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dEUS – “How To Replace It”: il track by track della band

A dieci anni dall’ultima pubblicazione, finalmente tornano i dEUS con il loro ottavo album in studio “How To Replace It”, in uscita il 17 febbraio 2023 via [PIAS] Recordings.

Un album che si è fatto attendere, ma che senz’altro soddisferà i fan che hanno sentito la loro mancanza: è un disco totale, evoluto, ricco di influenze e di ospiti, cesellato nei minimi dettagli, umano, diretto.

La band belga si conferma un’eccezionale rappresentante della scena indie rock europea con un lavoro discografico che, in perfetto stile dEUS, oltre a fare da catalogo tra le molteplici influenze di ogni singolo membro della band, vuole anche parlarci a cuore aperto della rabbia, la paura, il desiderio di fuga e la difficoltà nelle relazioni, tutti temi che la pandemia ha portato in primo piano, rendendoli di primaria importanza nella nostra vita.

Abbiamo avuto il piacere di essere guidati all’ascolto in anteprima, con un track by track realizzato dalla band stessa, che vi riportiamo.

01.How To Replace It

«Era marzo 2020 e tutta l’Europa stava andando in lockdown – ci racconta Tom Barman a proposito del primo brano, che dà il nome all’intero disco – ero bloccato in studio con un ingegnere del suono, la musica di “How To Replace it” era in circolazione da un paio d’anni, ma alla fine ha preso forma in quel folle weekend del 12 e 13 marzo. Due giorni fatti di testi, strumenti, melodie, percussioni, cori, con quella sensazione di “che cazzo sta succedendo?»

02.Must Have Been New

«Gli accordi sono stati opera di Klaas Janzooms: un valzer. Una bella gatta da pelare perché ho pensato che potesse essere fantastico con la chitarra così melodica di Bruno De Groote. Avevo in mente il titolo “Must Have Been New”, dove uso “new” come una sorta di sinonimo di naive, ingenuo. Forse mi sono ispirato al titolo di Gil Scott-Heron, “I’m New Here”. Fondamentalmente, che tu abbia 20 o 40 o 60 anni, si può ancora essere ingenui, si può ancora essere colti di sorpresa da cose che si pensa di dover già sapere. È stato un brano difficile da finire strutturalmente, ma penso che l’abbiamo azzeccato. Penso che sarà una gioia suonarlo dal vivo».

03.Man of the House

«La linea di synth e le percussioni sono state portate da Sebastiaan Van Den Branden che non fa parte dei dEUS. Credo sia una delle prime volte in cui qualcuno al di fuori della band porta qualcosa. Un buon riff di synth, grande ritmo. È stato un buon lavoro congiunto. “Man of the House” per me parla dell’astuzia e della subdola dei “tech bros”, della grande tecnologia e di come cercano di attirarci con calorose promesse di connessione e di aiutare il mondo, mentre si rivelano un mucchio di capitalisti che vogliono solo avere una crescita fine a se stessa. Se leggi “La Macchina Del Caos”, un libro dell’anno scorso, vedi che tutti quegli algoritmi non servono solo a quella macchina da soldi, ma stanno effettivamente cambiando la psiche degli esseri umani e che attivano parti del cervello, che sono sempre state lì da milioni di anni. Questa non è cospirazione, questa è pura antropologia, credo. Comunque, consiglio di leggere quel libro. Non lo avevo ancora letto quando ho scritto i testi, era solo un’istintiva antipatia per questo tipo di ipocrisia, ovviamente anche la mia, se pensi che sto usando questa stessa tecnologia per comunicare con te e parlarti del mio lavoro. Ma credo che ci siano dei limiti. Non è una canzone di avvertimento di per sé o una canzone di odio. È solo una specie di pugno in faccia molto sarcastico, forse? Non lo so».

