Chelsea Wolfe
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Chelsea Wolfe – She Reaches Out to She Reaches Out to She

Sin dall’annuncio, abbiamo subito cercato di motivare un titolo del genere, dargli un contesto, costruirci sopra una spiegazione. Non un singolo vocabolo, nemmeno un paio, ma una ripetizione di termini, senza virgole, senza nulla. A distanza di qualche mese e dopo serrate immersioni auricolari, ci è tutto decisamente più chiaro – o almeno, ci è parso di catturare un senso, un’ideale interpretazione: “She Reaches Out to She Reaches Out to She” incorpora, nel suo flusso, una sorta di interruzione, non brusca, ma ferma. Un circolo vizioso che trova la sua conclusione non battendo la sua estremità contro il durissimo muro dell’inevitabile, bensì ammortizzandola contro il baluardo di spugna della consapevolezza.

Chelsea Wolfe ha deciso di cambiare, porre un freno a determinate cose – in primis, l’abbandono dell’alcol e la conseguente sobrietà conquistata nel 2021 – e accelerarne delle altre, (r)innovandosi e, allo stesso tempo, non ponendosi limiti nel guardare indietro, riacciuffare elementi fondamentali e traslarli temporalmente in un presente decisamente diverso.

Lavora di fino la regina del goth contemporaneo, agisce in quella flebile linea che spartisce silenziosamente l’incertezza dell’anima ed il lucido pragmatismo che sta “al di fuori”. Danza nell’oblio a piedi nudi, un rituale di transizione di vita, di musica, di visuali che mutano accorgendosi del tempo che fluisce. Apre un portale proprio lì dove il terreno pare instabile, fosco, labile, si spoglia del suo abito da intoccabile e sfida il concreto di relazioni tossiche e incubi notturni nell’avvolgenza di una penombra che, dal nero plumbeo, inizia ad acquisire i lineamenti di un blu profondo, viscoso, che sa di rigenerazione e pulizia mentale.

Accantonate le urgenze acustiche di “Birth Of Violence”, la Wolfe prova a sintetizzare una nuova matrice di partenza che genera le sue fondamenta dalle fondamenta stesse della sua discografia: un’eterogeneità contenutistica, sonora e cronologica che si aggrega tra i fervidi bastioni drone che soffocano il respiro di “Whispers In The Echo Chamber”, ambient oscuro che erge un ponte, di fatto, con quel capolavoro di “Abyss”, non solo per i tremori elettronici, ma anche per i distorti schiaffoni chitarristici in outro – deve esserle piaciuta parecchio la collab con i Converge.

Chelsea Wolfe Photo credit Ebru Yildiz 1
Photo Credits: Ebru Yildiz

Atmosfere che ardono, atmosfere che svaniscono nel nulla: “House Of Self-Undoing” alimenta la sua carica elettrica, rievocando i concitati tempi di “Demons”, mentre “Everything Turns Blue” annega tutto nella ferrosa elettronica in cui radicava “Pain Is Beauty”. Le notevoli influenze trip-hop di “Tunnel Lights”, singhiozzanti in apertura – c’abbiamo sentito il beat strozzato di “Biscuit” dei Portishead – e impiastrate con ciminiere industrial e inevitabili necessità ambient-pop/folk (“The Liminal”, “Salt”).

Vibrazioni derivanti dall’ancestralità di ritmi tribali popolano il primo strato delle trame elettroniche di “Eyes Like Nightshade” e “Unseen World”, fino a che la forma canzone inizia ad affiorare più chiara e delineata al crepuscolo del disco, con i rintocchi pianistici mescolati all’electro-pop di jamesblakeiana memoria di “Place In The Sun” che ci permettono di raggiungere l’orlo del precipizio: “Dusk” compendia in pochi minuti tutto quello che la californiana ci ha donato in questi (quasi) quindici anni di musica. Un pezzo catartico, apocalittico, struggente, genuinamente umano. Litanie gotiche, sviolinate di chitarra in metamorfosi da uno stato di insidiosa incertezza ad un decadente erotismo. La voce, sempre meravigliosa, della songwriter di Sacramento che ci accompagna ad osservare il vuoto creatosi dalla distruzione di un orizzonte che si sbriciola e di un mondo che brucia davanti ai nostri occhi. Ma noi siamo salvi, coi piedi saldi a terra, a centimetri dall’abisso.

Chelsea Wolfe ha partorito un altro capolavoro che non cela in alcun modo la sua lenta e attenta gestazione, frutto del saper aspettare il momento giusto per unire i pezzi: quel che ne viene fuori è un disco maturissimo, perfettamente variegato e orchestrato, passionale in alcuni punti, misterioso in altri, pungente in altri ancora. Giro di boa, spartiacque… chiamatelo come vi pare: per noi, di sicuro, è uno degli apici della discografia della regina delle tenebre.

Tracklist

01. Whispers In The Echo Chamber
02. House Of Self-Undoing
03. Everything Turns Blue
04. Tunnel Lights
05. The Liminal
06. Eyes Like Nightshade
07. Salt
08. Unseen World
09. Place In The Sun
10. Dusk

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