yes mirror to the sky recensione
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Yes – Mirror to the Sky

Nel mondo della musica, si sa, adagiarsi sugli allori è quasi sempre l’inizio della fine. Quanto ora detto potrebbe sembrare una banale esagerazione, ma quando una band si considera “arrivata”, quando la sua formula comincia a farsi stantia, quando la sua produzione inizia a farsi ridondante, è un chiaro segnale che si è entrati nella parabola discendente del gruppo.

Tuttavia c’è chi, nonostante una carriera lunga oltre 50 anni e più di 20 dischi all’attivo, proprio non ne vuol sapere di ripetersi, cercando sempre di innovarsi e migliorarsi, senza però per questo perdere il proprio stile. Stiamo ovviamente parlando degli Yes che, con “Mirror to the Sky”, pubblicano il loro ventiduesimo album e, come avremo modo di capire sin da subito, continuano sulla strada tracciata dal precedente “The Quest”, ma riescono a distanziarsene quel giusto che basta per poter rivendicare un’originalità del loro ultimo lavoro in studio.

“Cut From The Stars” è il pezzo di apertura del disco che, con la sua tranquillità solo apparente, rappresenta al 100% lo stile della band britannica: una sezione ritmica precisa, quadrata e perfettamente cadenzata composta da basso e batteria, con l’aggiunta di quelle tastiere che aggiungo un tocco di luce sognante. Ci sono tutti gli ingredienti per iniziare un emozionante viaggio nello spazio profondo, illuminati solo dal pallore delle stelle.

Si prosegue con “All Connected” che, con la sua intro calma e melodica, lascia spazio alla chitarra di Steve Howe; anche in questo caso, però, la calma è solo apparente: il brano è tanto melodico quanto strutturato, ma si tratta di tessiture sonore che rivelano la loro pregevole manifattura solo alle orecchie più attente e, soprattutto, a quelle che già conosco gli Yes. Come di consueto, il brano è contrassegnato da diversi cambi di tempo (marchio di fabbrica del combo), ma questi non disorientano l’ascoltatore che, anzi, ne rimarrà affascinato.

Un delicato coro ci introduce a “Luminosity”, brano ancora una volta contrassegnato dalla melodia. Il tema principale, manco a dirlo, sono le stelle e quanto il genere umano sia connesso ad esse; e se è vero che, come gli astri, anche noi emaniamo luce, il brano in questione è capace di trasmettere tutto il fascino di un corpo celeste che brilla lontano lontano. Come in ogni disco progressive che si rispetti, non mancano le sezioni strumentali, in cui i singoli musicisti salgono in cattedra; fortunatamente, queste parti non saranno mai ridondanti, non andando a soverchiare l’orecchio, ma saranno sempre al servizio del brano, avvolgendo delicatamente l’ascoltatore e portandolo per mano fino alle note conclusive.

Con “Living Out Their Dream” gli Yes schiacciano maggiormente il piede sull’acceleratore, sfoderando una ritmica molto più andante e cadenzata. Siamo in presenza di uno dei pezzi più sostenuti del disco, uno di quelli che rivela l’anima rock del gruppo ma che, come d’abitudine, non si dimentica di quelle melodie delicate che da sempre ne contraddistinguono le composizioni.

Da buon anfitrione qual è, Steve Howe fa gli onori di casa e ci introduce in “Mirror To The Sky” che, con i suoi quasi 14 minuti di durata, è il pezzo più lungo dell’album. Ancora una volta, si inizia in maniera pacata ma, dopo un po’, i battiti del metronomo iniziano a salire di numero, e fanno capolino degli intrecci di chitarra, basso e tastiera che, come sempre, stupiscono per fattura e raffinatezza: nulla che non ci si aspetti da uno dei gruppi prog rock per eccellenza. Come tutti i brani di questa durata, anche questo è diviso in più sezioni, tutte capaci di stregare e avvincere chi si trova dall’altra parte dello speaker, grazie a delle atmosfere che solo chi ha contribuito a plasmare il progressive può concepire.

“Circles Of Time” è l’episodio acustico del disco, forse quello più melenso e malinconico, che si concentra sull’inevitabile scorrere del tempo, scandito da molti tristi ed ineluttabili “arrivederci”, a cui nessuno può opporsi. Il brano in questione è la più classica delle ballad, in cui tutto, ma proprio tutto, sembra funzionare alla perfezione, non stonando affatto con quanto ascoltato in precedenza.

L’intermezzo di organo di “Unknown Place”, i cambi ritmici tanto repentini quanto affascinanti di “One Second is Enough” e le strutture cangianti di “Magic Potion” ci accompagnano alla conclusione di “Mirror to the Sky”, facendoci comprendere quanto vaste e sfaccettate siano le emozioni che gli Yes sono ancora capaci di trasmettere al loro pubblico.

Dopo l’ultima nota suonata, l’impressione che ricaviamo da “Mirror to the Sky” è quella di un album in linea di continuità col passato, ma capace di ritagliarsi il suo spazio grazie ad una band in stato di grazia, che non sembra risentire dello scorrere del tempo e che, soprattutto, non si è mai troppo soffermata sulle lodi ricevute nel corso di quasi 50 anni. E forse, a parere di chi vi scrive, la “formula dell’eterna giovinezza” sta proprio qui: nel non sentirsi mai appagati.

Tracklist

01. Cut from the Stars
02. All Connected
03. Luminosity
04. Living Out Their Dream
05. Mirror to the Sky
06. Circles of Time
07. Unknown Place
08. One Second Is Enough
09. Magic Potion

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