cover Algiers Shook
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Algiers – Shook

È caratteristica innata nella natura umana il catalogare, l’associare le cose, montare vincoli tra estremità anche oggettivamente distanti tra loro. Così come nella vita e nel pensiero quotidiano, anche – forse ancora di più – nella musica: non è un caso che la soggettività di questo gesto automatico e genuino si allarghi a dismisura con le note che prendono il sopravvento, e quando parte “Shook”, il sottoscritto pensa alla notte, alle strade lunghissime, agli occhi concentrati sulle linee bianche, che appaiono per millisecondi per poi venire inghiottite dal rombo del motore, fino a quando qualcosa rompe la monotonia dell’oscurità, e un sussulto ci riporta in vita.

Gli Algiers non amano particolarmente la convenzionalità, lo sappiamo sin dal debut del 2015, non si adagiano sulla via facile per l’invettiva, ma studiano il modo di scuotere argutamente un mondo che marcisce dall’interno: “Shook” è l’incarnazione uno stato d’animo – tre anni massacranti, tra pandemia e onnipresenti problematiche socio-politiche che attanagliano gli USA, ma anche indirettamente il resto del mondo – o, più semplicemente, l’innesco per risvegliarci dal torpore.

Non c’è immediatezza nel pastone crossover architettato dai quattro di Atlanta, bensì oculata volontà nello scassinare furbescamente la comfort zone dell’ascoltatore, come un grimaldello che lavora lentamente nell’ombra. E Franklin James Fisher e soci capiscono di dover far le cose ancora più in grande, con l’aiuto di numerosissimi featuring sparsi in giro per l’album a riempire l’opera più ambiziosa della loro giovane carriera, un mastodontico espositore di generi macchiato da urgenza punk e fumose coltri noir.

I destri in faccia dell’hip hop elettrico di “Irreversible Damage” – con la velenosa partecipazione di Zack De La Rocha – sforano nel post-punk da vicoli notturni di periferia (“73%”, “Everybody Shatter”) e nel fiammante garage di “A Good Man”, a riprova di un sano bisogno di hardcore che solo a tratti viene fatto sfebbrare tramite le sei corde; meglio scovare una più ampia valvola di sfogo negli innesti trip-hop di “Cleanse Your Guilt” e nelle contaminazioni di “I Can’t Stand It!”, tra hip-hop, una forte matrice gospel e eleganti granelli soul, protagonisti anche in “Green Iris”, nella sua raffinata sensualità e nelle morbide divagazioni jazz.

SAULT, Danger Mouse & Black Thought, Mobb Deep, Rage Against The Machine, Run The Jewels, influenze che partono dagli 80s ed arrivano fino ad oggi, un blob devastante, ma così dannatamente definito: gli Algiers confabulano in maniera ardita e articolata, forse per raggiungere più persone possibile, forse per essere assorbiti solo da chi ne ha realmente l’intenzione, tagliando via di netto l’ascolto occasionale. Punti di vista che rimangono secondari di fronte all’imponenza di un lavoro che racchiude in una cartucciera di diciassette proiettili critica, esplorazione musicale ed un’intelligenza artistica fuori dal comune.

Tracklist

01. Everybody Shatter (feat. Big Rube)
02. Irreversible Damage (feat. Zack De La Rocha)
03. 73%
04. Cleanse Your Guilt Here
05. As It Resounds (feat. Big Rube)
06. Bite Back (feat. billy woods, Backxwash)
07. Out Of Style Tragedy (feat. Mark Cisneros)
08. Comment #2
09. A Good Man
10. I Can’t Stand It (feat. Samuel T. Herring, Jae Matthews)
11. All You See Is…
12. Green Iris
13. Born (feat. LaToya Kent)
14. Cold World (feat. Nadah El Shazly)
15. Something Wrong
16. An Echophonic Soul (feat. DeForrest Brown Jr, Patrick Shiroishi)
17. Momentary (feat. Lee Bains)

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