Because at the end of the day, it’s all about the music

Ci sono cose che non hanno prezzo. Il nostro livello di affezionamento è talmente elevato che ci spinge a fare l’inimmaginabile. Come, ad esempio, svegliarsi un sabato mattina tra le colline del Monferrato, raccogliere due amici, viaggiare fino a Jesolo, vedere i Sum 41 per la quinta volta, raccogliere i nostri corpi colmi di lividi e sudore e ripartire verso casa, compiendo quasi il giro intero dell’orologio.

Dopo il recente annuncio di scioglimento, certo è che tanti fan si sono affrettati ad accaparrarsi un biglietto per assistere a uno degli esplosivi concerti del quintetto canadese, che, dopo una data speciale a Milano e la partecipazione al memorabile Slam Dunk Italy, arriva a scuotere anche le coste del Nord-Est in un ventoso sabato sera.

Lodevole – ma non affatto nuova per loro – la scelta di far aprire lo show a un ensemble italiano. Lizi and the Kids sono un power trio punk rock, dalle forti connotazioni ramonesiane, che inevitabilmente ricordano, nel bene e nel male, Joan Jett and the Heartbreakers, date le somiglianze musicali e la presenza di una frontwoman-chitarrista coi contro-attributi. Nonostante la monotonia musicale offerta (una mezz’ora di inediti in inglese che si somigliano un po’ tutti) e le avversità tecniche (microfoni spenti, ma soprattutto le luci del palazzetto che non si spengono mai, facendo sembrare il tutto quasi un soundcheck), il pubblico reagisce positivamente.

Alcuni minuti di attesa e finalmente la playlist scelta dai ragazzi dell’Ontario giunge alla fine, con la ormai consolidata “T.N.T.” firmata AC/DC che scalda a dovere la platea.

The dark armies then will come
When the Sum is 41…

Terminata la loro storica introduzione, Frank Zummo parte immediatamente senza pietà dietro la batteria e “Motivation” scatena subito il pubblico. I Sum 41, che calcano palchi fin da ragazzini e con una cariera che ha già raggiunto il quarto di secolo, sanno fare il loro mestiere e conoscono ormai i propri limiti. Il frontman Deryck Whibley ora si dedica quasi esclusivamente alle parti canore, potendosi affidare sulla solidità imponente dello storico chitarrista Dave Brownsound e del poliedrico Brown Tom, che oltre alla chitarra si dedica in più occasioni alle tastiere. Nonostante queste accortezze, duole ammettere che il cantante era visibilmente affaticato in diversi punti, complici probabilmente il suo alto livello di intrattenimento scenico e l’attività della band dal vivo, al limite del non-stop. Forse la scelta di sciogliersi (tralasciando il complottismo) ancora all’apice non è poi così sbagliata.

Dopo una cavalcata senza sosta sino a “Out for Blood”, una piccola pausa viene concessa con “War”, per poi riprendere subito con una delle chicche del concerto, un regalo ai fedelissimi dal giorno 1: “Summer”.

La sorpresa più grande forse sta in “Sleep Now in the Fire”, cover dei Rage Against the Machine, a detta del frontman una delle loro più grandi influenze. Suonata inaspettatamente con maestria, assolo di Brownsound compreso.

Subito dopo, quella che potremmo considerare la sezione emo, che riassume benissimo quanto accade ai loro concerti: sing, jump, mosh. “Underclass Hero” coglie impreparati molti dei presenti, pronti a pogare sull’ultimo ritornello ma che invece verrà cantato proprio dal pubblico, senza musica. “Walking Disaster” inizia con una danza di torce che illumina l’intera location, interrotta dal canto intonato di Whibley: “Now get away your phones ‘cause it’s time to get fucking crazy” ed ecco che si torna a pogare; alcuni temerari fanno perfino crowdsurfing.

E se “With Me” scioglie i cuori degli innamorati presenti, “Pieces” è l’inno triste e solitario, l’ultima pausa prima della fine, scandita da una distruttiva “No Reason”, dalla loro infallibile cover punkettara di “We Will Rock You” e dal classico “Still Waiting”.

Il bis ci offre ancora l’ultima delle rarità (proposte tra l’altro nello show speciale a Milano, che a sto punto tanto speciale non era), “Machine Gun”, e l’immancabile “Fat Lip” su cui saltano tutti.

Una setlist forse discutibile, scarna degli ultimi due album (solo un singolo ciascuno) e del tutto priva del sottovalutato “Screaming Bloody Murder”, ma che comunque funziona. Un intrattenimento più discorsivo del solito da parte del frontman, che rassicura i fan sul completamento del nuovo disco in arrivo e offre discorsi anche più profondi, nei quali si trovano anche frasi come quella che apre l’articolo.

La performance dei musicisti sempre strepitosa (in particolare le parti soliste di Brownsound e il suono del bassista Cone, che faceva vibrare perfino i capelli) li conferma ancora come una delle realtà più valide e uniche del punk contemporaneo, che sa accontentare però anche i metallari più duri, che sa intrattenere sia i fan più datati, ormai genitori, sia i fan recentissimi. Un’epopea per tre piemontesi che però è valsa fino all’ultimo secondo.

Setlist

Motivation
The Hell Song
Over My Head (Better Off Dead)
We’re All to Blame
Out for Blood
War
Summer
Sleep Now in the Fire
Underclass Hero
Walking Disaster
With Me
In Too Deep
Makes No Difference
Pieces
No Reason
We Will Rock You
Still Waiting
Machine Gun
Fat Lip

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