Sotto un cielo carico d’acqua si è svolta la trentatreesima edizione del Primo Maggio di Roma, appuntamento che riunisce alcuni dei nomi più in voga nel mainstream italiano ed estero, nonché molti emergenti, e vetrina per i prossimi eventi musicali italiani, uno su tutti Sanremo, ma anche eco delle passate edizioni del Festival ligure. Una festa dei giovani e per i giovani, organizzata dai principali sindacati italiani, CGIL, CISL e UIL che da oltre tre decenni si impegnano per l’evento più importante di musica live gratis in Europa. Come già anticipato dalla conferenza stampa, il tema di quest’anno poggia sui 75 anni dell’entrata in vigore della costituzione italiana, sotto l’hashtag lanciato proprio dal Concertone #ildirittochemimanca, un invito a condividere il cambiamento che vorremmo vedere nella nostra società, o il diritto che troppo spesso ci viene negato.
In quella che si temeva potesse essere un’edizione di polemiche politiche, poca attenzione è stata dedicata al tema del lavoro, tantissima invece a quella dei diritti civili, senza grossi sconvolgimenti. È stato più che altro un ritorno alla festa in musica e alla rivendicazione dei diritti sociali. Trecentomila le presenze in piazza, che non si sono fatte scoraggiare dalla pioggia che non ha mai dato tregua durante tutto il giorno. Conduce, per la sesta edizione consecutiva, la padrona di casa Ambra Angiolini affiancata dal presentatore e conduttore radiofonico Fabrizio Biggio. La sorpresa dell’ultimo minuto è arrivata con l’annuncio di Ligabue, aggiunto al cartellone del Primo Maggio a pochi giorni dalla messa in onda. Ospitata necessaria considerando non solo la bassa quota di rappresentanza rock, ma anche la scarsa presenza di artisti da prime time, quelli che il pubblico vero lo portano sia in piazza che a casa.
A scaldare i presenti con un pre-concerto ci pensano Iside, Savana Funk, Leo Gassman e soprattutto Wepro, che ai nostri microfoni ha raccontato che aprirà la data tarantina di Tom Morello. Spazio ai giovani con il concorso 1MNext, vinto da Maninni. Dalle 15.00 inizia lo show vero e proprio, accompagnato dallo slogan “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”. Riportare al centro i diritti è stato l’obiettivo di questa edizione: ogni artista è stato introdotto da un diritto scelto appositamente in rappresentanza dei temi a loro cari. Poco lavoro al centro, ce lo aspettavamo, visto che molti dei rapper (quota più numerosa di questa edizione) ed artisti emergenti non siano propriamente dei militanti su questo tema.
L’emozione già in apertura quando Ambra Angiolini ha ricordato Lorenzo Parelli, il 18enne morto nel gennaio 2022, nell’ultimo giorno del suo periodo di alternanza scuola-lavoro. Sul palco i genitori del ragazzo a ricordare che, ancor prima di rispettare le regole sul lavoro, va messa al centro la persona e il suo benessere in ogni ambito. Ancora emozionata, ha proseguito ricordando i gli studenti che non si sentono adeguati ad un sistema universitario schiacciante tanto quanto il lavoro dipendente. Non siamo noi a doverci sentire limitati, ma porre un freno alla smania di sfruttamento, a chi chiede sempre di più, nello studio e nel lavoro.
Spazio alla musica ora con le alcune delle esibizioni migliori, tra cui l’energia dei Baustelle – ingiustamente relegati alla fascia pre telegiornale – Lazza che porta l’energia di uno stadio dentro piazza San Giovanni, il ragazzaccio per eccellenza, Piero Pelù, che ha presentato per la prima volta il nuovo singolo con Alborosie, “Musica Libera” e ha dedicato l’esibizione al Presidente della Repubblica Mattarella. Le sorprese arrivano soprattutto tra le nuove leve: Rose Villain, carisma e bravura, Gaia, nuova promessa della musica pop, e un irresistibile Fulminacci, forse il primo artista in scaletta per cui è valsa la pena farsi il concerto sotto la pioggia. Bene anche Tananai – che con un savoir-faire da multiplatino e le canzoni azzeccatissime riuscirebbe a far cantare anche gli afoni – e un’appassionata Levante che chiede il sussidio di discontinuità per i lavoratori dello spettacolo.
Esibizione acclamatissima quella di Luciano Ligabue, tornato sul palco del Primo Maggio dopo ben 17 anni per schierarsi contro i decisori politici: “La smania del potere è la droga più antica del mondo” ha detto dal palco, dedicando “Il Sale della Terra” e “Urlando Contro il Cielo” a tutti i lavoratori. Prima di lui era stato il momento della cantante norvegese Aurora, l’unica straniera quest’anno, che con i suoi 2,5 miliardi di streaming e il suo milione di copie vendute si presenta come comandante dell’alt-pop europeo. Buona l’esibizione ma leggermente fuori posto visto il contesto. Costumi da leoni per i Coma Cose a simboleggiare le maschere di forza che ci cuciamo addosso ma che, appunto, sono solo apparenza mentre dentro di noi vivono fragilità e insicurezze. Esibizioni sempre più rodate ormai per il duo bergamasco che si sta trasformando sempre di più in “animali” da palcoscenico, presentando anche il nuovo singolo estivo “Agosto Morsica”. L’unico simbolo di vera lotta politica tra gli artisti Johnson Righeira, icona della disco anni’80, che sfoggia una bandiera con su scritto «Tutta la mia vita unionista antifascista». Simbolo che nel 2020 fu al centro di un caso in Belgio quando fu tolta dalle barriere dello stadio dell’Union Saint-Gilloise perché considerata «provocatoria».
Il resto è stato semplicemente il Primo Maggio: una vetrina di passaggio per molti artisti che “sfilano” sul palco per far sentire la loro musica a un pubblico live, magari lanciare la loro nuova hit, e poco altro. Dagli artisti manca un impegno sistematico e costante durante tutto l’anno, con eccezione di alcuni nomi come Emma, Pelù e Alfa (che della lotta per la salute mentale ne fa una bandiera). Anche il livello musicale è mancato molto spesso, facendoci rimpiangere i Modena City Ramblers e la classica band di “musica balcanica” (cit.) Il Concertone non dovrebbe essere solo un evento mondano, ma dovrebbe smuovere coscienze e far riflettere, non è il Coachella, nasce per delle esigenze ben precise. Alcune sono diventate negli anni delle vere e proprie emergenze, come le morti sul lavoro, il precariato e la questione ambientale. La festa ci deve essere, ma non dovrebbe essere l’unica protagonista, se non nei momenti di informazione decisi dalla Rai. L’augurio è che qualcosa cambi non solo nelle coscienze di chi al concerto assiste, ma anche in quelle di chi quel palco lo calca con (a volte) troppa leggerezza.
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