Piatto ricco di pietanze varie in questo oscuro rendez-vous novembrino.

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Carnal Tomb – Embalmed In Decay (Testimony Records)

Con il loro terzo album “Embalmed In Decay”, il quartetto berlinese dei Carnal Tomb ci conduce per mano, ancora una volta, attraverso un morbosa odissea uditiva al fine di raggiungere gli abissi più profondi dei rituali di morte. Rispetto ai suoi predecessori, “Rotten Remains” (2016) e “Abhorrent Veneration” (2019), il disco non rappresenta un vero e proprio salto di qualità, bensì riflette uno sviluppo naturale dal punto di vista stilistico/compositivo, con i tedeschi  che dimostrano una sensibilità ancora maggiore per la costruzione di un sound capace di trascendere la brutalità arcaica di Autopsy, Grave e augusta compagnia, aggiungendo, a tali numi tutelari pur sempre attivo, sfumature provenienti dai vari Carcass, Entombed e Undergang. Il death metal vecchia scuola che informa i brani, a tratti intrisi di una crudeltà elementare, spesso si dirige verso territori più sottili, finanche proggy, come se i Bolt Thrower e i Cannibal Corpse, dopo una contesa esclusivamente muscolare, decidessero di sfidarsi a colpi di sudoku, utilizzando, dunque, anche un po’ di cervello. Marc Strobel, in virtù di una voce da uomo delle caverne appena incivilito, regala il giusto tono al tutto, per un disco da assaporare con la medesima voluttà che si prova degustando del sushi vecchio di un mese all’interno di un delizioso colatoio funerario. Bon appétit.

Tracce consigliate: “The Putridarium”, “Defiled Flesh”, “Cerebral Ingestion”

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Fuming Mouth – Last Day Of Sun (Nuclear Blast Records)

A volte, sono i momenti peggiori della vita che, alla fine, possono trasformarsi in qualcosa di speciale. Prima il full-length “The Grand Discent” (2019), poi l’EP “Beyond The Tomb” (2020), avevano creato un certo fermento in un sottobosco statunitense che attendeva il prossimo passo in studio dei Fuming Mouth per decretarne il definitivo “successo”. Ma quando il quartetto del Massachusetts stava per terminare gli ultimi preparativi per il secondo album, il chitarrista e cantante Mark Whelan ricevette la tremenda diagnosi di leucemia. E così, sotto l’influenza del pacchetto completo di chemioterapia e trapianto di midollo osseo, il leader della band decise di cambiare il soggetto, musicale e narrativo, di quello che, oggi, esce con il titolo di “Last Day Of Sun”, collegandolo alle paure sopraggiunte all’insorgere della malattia. Un lavoro nel quale il death metal di matrice svedese del combo a stelle e strisce, nel recente passato cosparso di crust e di un pizzico di hardcore,  si arricchisce di venature sludge responsabili di rallentare e inquinare  il ritmo di canzoni che trovano nella marcia cadenzata, a parte qualche detonazione vecchio stile, la propria ragion d’essere. Soluzioni da cui si intravede la necessità del gruppo di lasciar trapelare un’emotività nuova, figlia delle sofferenze patite dal mastermind e probabilmente preannunciatrice di una maturazione futura che esuli dalla pura e semplice violenza. Da seguire con attenzione.

Tracce consigliate: “Out Of Time”, “The Silence Beyond Life”, “Kill The Disease”

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Ild – Kvern (Vendetta Records)

