Dopo una pausa di 4 anni, durante la quale pensava di aver chiuso definitivamente il progetto Johann Sebastian Punk, Massimiliano Raffa è tornato con “Rinascimento”, un EP con il quale si distacca da quanto fatto in precedenza. Il musicista ci ha raccontato la genesi del lavoro, riflettendo anche sullo stato della musica live in Italia e molto altro.

Ciao Massimiliano! Benvenuto su SpazioRock, come stai?

Ciao! Io sto bene grazie, te?

Tutto bene, grazie! “Rinascimento” è il tuo nuovo EP, uscito dopo diversi anni dall’ultimo lavoro con questo nome, dopo che avevi messo in pausa il progetto. Cosa ti ha spinto a tornare, cambiando anche diverse cose?

Tempo fa è uscito un libro sulla musica indipendente italiana, in cui si parlava anche di me. Una cosa che mi è piaciuta molto è che si diceva che sono uno che prova a non essere mai uguale agli altri e soprattutto a se stesso. Questa diversità con me stesso l’ho sperimentata all’interno degli album, ma questa volta ho voluto sperimentare una diversità orizzontale, ovvero rispetto a tutta la mia carriera come Johann Sebastian Punk. Avevo pensato di interrompere questa carriera nel 2018, poi mi si è presentata un’opportunità di fare un altro disco e quindi l’ho fatto, ma decidendo di fare qualcosa di totalmente diverso. Una cosa che mi è sempre stata contestata è che i miei prodotti non fossero abbastanza pop e che non funzionassero per questo, quindi ho deciso di fare un disco pop per sorprendere e per dimostrare che non funziona lo stesso.

Parlando proprio del disco, immagino che il titolo “Rinascimento” non faccia riferimento al periodo storico, quanto più al rinascere da una certa situazione sociale che stiamo vivendo in questi ultimi anni. Puoi raccontare meglio questo concetto?

Sì, l’idea era proprio questa, però è un titolo ironico perché negli ultimi anni la parola “rinascimento” è stata usata molto. C’è una sensazione che si stiano vivendo dei tempi regressivi dal punto di vista culturale e politico, quindi questa parola è stata usata diverse volte anche in contesti politici per riaffermare una centralità culturale e dell’uomo. A me questo genere di rievocazione è sempre sembrata ironica, perché il Rinascimento artistico nel suo rifarsi ai modelli classici aveva come scopo quello di liberare quei modelli dai fardelli mistificanti della storia. Paradossalmente invece oggi viene usato come termine in una maniera revisionistica. Quindi il mio usarlo in senso ironico sta qui, ovvero oggi cosa vuoi veramente innovare? Dove vuoi migliorare? I processi culturali oggi sono dominati da forze maggiori e non possono certo essere cambiati dalla politica.

Parlando invece delle canzoni e in particolare dei testi, mi ha colpito quello di “24 Ore”, che esprime concetti riguardanti il non dover per forza essere sempre al meglio di noi stessi e avere la possibilità di rallentare. Come è nata questa canzone?

È una canzone che ho scritto in pochissimo, era già là. È difficile capire cosa abbia innescato un processo creativo così immediato, ma credo che alla base di questa canzone ci sia un vissuto personale, ma anche una proiezione su altre persone che possano aver vissuto cose simili, infatti ad un certo punto il testo passa dalla prima alla terza persona. Io sono sempre stato uno che ha fatta casini, che sta sulle palle a tutti e che si è sempre comportato male, ma non perché sono stronzo, il motivo è che sono stato schiacciato da una realtà che mi chiedeva di essere come io non sono. Questo poi ti porta a fare gesti estremi. In realtà non sono neanche gesti estremi, ma esternamente vengono visti in questo modo perché vanno contro corrente o contro un certo codice di comportamento. Non sono il solo ad aver vissuto queste cose, mi è capitato di vedere persone a cui è capitato. Ho fatto delle esperienze di insegnamento e ho visto persone più giovani di me soffrire per questi motivi, con colleghi magari che parlavano di “ragazza problematica” o cose simili. La verità è che aveva ragione lei e che erano i miei colleghi a romperle i coglioni inutilmente.

Invece parlando della musica, trovo interessante il fatto che si sente che è un disco italiano, che prende ispirazione dalla nostra tradizione, ma nonostante questo ha anche influenze anche da musica europea dei decenni passati. Come sei arrivato a questo risultato?

