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Steven Wilson – The Harmony Codex

Anche questa volta, ce l’aveva quasi fatta il buon Steven a ingannarci. Oltre 30 anni di musica, una miriade di progetti diversi, partiti da quella che è probabilmente la band più iconica del prog metal made in UK, una carriera camaleontica nella quale ha attraversato un’infinità di diverse lande sonore, in una continua ricerca che portasse alla creazione del proprio perfetto universo musicale. Un viaggio approdato due anni fa verso il massiccio utilizzo di elettronica, verso il pop ottantiano, verso un tipo di musica più diretto e semplice. Ce l’aveva quasi fatta, perché diciamolo chiaramente, dopo aver ascoltato in sequenza “To The Bone” e “The Future Bites” e dopo il ritorno dei Porcupine Tree, su cui sfogare le proprie voglie più heavy e prog, chiunque avrebbe scommesso su un proseguo sempre più lontano dal tipo musica per cui era diventato famoso.

Ma Steven Wilson non è un musicista prevedibile e soprattutto, non è un artista che si accontenta. La sua ricerca sonora persiste da più di tre decenni e ora possiamo finalmente sciogliere i dubbi e dirlo: nel 2023 non è ancora giunta al termine. Anzi – togliamoci immediatamente questo peso di dosso – nel 2023, arrivato al settimo album da solista, Steven Wilson pubblica “The Harmony Codex”, uno dei lavori più affascinanti, curati e colmi di significato che l’artista inglese possa annoverare nella propria sconfinata discografia.

Un album iniziato con l’arrivo della pandemia, addirittura prima della pubblicazione di “The Future Bites”, che nel corso di tre anni Wilson ha scritto, perfezionato e, tra un impegno e l’altro, registrato, coinvolgendo un gran numero di musicisti di eccezione (Adam Holzman, Nick Beggs e Guy Pratt, per dirne alcuni). Date le condizioni iniziali e la gestazione molto lunga, viene da pensare che fosse arrivato il momento di guardarsi indietro e mettere un punto su quanto fatto finora. E quello che più sorprende di “The Harmony Codex” è il modo in cui riesce ad essere fresco e diverso da qualsiasi altra pubblicazione dell’artista inglese, pur avendo al suo interno tutti gli elementi sonori che sono stati studiati e proposti in 30 anni.

Ma il grande merito di Steven è quello di non aver messo la firma su un semplice riassunto della propria carriera: i 10 brani, pur richiamando quanto fatto in passato, riescono a risultare interessanti e pur essendo profondamente diversi, ognuno con le proprie caratteristiche, costituiscono un viaggio in cui nulla è fuori posto, una continua sorpresa, che lascia una facilità di ascolto estrema, anche se stiamo parlando perlopiù di pezzi dalla struttura poco convenzionale, ben lontani nella forma e nelle intenzioni da quelli di “The Future Bites”. Un lavoro, insomma, che ci presenta Steven Wilson in una nuova versione, ma, allo stesso tempo, un lavoro che solo Steven Wilson poteva scrivere, produrre e pubblicare.

La vastità di generi e di suoni utilizzati è quasi straniante a primo impatto: troviamo brani innestati su loop elettronici minimali, pezzi di 10 minuti che partono dal prog e arrivano al jazz, tracce più convenzionali, ma che si lanciano sempre distinguere per un gusto per suoni e arrangiamenti squisito. Quello che rende compatto il lavoro, è un mood di fondo comune, leggermente dark e malinconico: Wilson dà dimostrazione di saper gestire perfettamente elementi estrapolati dai contesti più disparati, riuscendo a inserirli magnificamente nel contesto e facendo in ogni caso le scelte che giovano maggiormente all’ascolto.

Che la musica è cambiata dal passato più recente, si nota subito dalla lunga intro strumentale di “Inclination”, che accumula la tensione, prima la rassicurante voce di Wilson, sorretta dal piano, ci inondi le orecchie. Un labirinto sonoro, all’interno del quale però l’idea di perderci può sembrare confortevole. La stessa sensazione si ha per brani come “Impossible Tightrope”, pezzo dall’inventiva mozzafiato, “Beautiful Scarecrow” con il suo massiccio utilizzo di elettronica nella base e la conclusiva “Staircase”, un viaggio da pelle d’oca che ripercorre tutte le sensazioni vissute durante l’ascolto dell’album. C’è spazio anche per brani che ci sembrano un ritorno a casa e che richiamano quanto fatto in passato con i Porcupine Tree: “What Life Brings”, con il suo incidere malinconico, ha atmosfere quasi floydiane e un assolo di tutto rispetto, mentre in “Rock Bottom” ritroviamo con piacere la voce cristallina di Ninet Tayeb.

Discorso a parte meritano il primo singolo “Economies Of Scales” costruita su un loop elettronico che richiama atmosfere ambient e trip hop e soprattutto la mastodontica title track, forse il brano più sorprendente del lavoro, un pezzo ambient di 10 minuti quasi interamente strumentale a cui abbandonare completamente il proprio essere.

Difficile descrivere a parole un lavoro del genere, tanta è la mole di elementi che lo compongono, tutti posizionati nel punto migliore. Un album che, nella sua complessità, riesce a catturare fin dalla prima volta, da ascoltare dedicando mente e corpo alla musica. Con “The Harmony Codex”, Steven Wilson mette un punto fermo nella propria carriera. Se il suo scopo, come lui stesso ha dichiarato, era raggiungere il culmine della creazione del suo universo musicale, poco da dire: il risultato è pienamente raggiunto.

Tracklist

01. Inclination
02. What Life Brings
03. Economies Of Scale
04. Impossible Tightrope
05. Rock Bottom
06. Beautiful Scarecrow
07. The Harmony Codex
08. Time Is Running Out
09. Actual Brutal Facts
10. Staircase

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