È passato poco più di un anno dall’ultima data dei Russian Circles in Italia, in occasione di uno dei primi concerti dopo la nefasta e lunghissima pausa forzata dalla pandemia, ma i fan del trio statunitense hanno potuto gioire nuovamente. Forti della pubblicazione dell’ultimo album “Gnosis”, uscito lo scorso agosto, i Russian Circles sono attualmente in tour e non potevano risparmiarsi un altro giro nel Belpaese, dove continuano ad avere sempre un buon seguito.

CrouchBand

Mentre inizia a cadere qualche timida goccia di pioggia – che fortunatamente rimarrà tale senza trasformarsi in un’altra tempesta – la serata al Circolo Magnolia di Segrate viene inaugurata dai Crouch, trio belga formatosi solo un anno fa. I tre salgono sul palco e, nonostante la carriera brevissima, dimostrano immediatamente di essere coesi sul palco e di suonare senza sbavature e imperfezioni. La band propone uno sludge dalle forti influenze post-metal, con il chitarrista Levy Seynaeve che si destreggia bene anche dietro al microfono con la sua voce sporca e a tratti gutturale. I Crouch presentano tutto il loro unico EP, un paio di pezzi inediti e anche una cover di “No Surrender” dei Kickback e il pubblico apprezza: gli applausi si levano costantemente e i presenti muovo la testa dall’inizio alla fine dell’esibizione. Buona la prima per i Crouch in Italia, quindi. Se dobbiamo trovare qualche piccolo difetto, più che l’esibizione in sé, è la proposta musicale che, seppur interessante, gioverebbe forse di un po’ più di varietà. Ma poco male per una band formatasi da un annetto, attendiamo con curiosità i Crouch al varco con le prossime pubblicazioni.

Il trio statunitense attende la fine del crepuscolo prima di salire sul palco e la scelta è saggia: un concerto dei Russian Circles, per le atmosfere che riesce a generare, non sarebbe lo stesso se non fosse fruito nel buio completo. Le luci si spengono e i tre imbracciano i propri strumenti su una lunga intro, prima di dare il via allo show con l’iconica “Station”. Proprio al termine del climax iniziale, tra lo sconcerto generale, la musica si ferma immediatamente a causa di un problema al pedale di Dave Turncrantz. Il pubblico ne approfitta per acclamare a gran voce il batterista mentre il problema viene prontamente risolto e, in un paio di minuti, si parte davvero, per dare il via ad uno show esplosivo.

RussianCirclesBand

Già un anno fa avevamo visto una band particolarmente in forma, che puntava molto sull’aggressività e poco sui fronzoli, sia per quanto riguarda i suoni che per le scelte in scaletta. Un sentimento presente anche nella pubblicazione di un album prevalentemente molto duro come “Gnosis” e confermato in questa occasione: i tre fanno sul serio e i momenti di pura melodia sono veramente pochi. Turncrantz prende il posto di una valanga che si abbatte senza pietà sulle pelli, la distorsione del basso di Brian Cook diventa a tratti allucinante e Mike Sullivan macina riff devastanti, alternandoli saggiamente, nei pochissimi momenti di pausa, ad arpeggi che comunque nascondono sempre qualcosa di minaccioso al loro interno. La sensazione è che i Russian Circles sappiano giocare perfettamente sui climax e le attese, prima di portare la tempesta sul palco.

Con una discografia così ricca e interamente di alto livello, c’è l’imbarazzo della scelta su quali pezzi proporre e oltre a presentare l’ultimo lavoro, la band suona brani provenienti da tutte le proprie pubblicazioni, mostrando un affresco sonoro notevole, ma privilegiando comunque – come si diceva prima – la propria componente più aggressiva. Così veniamo investiti dalla violentissima intro di “Betrayal” – che sembra quasi avere componente black –, ondeggiamo assuefatti sui ritmi e le aperture sonore di “Afrika” e perdiamo completamente la testa sui riffoni di “Vorel”. Neanche il secondo problema tecnico della serata (questa volta alla pedaliera di Sullivan) può spezzare l’incantesimo, anzi, poco male, visto che abbiamo la possibilità di sentire più di una volta l’intro tritaossa di “Conduit”.

Dopo l’epocale title track dell’ultimo lavoro, terminata da un riff semplicemente devastante e la spettacolare “Deficit” gli statunitensi chiudono gli 80 minuti di show con “Mlàdek”. Vedere i Russian Circles dal vivo permette di coglierne la vera essenza e soprattutto di capire il motivo per cui, dopo tutti questi anni, i tre sono ancora tra le band simbolo del post-metal in tutto il mondo: difficile immaginare come il devastante muro sonoro che si muove implacabile dal palco sia prodotto solo da tre persone. E se ci concedete una chiusura ironica, l’unica “critica” che possiamo fare al trio è solo questa: perché non suonare “Milano” a Milano?

Setlist

Station
Harper Lewis
Conduit
Afrika
Quartered
Betrayal
Gnosis
Deficit
Mlàdek

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