Le black metal band più importanti che la contea norvegese di Vestfold Og Telemark abbia prodotto sinora rispondono ai nobili monicker di Emperor e Ildjarn. Nel 2020, tuttavia, una nuova creatura a nome Ild è emersa, per merito del polistrumentista e songwriter Øystein Horgmo, da quelle fredde lande, esordendo sulla lunga distanza l’anno dopo con l’ottimo “Fandens Lykteskjær”. Il solo project, tramutatosi nel 2022 in duo, grazie all’ingresso in formazione del drummer e tastierista Jaran Betten, proprietario, con il mastermind, dell’etichetta Likskue Productions, si rende, oggi, protagonista di “Kvern”, un secondo album che rappresenta una poetica esplorazione del lento mulino della vita e dell’inevitabilità della morte. Un racconto ipnotico e dalle cadenze in mid-tempo, che si snoda attraverso sei canzoni capaci di evocare i sibili eterei e inquietanti dei boschi scandinavi e il fascino senza tempo del metallo nero più underground, con suoni d’organo sparsi qui e là e fiotti di Djevel e primi Enslaved a corredo. Le meravigliose foto d’epoca che campeggiano sulla cover e all’interno del booklet, oltre a valorizzare graficamente il platter, conferiscono ulteriore eleganza a un viaggio onirico e spettrale in una natura contraltare e specchio dell’esistenza umana.

Tracce consigliate: “Den Sorte Knust”, “Opp I Røyk”, “Over Flammehavet”

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Left Cross – Upon Desecrated Altars (Profound Lore Records)

Composti da membri di Antichrist Siege Machine, Embra e Unsacred, i virginiani Left Cross dapprima esordirono con un EP, “Infernal Assault” (2015), pregno di un’ancestrale commistione di metallo della morte e crust punk, poi pubblicarono, nel 2016, altri due mini, “Servants Of Death” ed “Hell Is Hell”, che sembravano figli degli scarti di “In The Battle Is No Law”, battesimo sulla lunga distanza dei grandissimi Bolt Thrower. Un modello seguito nel full-length “Chaos Ascension” (2017), debutto rumoroso e accattivante che trasudava DM di inizio anni’90 in una forma sporca e grintosa, una formula lontana da quella che, oggi, udiamo nel secondo lavoro “Upon Desecrated Altars”, un compressore ai confini del war metal frutto, probabilmente, delle conseguenze emotive dell’emergenza pandemica e degli attuali conflitti che insanguinano l’Europa e il mondo. Un album la cui produzione volutamente soffocante, opera di Arthur Rizk e Dan Lowndes, stritola l’ascoltatore all’interno di una morsa nella quale il death, il black e il grindcore gareggiano a destrutturarsi a vicenda senza, però, rischiare di affogare in sé stessi, rivelando quelle influenze oceanico/canadesi – e un lieve afflato atmosferico – capaci di nobilitarne la bellicosa mistura. Vertiginoso e sinistro, il quintetto di Richmond promette di ridurvi in una poltiglia sanguinolenta.

Tracce consigliate: “Deity Of Molten Iron”, “Upon Desecrtaed Altars”, “Pyramid Of Conquered Skulls”

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Shylmagoghnar – Convergence (Napalm Records)

Da duo originario, gli Shylmagoghnar si sono ora ridotti a un progetto individuale, ma per il resto continuano a restare fedeli alla propria identità di sempre, ricca di fluttuazione stilistiche di grande pregio compositivo. Con “Convergence”, l’olandese Nimblkorg, orfano del compagno Skirge, pubblica, oggi, la terza e ultima parte di una trilogia i cui capitoli precedenti, “Emergence” (2014) e “Transience” (2018), trattavano dell’esistenza umana e dell’esplorazione del tempo e dello spazio. In questo nuovo capitolo, il protagonista del lungo concept deve affrontare il dramma della morte prima di entrare in una dimensione nella quale regnano pace e serenità, un viaggio fisico, emotivo e filosofico scandito da un progressive black metal tanto elegiaco ed epico quanto furioso e distruttivo e aperto alle influenze più diverse, dal death al power passando per l’heavy classico, la synthwave e la psichedelia. Un LP fine e impegnativo, dunque, ma che, nei suoi sessantasei minuti di durata, appassiona e fa riflettere a cagione delle varie sfumature narrativo/musicali presenti e la cui produzione, frutto dello studio casalingo del mastermind, riesce a rendere alla perfezione. Giù il cappello, sentitamente.

Tracce consigliate: “I Hear The Mountain Weep”, “Strata”, “The Sea”

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