04. “1989

«Ho avuto questo titolo in mente per molto tempo perché è un anno importante per me, è l’anno in cui mio padre è morto, avevo 17 anni. È anche un bel numero e ho pensato che sarebbe stato adatto ad un testo. Questa è stata scritta in Portogallo dove vivo part-time, basata su una jam molto semplice della band e l’ho trasformata in, credo, una canzone pop. È la prima volta che canto da solo, il che è stato piuttosto eccitante per me perché non sapevo se ce l’avrei fatta. È bello fare qualcosa di nuovo dopo otto album, quindi è nuovo per me.
C’è un’incredibile serendipità legata alla canzone che ancora mi fa venire la pelle d’oca a parlarne. Lo studio in cui stavamo è in un piccolo villaggio di pescatori e dall’altra parte, che è fondamentalmente un garage trasformato in uno studio, c’era un pescatore che stava sistemando la sua rete. Era amichevole e abbiamo parlato, non parlava inglese, il mio portoghese deve ancora migliorare. Ogni volta che eravamo lì, veniva a trovarci e io stavo già scrivendo la canzone, avevo il titolo ma non ancora il testo, e un giorno il pescatore si presentò con una maglietta con sopra il numero 1989! Ne ho una foto. Ho guardato l’ingegnere, lui mi ha guardato e abbiamo semplicemente detto “Che cazzo”? Ripeto, non avevo ancora cantato il titolo, figuriamoci qualsiasi altro testo, sapevamo solo che si sarebbe chiamato 1989. Quindi questo è solo un piccolo aneddoto incredibile su questa canzone. La parte vocale è di Lies Lorquet, che ha anche partecipato a “7 giorni, 7 settimane” di Pocket Revolution e a “Eternal Woman” di Vantage Point, che ha una bella voce molto angelica e anche un’adorabile signora».

05. “Faux Bamboo”

«Anche “Faux Bamboo” è opera di Klass Janzoons, o per meglio dire la linea di synth. Per il testo mi sono ispirato, per ragioni che non so spiegare, allo stile “Hunky Dory” di David Bowie, in cui cita la mitologia e sembra proprio che stia viaggiando nel tempo, non hai idea di cosa diavolo stia parlando, ma suona alla grande ed è di mentalità aperta e di ispirazione.
Così, per qualche motivo, mi sono ritrovato in una città fiamminga del 1700 in una processione di ragazze e ragazzi, con le madri che guardano in disparte, e una figura matriarcale porta i bambini a fare una passeggiata. Forse in quel momento mi sono voluto occupare del ruolo della famiglia, di role model che forse si rivelano non essere quello che pensavi. Ho messo in discussione l’autorità, la sensazione di casa, il tutto sotto un grigio cielo fiammingo. Stéphane Misseghers, il nostro batterista, ne canta magnificamente il ritornello. “Bamboo” era un titolo provvisorio che abbiamo mantenuto. Non ha niente a che fare con la canzone o il testo, suona semplicemente bene».

06.Dream is a Giver”

«Questo brano si chiama così perché originariamente si chiamava “Dream Sequence #2”, dopo “Dream sequence #1” di “The Ideal Crash”, perché ho sognato questa canzone, ne ho sognato gli accordi. Sono il tipo di cantautore che non ha mai avuto una singola idea musicale senza uno strumento in mano ma mi sembra di sognare, ogni tanto, canzoni finite. Purtroppo non ne ricordo nessuna, a parte queste due. Ne ho suonato gli accordi ma alla fine è la band che gli ha dato una specie di atmosfera R&B, consentendomi di mantenere gli accordi ma portando la melodia in un’altra direzione. È una canzone molto personale. Parla del tradimento, molto da vicino, e della strana dinamica in cui qualcuno fa qualcosa di così orribile che ti senti male per lui. Anche se ne sei chiaramente la vittima, uno strano cocktail di colpa e rabbia».

07.Pirates”

«Questo brano è uscito da una jam, che all’inizio aveva una bella atmosfera da Velvet Underground con il caratteristico violino di Klaas Janzoons. Ho adorato l’atmosfera, la demo è venuta fuori abbastanza rapidamente. Anche se alla fine la canzone è uscita in maniera completamente diversa. Parla di desiderio, di quella voce odiosa che compare nella tua testa appena prima di andare a dormire, quando pensi a qualcuno che non ricambia il tuo amore. Una sensazione che purtroppo molti conoscono! “Pirates” per me ha una delle frasi chiave di tutto l’album: i pirati sono legati all’albero maestro ma stanno ancora cantando».

