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Code Orange – The Above

“Underneath” sradicava brutalmente i cardini di un metalcore coi piedi cementati in un’abitudinaria pozza di canoni, di regolette non scritte, di breakdown tanto potenti da sembrare tutti esattamente identici. Poco importa se in parte derivativo, d’altronde chi non lo è, almeno per un minimo, dall’inizio del nuovo millennio? Quando il contenuto gorgoglia di tale violenza meccanica, di tale maestosità orrorifica, di tale carica destabilizzante e, perchè no, di tale escapismo melodico, non si può che inneggiare all’eccellenza, e attorno a questa continua a girare l'(ormai) penultimo album dei Code Orange, il cui percorso discografico altro non è che il compimento totale di un’evoluzione estenuante, fatta di cesellamenti – Jami Morgan molto più frontman che drummer, Reba Meyers sempre più pivot della band – e di ricerca del suono. Forse è per questo che ci accingiamo a parlare del neonato “The Above” con un cruccio che ci smorza il sorriso e con la non poca rassegnazione di chi sta sfogliando le pagine del libro “cronache di una delusione preannunciata”.

Già dalla pubblicazione di “Out For Blood” che, ringraziando chi di dovere, non ha trovato alloggio nella tracklist dell’album, c’era balenato il presentimento che gli ex kids di Pittsburgh stessero iniziando a deragliare verso scenari che ci auguravamo potessero non visitare mai. Fortunatamente ci siamo salvati, eppure c’è qualcosa che ci logora dentro durante l’ascolto, una sensazione di spaesamento che nasce da un palese smarrimento di intenti e obiettivi.

Ma procediamo con calma: “The Above” è tutto tranne che un brutto disco, anche perchè i mezzi mostratici negli anni dai Code Orange sono ottimi e sotto l’occhio di tutti. I cinque sanno scrivere, sanno comporre, sanno devastare un palco e sanno disegnare incubi che sbraitano dagli amplificatori, ragion per cui non ci spieghiamo l’assemblamento di una scaletta scollata come quella dell’LP sotto analisi.

“Grooming My Replacement” e “The Game”, primissimi estratti, paiono l’ultimissimo colpo di coda di “Underneath” per potenza viscerale e chirurgia metallica, quest’ultime in parte sopravvissute, ma ridotte all’osso e semplificate – qualche sprazzo negli irascibili cambi umorali di “Theatre Of Cruelty” o nei nervosi anfratti industrial di “A Drone Opting Out Of The Hive” – in favore di un sound molto più essenziale e decisamente indirizzato verso un radio-oriented che pare riportarci alla fine degli anni ’90.

code orange Tim Saccenti
Photo Credits: Tim Saccenti

Echi mansoniani e goccette di Nine Inch Nails (“Never Far Apart”, “Splinter The Soul”), languori nu metal che brontolano dagli acquosi arpeggi à la Korn e dai power chords di “The Mask Of Sanity”, iniezioni testosteroniche ricolme di post-grunge nella linearità compositiva di “I Fly” e di “Circle Through”, che ammantano la stratificazione del predecessore e la ripongono in cantina.

È “Take Shape” che dovrebbe impugnare lo scettro di punta di diamante del lotto, eppure si limita a scintillare nel refrain per perdere poi forza in strofe spoglie (e bruttine) sia in ambito strumentale che lirico; poi, parliamoci chiaro, il featuring con Billy Corgan non può riassumersi in due frasette buttate lì senza contesto.

“Mirror” spodesta il singolo precedente assumendosi non pochi rischi, risultando sì l’episodio più significativo e interessante del platter – vibrazioni trip hop che amoreggiano con le cupe sfumature vocali di Reba Meyers – ma anche l’ulteriore elemento di prova per l’affranta tesi redatta alla fine dei tanti ascolti: “The Above”, a differenza di tutti gli altri tasselli discografici dei Nostri, è un disco che, semplicemente, non sa dove andare a parare. Vorrebbe proiettarsi audacemente al futuro, ma pesca qui e là da un passato recente e dagli ultimi trent’anni di metal alternativo, mischia il tutto e ne fa dei cumuli, interponendo tra questi esperimenti – ben vengano eh, ma con il criterio che rendeva “Bleeding In The Blur” e “Sulfur Surrounding” dei fari nell’oscurità dei rispettivi album – che sfregano malamente con uno sviluppo già di per sé fortemente discontinuo.

Abbiamo adorato i glitch, i cambi forzati, i sussurri malefici, la volontà di ricreare in musica sensazioni inequivocabili, che qui si tramutano in emozioni bruscamente transitorie, fuoriuscite da una bussola che sembra avere l’ago totalmente impazzito. Steve Albini, inoltre, doveva essere l’elemento in più, il tassello per il salto di qualità, invece pare proprio aver scansato i punti di riferimento di una band che fino a tre anni fa ci sembrava molto più focalizzata su un’idea di musica ben più precisa di questa.

Tracklist

01. Never Far Apart
02. Theatre Of Cruelty
03. Take Shape (feat. Billy Corgan)
04. The Mask Of Sanity Slips
05. Mirror
06. A Drone Opting Out Of The Hive
07. I Fly
08. Splinter The Soul
09. The Game
10. Grooming My Replacement
11. Snapshot
12. Circle Through
13. But A Dream…
14. The Above

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