Ho cercato di fare una sintesi tra quello che ho fatto in passato con questo progetto, ovvero il rifarmi anche in modo parodistico al rock del passato, cercando di incanalare questa cosa nella tradizione italiana. Poi c’è anche la mano del produttore, ovviamente. Difficilmente faccio cose che si rifanno direttamente al pop italiano, credo che gli italiani abbiano dato il meglio non tanto nel rock, quanto più nella canzone d’autore. Quindi volevo fare una sintesi tra la pazzia delle cose che ho fatto prima e l’ordine della canzone italiana.

Foto: Francesco Algeri

Hai lavorato con diverse persone a questo album. Prima di tutto con Matteo Cantaluppi, che ha prodotto il disco. Come avete lavorato insieme?

Molto bene, è stata l’esperienza più bella che ho avuto da quando suono da quel punto di vista. Si è creato un bellissimo rapporto e abbiamo lavorato proprio insieme ai brani, abbiamo sviluppato insieme le idee e per la prima volta mi sono ritrovato in uno studio pieno di strumentazione che non conoscevo, quindi è anche stata un’opportunità da quel punto di vista. Negli altri lavoro ho sperimentato con le formule, qui c’è stato proprio una scoperta di un processo produttivo diverso. I pezzi sono riusciti anche per questo, per la bella sinergia che si è creata tra me e il produttore.

Tu sei un polistrumentista, ma comunque ci sono anche diversi musicisti che suonano nell’album, come Enrico Gabrielli, Daniel Plentz, Roberto Dragonetti e Carmelo Patti. Come li hai scelti? Avevi mai lavorato con loro?

Non avevo mai lavorato con loro. Curiosamente ho fatto i cori in un disco dei Mariposa, che è la band in cui suonava prima Gabrielli, quindi esisteva già qualcosa in cui ci siamo entrambi, ma comunque non avevamo mai lavorato davvero insieme. Gli altri non li conoscevo, li ha contattati il produttore e sono musicisti veri. Io sì, sono un polistrumentista, ma più che altro mi trovo davanti uno strumento e improvviso, di certo non mi definirei un musicista vero come loro. Anche questa è stata una grande differenza tra il vecchio e il nuovo corso, prima era tutto sconnesso, un po’ suonato male, molto “punk”, diciamo, nonostante l’aspirazione di fare cose più complesse ci fosse. Qui invece è tutto perfetto perché ci sono musicisti bravi e affermati. L’unico sfigato dentro sto disco sono io [ride, ndr].

Hai piani per qualche data? Credi che riuscirai a portare questo EP sul palco?

Sicuramente suoneremo a Milano a gennaio e poi stiamo cercando di capire se ci sarà modo di presentare il disco da altre parti. Non vorrei fare mille concerti, perché li ho già fatti e sono stufo, perché in Italia a questi livelli bassi non si può fare molti concerti. Significa sottoporsi a umiliazioni che a 20 anni mi andavano bene, ma adesso non più. È una cosa che fai rimettendoci denaro, a me neanche interessa del denaro in sé perché altrimenti canterei altre cose, ma devo comunque pagare i musicisti, la benzina e non ci rientri. In Italia non esiste più la cultura del locale da 150-200 persone, che sarebbe la mia dimensione, ormai esistono sono i grandi eventi. Quindi ti tocca pure suonare davanti a tre stronzi, che ovviamente non sono stronzi, sono dei miti perché sono gli unici che vengono a vederti, ma in ogni caso dal palco la sensazione non è il massimo. Poi una cosa simile è successa raramente, ma è un rischio che ora vai a correre, anche perché se non domini il mercato le regole non le fai di certo te. Tra l’altro ho una band con musicisti bravi, che salgono sul palco dopo aver provato tantissime volte per fare un concerto con una certa dimensione scenica e teatrale, io non posso permettere che si ritrovino ad essere trattati a pesci in faccia, in localini in cui ti fanno cenare con un toast. Non ho più l’età, per anni ho dormito per terra e ho fatto ste cose, ma, anche se magari io lo farei ancora, non posso certo costringere dei musicisti affermati a fare certe esperienze.

Cos’altro possiamo aspettarci dal futuro? Credi che dopo questo EP arriveranno altre pubblicazioni?

Progetti ne ho sempre, non so quali andranno in porto. Il futuro mi fa paura, non esiste, ce l’hanno rubato. Prima dobbiamo capire chi l’ha preso e poi possiamo provare a capire cosa farne.

Grazie mille per il tuo tempo! Come ultima cosa, vorresti lasciare un saluto ai lettori?

Ciao a tutti, ascoltate il disco e se vi piace consigliatelo ai vostri nemici.

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