Li attendevamo da tempo, precisamente dal 16 giugno 2019, data in cui Robert Smith e compagine hanno incantato la platea del Firenze Rocks. Tre anni che sembrano un’eternità, tre anni in cui è successo di tutto e che ci siamo ormai gettati alle spalle: in un 31 ottobre dalle tinte insolitamente primaverili, la congregazione dei fan dei The Cure popola i dintorni dell’Unipol Arena di Casalecchio di Reno (BO) fin dal mattino, pronta ad essere fagocitata dal turbinìo di emozioni dalle tinte dark del Lost World Tour, giunto finalmente ad apporre le sue orme sul suolo italiano.

Al calare del sole, l’arena inizia ad animarsi all’interno, con un brulicare di persone che riempie i tasselli delle tribune ed inghiotte man mano il parterre, ancora non totalmente occupato quando gli scozzesi The Twilight Sad fanno piombare il palazzetto in un buio robotico, squarciato da contrastanti giochi di luce e da sferzate shoegaze, post-punk e dark wave, tra i quali emerge un James Alexander Graham travolgente nelle vocals e nelle appariscenti e sentite movenze con cui ha dipinto un’atmosfera già di per sè pulsante.

Un opening act decisamente convincente ed azzeccato, che traghetta e intrattiene piacevolmente le ore di attesa e le gambe che iniziano a fare i capricci. Ma sono da poco passate le 20:15, l’arena è ormai gremita ed il suono della pioggia che straborda dalle casse ne riveste ogni angolino in questa speciale serata di Halloween: qualche lampo di luce scuote la platea, fino al trionfale ingresso dei Nostri, titanici, scultorei, con il peso delle leggende a gravitargli attorno come un’indescrivibile aura evanescente. Il pubblico è in delirio, Robert Smith si inchina ad esso sulle inziali note della nuova “Alone” che, di fatto, taglia il nastro al ritorno nel Bel Paese degli inglesi.

Ma è in “Pictures Of You” che i freni inibitori si frantumano definitivamente, innalzando un estasiato coro di quasi ventimila voci, un coro che abbraccia un amalgama di persone più che variegata, generazioni diverse che si rimescolano e si rinnovano al cospetto di una band capace di unificare i giovani ed i più anziani nel segno di oltre quarant’anni di musica di pregevole fattura, un viaggio dalle venature sempre differenti, raccontateci nell’ampia setlist della serata, infarcita anche di qualche chicca inaspettata.

Dai primi passi nella dark wave, testimoniati dai tremiti inquieti di “The Hanging Garden” e di “At Night”, alle escursioni post-punk di “Primary” e “Play For Today”, i The Cure consacrano e danno lustro, come al solito, ad una prima parte di carriera stratosferica. I classici non mancano nel monolitico gruppone di pezzi che si ramificano dal tronco centrale del concerto: le evergreen “Push” e “Lovesong”, che scuotono emotivamente la platea, una sentita “A Night Like This” ed il travolgente connubio “Cold”/ “Burn” – che prima gela e poi incenerisce il pubblico con movenze tribali ed un refrain fatto brillare, anche con l’aiuto dei fan, da Robert Smith – fissano i paletti attorno ai quali girano le nuove, più pacate, “And Nothing Is Forever” e “Endsong”, primi singoli dell’attesissimo nuovo album.

Primo encore affidato ad atmosfere dense, intaccate dall’ultimo inedito in scaletta – la toccante “I Can Never Say Goodbye” – e trascinate nel buio da una “A Forest” magistrale nell’esecuzione e nel complice dialogo tra le mani del pubblico ed i rintocchi bassistici di Simon Gallup, ma soprattutto da una granitica e funerea “Faith” che mancava on stage dal lontanissimo 2011, un’autentica gemma regalataci dagli inglesi a porre il grigio fiocco ad una serata fantastica.

Ma i The Cure, ancora una volta, abbandonano il palco solo per qualche minuto, per poi ripresentarsi per un secondo bis strapieno di hits e classici senza tempo: il pubblico si fa incastrare nella ragnatela sonora di “Lullaby” e dei suoi morbidi artigli, balla sui synth frenetici di “The Walk” e canta le iconiche strofe di una sempre godibile “Friday I’m In Love”. “Close To Me” e “In Between Days” celebrano degnamente un capolavoro come “The Head On The Door”, per poi lasciare la chiusura al rodato matrimonio “Just Like Heaven”/ “Boys Don’t Cry” che pone la parola fine ad un concerto splendido.

Uno dei palchi più importanti d’Italia, un evento andato sold out ormai da qualche mese, due ore e mezza di concerto ad alti livelli: a discapito di pluripremiati colleghi più giovani che suonano per poco più della metà del tempo, i The Cure allestiscono uno show enorme, ricchissimo, di quelli che ti fanno dire: “per questo spettacolo avrei pagato anche di più”. È forse anche questa la forza degli inglesi, oltre il loro sterminato valore musicale, la capacità di donarsi completamente a tutti gli estasiati fan ai loro piedi, nonostante il moto del tempo che avanza irreversibilmente. L’orda di gente torna a casa soddisfatta, emozionata, completamente incantata: i The Cure sono una di quelle band che, almeno una volta nella vita, vale la pena di vedere e contemplare. Non importa l’età, non importa il genere di musica che si ascolta, quando si ha di fronte una band immortale e senza eguali è sufficiente farsi trascinare dentro, abbandonarsi alle braccia di chi, per quasi mezzo secolo, ha fatto e continua a far innamorare un’inifinità di persone.

Setlist

Alone
Pictures Of You
A Night Like This
Lovesong
And Nothing Is Forever
At Night
A Strange Day
The Hanging Garden
The Last Day Of Summer
Cold
Burn
Push
Play For Today
Primary
From The Edge Of The Deep Green Sea
Endsong

Encore
I Can Never Say Goodbye
Faith
A Forest

Encore II
Lullaby
The Walk
Friday I’m In Love
Close To Me
In Between Days
Just Like Heaven
Boys Don’t Cry

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