08.Simple Pleasures”

«Questo è il risultato di una jam tra me e CJ Bolland. Forse lo conosci per i Magnus, che si sono sciolti nel 2017. Forse è per questo che ha un sacco di bella produzione, loop, eccetera. Quando l’ho presentato alla band l’ha davvero adorato. Ha una grande batteria firmata da Steph. Penso che questa sia probabilmente l’unica canzone scritta veramente durante il Covid. Avevamo bisogno di una canzone più leggera, quindi sono felice che ci sia e sarà divertente suonarla dal vivo, spero che faccia ballare il pubblico».

09.Never Gonna Get You High”

«Anche questa è stata dura. Questo groove implacabile. Abbiamo provato a dargli molta dinamica, ma alla fine è andata meglio con un ritmo ostinato dal quale finisci per essere risucchiato. Per me è un po’ come la paura che un certo tipo di fascismo ritorni, e come quei tipi di idee politiche estreme non siano mai andate via, sono solo nascoste. Durante il Covid ho notato certi segnali di pericolo, e non sarò stato l’unico. Il vaccino, i metodi usati per gestire l’emergenza, a volte mi hanno fatto venire i brividi, anche se ovviamente è stato fantastico che la scienza abbia reso possibile accedere al vaccino, ma ci sono stati anche alcuni strani effetti collaterali. “Never Gonna Get You High” parla fondamentalmente di quella paura».

10.Why Think It Over Cadillac

«È una delle canzoni più leggere dell’album. Parla di cose di cui parlo spesso e su cui penso si basasse forse il rock’n’roll degli esordi, ovvero: Andiamocene da qui, cazzo! Andiamo!
Quindi niente di nuovo per me, niente di nuovo per la storia del pop, ma ho preso la Cadillac come una metafora per questa sorta di retorica old school, sai: usciamo baby, facciamolo, andiamo via. L’album aveva bisogno di qualcosa di leggero e credo che sarà molto divertente da suonare. La linea di base è di Alan Gevaert. È fantastica. È ciò che ha dato il via alla stesura della canzone, e non mi piacciono nemmeno le Cadillac, ma mi piace la canzone».

11.Love Breaks Down

«È stata l’ultima aggiunta all’album. È una canzone che avevo da un po’ di tempo, sapevo che aveva del potenziale, ma avevo trattato il conflitto relazionale, quindi ero riluttante ad avere un’altra ballad che parlasse di questo, così ho cercato di concentrarmi su qualcos’altro. Naturalmente avevo il titolo, “Love Breaks Down”, che è buono e che era così legato alla melodia, non l’avrei cambiato in “The Coffee Machine Breaks Down”! Così ho parlato del potere delle parole e del fatto che non si può rimangiare quello che diciamo. Anche il modo in cui in una coppia, in un’amicizia o in una situazione professionale, se non si sta attenti alle parole che si usano, si possono spingere quei limiti nella direzione sbagliata. È stata una storia difficile da finire, ma mi è piaciuto il modo in cui si è conclusa, è una canzone molto semplice. Come potete sentire».

12.Le Blues Polaire”

«L’ultima canzone dell’album inizia con un rumore. È nata da una jam. Alan ha suonato la chitarra e aveva un suono così magico che volevo usarlo e farci qualcosa. Così, come per la maggior parte dell’album, sono andato in ritiro con un ingegnere e ho iniziato a lavorarci ed è stato facile passare al francese: con l’inglese è molto più difficile parlare. Amo il francese, è una lingua bellissima e attiva una parte diversa del mio cervello. Adoro questa canzone, è una delle mie preferite. È davvero un tre atti epico. Abbiamo usato tre studi diversi per i suoni della batteria. È una cronaca quotidiana di una relazione romantica appassionata, ma destinata a fallire, dall’incontro, fino alla fine. Lies Lorquet canta il ritornello, insieme a me. Sarà un grande sandwich per noi dal vivo, vedremo come andrà a finire. Era un’ovvia ultima canzone. È un po’ epica e alla fine ripeto il titolo, ma lo cambio invece di “How To Replace It”, in francese diventa: Pas besoin de remplace (non c’è bisogno di sostituire)».

Tracklist

How To Replace It
Must Have Been New
Man Of The House
1989
Faux Bamboo
Dream Is A Giver
Pirates
Simple Pleasures
Never Get You High
Why Think It Over (Cadillac)
Love Breaks Down
Le Blues Polaire

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