questo tutto il pubblico per tutti gli 80 minuti dell’esibizione è immobile, vigile e non manifesta nessun segnale di disagio – che, chiariamoci, sarebbe perfettamente comprensibile.

I ruggiti prodotti dalle due figure evanescenti, che si muovono lentamente in mezzo alla nebbia, non hanno neanche nulla di naturale: raggiungono un livello tale di distorsione e di cupezza da non essere parte di questo mondo, ma di un qualcosa di alieno e primordiale, qualcosa di troppo grande per essere compreso o descritto. Distinguere i brani è ovviamente impossibile (e non avrebbe neanche senso farlo, ricordatevi che non stiamo parlando di semplice musica), ma il tempo passa in un batter d’occhio, mentre i due costruiscono lentamente climax in cui la frequenza dei suoni si alza in modo impercettibile a livelli quasi inaccettabili, prima di ripiombare sotto il suolo, forse negli Inferi, ma in ogni caso in luoghi a cui nessun essere umano può accedere, tolti i due stregoni, che di umano hanno veramente poco quando sono sul palco.

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La cerimonia si conclude con O’Malley e Anderson che alzano le braccia al cielo, imitati da un pubblico completamente rapito e quando gli amplificatori finiscono di martoriare le nostre orecchie, i presenti si lasciano finalmente andare ad un lunghissimo applauso. Forse è vero che un evento del genere non è per tutti, stiamo parlando di un qualcosa che mette a dura prova mente e corpo. Ma proprio per questi stessi motivi, si tratta di un qualcosa che chiunque dovrebbe provare nel bene o nel male: come detto in precedenza, poco importa che piaccia o meno, si tratterà di una delle esperienze più forti della vostra vita.

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