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NUOVE USCITERECENSIONI

Beartooth – The Surface

I’m outta my cage, breaking my spell
Think I might, think I might love myself

Potrebbero essere sufficienti questi due versetti per riassumere lo sfibrante percorso di autoaccettazione che Caleb Shomo ha testimoniato in musica coi suoi Beartooth, un tragitto in perenne mutazione, fedelissimo alle emozioni dell’ex Attack Attack! e alla loro progressiva evoluzione. Incredibile come siano cambiate le cose da quel “Disgusting” che parlava già dal titolo, sputandoci in faccia il dolore della depressione, della completa mancanza di autostima, del pantano emotivo in cui si mimetizzava la maledetta serpentina della malattia mentale.

Qualcosa stava virando già nel buonissimo “Below”, forse il game changer dell’intera carriera degli americani, una formula ancora fedele alle origini, ma con sprazzi di colore che illuminavano la buia grotta dentro cui giacevano rantolanti i buoni pensieri del frontman, iniziati ad un processo di recupero e disintossicazione che trasforma il bianco e nero degli esordi nel rosa acceso che tinge le pagine di “The Surface”.

L’ultimogenito della band dell’Ohio assume le sembianze di un punto di approdo saldo dopo anni passati ad oscillare su una pericolosa fune: cambia, e anche tanto, la proposta musicale dei cinque di Columbus, come chiaramente messo sul piatto dai singoli, direttamente ricollegati a quel “The Past Is Dead” che annunciava la dipartita di un passato logorante in cambio di luce pop-rock.

Ma se nel predecessore i bagliori si accendevano una tantum, in “The Surface” colonizzano l’ascolto, rivoltando la predominanza metalcore in un post-hardcore corposamente melodico, semplificato a livello tecnico, decisamente più radio-oriented.

Questo voleva Caleb Shomo – «Never felt better / Never making an apology / I’m exactly who I wanna be» – , così come le sue emozioni, ora totalmente devote ad un ottimismo che fa ben sperare per la salute del cantante, ma che intaccano il songwriting e la resa generale del platter.

Salgono in cattedra gli afflati pop rock e l’easy listening, il che non è un male se questi vengono amalgamati alla corposità metallica del sound dei Nostri (“Riptide”, “Doubt Me”), ancora legato al predecessore, tramite gli ultimi fili, nella violenta title track in apertura.

Comincia, invece, a calare in qualità (tecnica e compositiva) quando la morbidezza spadroneggia su una base di per sé già poco solida dalle fondamenta: “The Better Me” potrebbe essere annoverata tra i peggiori pezzi mai composti dai cinque sia per le lyrics, sia per una strumentale con pochissimo mordente, “I Was Alive” rade al suolo qualsiasi vincolo col metal, risultando orecchiabile, ma totalmente annacquata in quel lato del pop che rende tutto, appunto, popolare, lineare, uguale a tanto altro.

“Might Love Myself”, manifesto dell’album, funziona molto bene – buono sviluppo, refrain convincente e testo perfettamente coerente alla svolta umorale di Shomo – mentre “Sunshine!” decolla bene salvo poi perdersi in evitabili brandelli acustici à la Simple Plan. “What’s Killing You” rimostra denti e durezza metalcore senza troppa convinzione, “Look The Other Way” gioca sul crescendo sonoro senza esagerare in fantasia, “What Are You Waiting For” spinge sull’acceleratore con un bel riffone hard rock che ben si miscela con le melodie del ritornello.

Insomma, un saliscendi bello e buono questo “The Surface”, ottimo a livello di produzione – fa tutto Caleb Shomo – mediamente soddisfacente, invece, considerando il prodotto finito. Il cambiamento è sacrosanto, purchè non affligga a livello qualitativo l’opera. Difatti, il problema non è tanto la succitata deriva verso il pop rock – o mainstream rock, chiamatelo come vi pare – quanto la progressiva linearizzazione di un sound prima più avvincente, corposo, dettagliato. Qui i breakdown ci sono, ma sembrano ficcati lì a forza, anche quando il pezzo non ne necessita affatto, i testi sono sì ottimistici, ma si semplificano di netto rispetto a quando ad infarcirli c’erano le peripezie umorali del frontman.

Una prova piacevole, che sfamerà buona parte dei seguaci e che lascerà non troppo entusiasta la restante porzione, un’opera che trova il suo più grande valore nel voler dimostrare la forza, la resilienza, di un’artista che ha nuotato coi demoni per gran parte della sua vita e che ora li ha assassinati definitivamente.

Caleb Shomo è, finalmente, riaffiorato in superficie, tornando a respirare. Ed è forse questo il messaggio più importante di tutto “The Surface”.

Tracklist

01. The Surface
02. Riptide
03. Doubt Me
04. The Better Me
05. Might Love Myself
06. Sunshine!
07. What’s Killing You
08. Look The Other Way
09. What Are You Waiting For
10. My New Reality
11. I Was Alive

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