Mentre il van compie il tragitto che porta al Teatro Romano di Ostia Antica, chissà quali pensieri attraversano la mente di Kim Gordon, se al leggendario live di celebrazione per il trentennale di “Daydream Nation” del 2007 o al mitico concerto del 2001 per la presentazione di “NYC Ghosts & Flowers”, entrambi ospitati nell’anfiteatro romano a ridosso del mare. Già perché la storia si ripete, sempre. Stavolta la leggendaria fondatrice dei Sonic Youth torna sul luogo del delitto per presentare il suo album solista “No Home Record” uscito per Matador ormai quattro anni fa e prodotto da Justin Raisen (David Bowie, Julian Casablancas, Yves Tumor e molti altri) nella prima di ben tre date nel Bel Paese. Probabilmente il pensiero andrà ai Sonic Youth e alla loro straordinaria discografia destinata, dopo lo scioglimento, a essere confinata su vinili, cd e cassette, lasciandoci tutti orfani di una delle band più definitive del panorama rock. Mentre Thurston Moore e Lee Ranaldo hanno già dato prova al pubblico romano della loro inesauribile vena sonica in diversi appuntamenti live, ora è il turno di della ragazza di Rochester, forte della collaborazione con Bill Nace per il progetto Body/Head e del già citato primo disco solista.

L’incipit è affidato ad una misteriosa contrabbassista mascherata che propone uno breve set di venti minuti fatto di loop machine, suoni percussivi, pizzicati e modi anticonvenzionali di suonare lo strumento. La cornice del teatro illuminato dalla luce del tramonto, rende lo show un vero spettacolo per occhi e orecchie. Poco dopo le 21.00 fa il suo ingresso Kim Gordon accompagnata da una band tutta al femminile. Avevamo già sentito suonare l’eterna ragazza dei Sonic Youth lo scorso anno il primo giorno di Primavera Sound, in quello che è sembrato essere uno dei migliori concerti dell’intero festival, grazie alla complicità di una band di giovanissime e preparatissime musiciste.

La tenebrosa “Sketch Artist”, brano d’apertura anche di “No Home Record”, setta il tono per un live decisamente sperimentale, dove l’elettronica che lo caratterizza è pesante e oscura, trasportandoci in territori allucinogeni dall’aura industrial. Il drumming, dalle tonalità decisamente variegate, contribuisce a rendere ipnotica l’atmosfera. Il tutto mentre sullo schermo passano le immagini di un’automobile che viaggia senza sosta e non arriva mai, in linea con il concept del “disco senza casa”. La distanza tra il pubblico (purtroppo non numeroso) seduto sugli spalti e il palco su cui si sta esibendo il gruppo intimorisce, tanto che il pezzo d’apertura non gode di quella carica che ci si aspettava. A fine canzone Gordon invita i fan ad avvicinarsi e il parterre incomincia a riempirsi, mentre qualcuno sceglie la visuale degli spalti.

In mezzo a tutta questa oscurità, si celano anche brevi e inaspettate aperture sognanti, incredibilmente dolci, quasi come se si cercasse un minimo di conforto in mezzo a tonalità dolorose. La successiva “Air BnB”, invece, calpesta terreni noise-rock rabbiosi e punk, e soprattutto nel ritornello l’intensità cresce a dismisura. Tuttavia i suoni nei primi pezzi risultavano mal calibrati, con una relativa mancanza della voce rispetto alla chitarra e alla batteria, predominanti rispetto agli altri strumenti. Si passa a “Paprika Pony” tra synth e un drumming saltellante, ma senza alcuna aggressione sonora, qui Kim Gordon si concentra sul suo leggio risultando vagamente sconnessa con il pubblico. “Don’t Play It”, invece, inizia con un ritmo ipnotico, disegnato da ottime linee di basso e un drumming incalzante, per poi riprendere il suo corso e spostarsi verso territori noise, accompagnato da grande potenza chitarristica della geniale Sarah Register. “Cookie Butter” risulta decisamente più rumorosa rispetto alla versione su disco, con ritmi vorticosi, suoni di sirene e un’energia che sembra scaturire dal profondo. Poi imbraccia la chitarra e inizia a creare arpeggi dissonanti riportandoci all’era dei Sonic Youth, con quelle note che sembrano quasi in rima, a volte sembrano fuori posto ma che alla fine trovano la loro musicalità.

L’aspetto che ha sempre caratterizzato la sua carriera è la ritrosia ai suoni convenzionali e agli stili predefiniti. Le canzoni si scoprono mentre si srotolano, ognuna esplorando possibilità e rispettivi limiti. La sua padronanza è sorprendente, ma la curiosità artistica di Gordon rimane la chiave dietro la sua ricerca del suono e degli stili. Si prende il suo tempo per sviluppare lunghe code e strumentali, si lascia trasportare fino a “Earthquake” a chiudere il mainset in un’atmosfera particolare, ma con alcune sensazioni melodiche molto apprezzate. Dopo un paio di minuti, Kim e la sua band ritornano sul palco ed è “Hungry Baby” ad aprire l’encore con le sue grida, i suoi ritmi incalzanti e un’incredibile dose di adrenalina che entusiasma il pubblico romano. Dopo una cover di “Blonde Red Head” dei DNA di Arto Lindsay, il concerto si conclude con il singolo “Grass Jeans”, uscito alla fine del 2021, per un’ultima scossa punk al vetriolo, prima di lasciare spazio a alcuni minuti di solo noise strumentale in cui lascia persino suonare la sua chitarra ai presenti in prima fila.

Poco più di un’ora vissuta con intensità da parte del pubblico, mentre la protagonista della serata non era in forma smagliante. Tra parole mal pronunciate per non farsi capire, qualche pezzo cantato con strascico e un po’ di timore all’inizio hanno reso sicuramente quella romana una data non eccellente per l’artista, che ha saputo riprendersi sul finale, dimostrando ancora una volta, se ce ne fosse ancora bisogno, la sua esperienza e la sua immensa qualità, ma soprattutto la solidità della band e quella dei pezzi in repertorio. Nonostante tutto, questa giovane settantenne è ancora capace di fare musica come nessun’altro e di farci commuovere solamente trovandoci al suo cospetto.

Setlist

Sketch Artist
Air BnB
Paprika Pony
Murdered Out
Don’t Play It
Cookie Butter
Get Yr Life Back
Earthquake
Hungry Baby
Blonde Red Head (DNA cover)
Grass Jeans

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