“La promessa dell’individualismo era che saremmo stati liberi. Era che sarebbe stato tutto nel tuo cervello. Ma se laggiù non ci fosse stato nulla?”
Abbiamo avuto la fortuna di vederli tante volte nel corso della loro carriera e sappiamo tutti che un concerto dei Massive Attack è un’esperienza che trascende il semplice concetto di musica. Ma questa volta, forse, anche conoscendo bene Robert Del Naja, Grant Marshall e i loro collaboratori era difficile aspettarsi uno show dal tale impatto sensoriale e tematico, forse addirittura preponderante rispetto a quello musicale – e no, non lo diciamo con tanta leggerezza.
Il Todays Festival si chiude ospitando una band di culto, che nonostante le decine di apparizioni nel nostro Paese – di cui l’ultima nemmeno due mesi fa – continua ad essere considerata tale, una creatura con le radici musicali piantate nella conturbante nebbia della Bristol degli anni ‘90, che nel 2024 continua ad essere veicolo di una sinergica attualità sonora e sociopolitica.
Non ci sono band di apertura e il collettivo si fa attendere, mentre nelle casse rimbomba un’accurata playlist reggae, ma alle 21:30 la musica si ferma, le luci si spengono e lo schermo che sovrasta il palco si accende per la prima volta, mostrando l’esperimento di Neuralink su un macaco, continuando poi a bombardarci con tutte le contraddizioni che caratterizzano il mondo in cui abbiamo vissuto e viviamo ancora oggi, contraddizioni riscontrabili anche chiaramente in noi stessi. Durante l’inquietante “Risingson”, scorrono dubbi, incertezze, domande esistenziali, ma non tardano ad arrivare i riferimenti visivi alle guerre in Ucraina e in Palestina – quelli non visivi invece ci sono già da subito, con Del Naja che si presenta sul palco con fascia al braccio su cui campeggia la scritta “Palestine” e Marshall con una kefiah al collo.
In certi momenti diventa quasi difficile concentrarsi sulla musica, data la quantità di informazioni, messaggi e sensazioni che ci piombano addosso dal ledwall, ma non passa certo inosservata la qualità della performance della band, che, concentrandosi ovviamente su “Mezzanine”, dà comunque spazio a buona parte della propria carriera. I Massive Attack si permettono anche di portarsi in tour, oltre agli ormai fidati Young Fathers, le due voci iconiche che li hanno accompagnati durante gli anni, Horace Andy e Elizabeth Fraser, a cui vengono ovviamente riservati veri e propri boati.
Lo show fila senza interruzioni mostrando città distrutte e saloni di bellezza, persone uccise nel proprio Paese e persone che ballano, fabbriche di bombe e feste, contrapposizioni che vengono poi rispecchiate nella nostra individualità, con tutti i suoi dubbi e le sue incertezze, mettendo in contrasto l’io con il noi. L’unico momento in cui Del Naja dice qualche parola oltre ai ringraziamenti è prima di eseguire “Safe From Harm” – cantata, insieme a “Unfinished Sympathy”, dalla bravissima Deborah Miller – e ovviamente non possono che essere parole di sostegno al popolo palestinese. Ed è proprio su questo brano dal titolo così azzeccato, che veniamo investiti da una serie di fatti e numeri che vengono fatti scorrere sullo schermo, descrivendo i crimini di cui Israele (con il supporto dell’Occidente) si macchia nei confronti della Palestina, non solo nell’ultimo anno, ma da decenni. Una sezione che riassume tematicamente tutto lo show e in cui Del Naja abbandona la semplice veste di musicista, esponendo la funerea consapevolezza di trovarsi ancora una volta dalla parte sbagliata della storia, a cui viene contrapposta la rabbia e l’impulso di dover fare qualcosa a riguardo, nel modo che ovviamente gli riesce meglio: veicolare questi messaggi attraverso la propria arte.
Ci sono solo due momenti durante i quali il nostro cervello smette di essere asfissiato dal filone tematico, due momenti che rappresentano al meglio quello che i Massive Attack hanno saputo donarci dal punto di vista musicale e che corrispondono ai capolavori “Angel” – con lo sciamano giamaicano sempre in forma nonostante le 73 primavere – e “Teardrop”, sulla quale possiamo per un attimo librarci in volo insieme alla cristallina voce di Elizabeth Fraser. Due brani epocali, che ancora oggi conservano intatte tutte le sfumature e le magnifiche contraddizioni di “Mezzanine” e del trip hop tutto.
Con il loro status i Massive Attack potrebbero limitarsi a suonare pezzi epocali che hanno contribuito a definire un genere praticamente inventato da loro e avrebbero comunque schiere di persone adoranti ogni sera sotto al palco. Quello che invece decidono di fare è andare sul palco e sconvolgere il pubblico mostrando, con una chiarezza brutale ed estrema, il mondo in cui viviamo e quello che noi stessi siamo. Il risultato è che chiunque abbia assistito a questa funzione associabile al mistico è rimasto scosso nel profondo, perfino turbato in un certo senso. Ed è giusto così. Il compito dell’arte non è forse quello di scuoterci?
Setlist
In My Mind (Gigi D’Agostino cover)
Risingson
Girl I Love You
Black Milk
Take It There
Gone
Minipoppa
Voodoo in My Blood
Song to the Siren (Tim Buckley cover)
Inertia Creeps
ROckwrok (Ultravox cover)
Angel
Safe From Harm
Unfinished Sympathy
Karmacoma
Teardrop
Levels (Avicii cover)
Group Four
In My Mind (Gigi D’Agostino cover)