L’attesa è quasi finita: dopo ben sette anni da “Dead To The World” sta per uscire “Left”, il nuovo album degli Helmet. Per l’occasione abbiamo avuto l’opportunità di fare una lunga e piacevole chiacchierata con il frontman Page Hamilton, che, oltre a raccontarci i retroscena di questo nuovo lavoro, ha discusso a lungo della propria idea di arte e di musica, andando a ripescare i ricordi legati agli album che, negli anni ’90, hanno plasmato il concetto di alternative metal, come “Meantime” e “Betty”. Non manca qualche anticipazione riguardo alle due date italiane della band, che si terranno a Mezzago e a Ravenna il 27 e il 28 novembre.

Ciao Page, benvenuto su SpazioRock! Come stai?

Ciao! Bene, grazie! Al momento siamo in tour negli Stati Uniti, come vedi sono sul bus.

E come sta andando il tour?

Alla grande! È un tour particolare per noi, perché non stiamo suonando in città molto grandi come New York o Miami, ma in posti più piccoli. Quindi magari ci sono anche persone che non ci hanno mai visto, perché alla fine veniamo davvero poco spesso in questi posti. Quindi è una bellissima esperienza.

A breve uscirà il vostro nuovo album “Left”. Non pubblicate album in studio da diversi anni, addirittura dal 2016. Come mai c’è stata questa pausa così lunga?

Me lo chiedono in tanti, ma la verità è che non ho una risposta precisa [ride, ndr]. Negli ultimi anni siamo stati molto in tour, abbiamo fatto anche tour celebrativi, come quello per i 30 anni di “Meantime” e altri. Poi oltre a questo c’è stata la pandemia, ma a dire il vero non ho scritto quasi nulla durante il quel periodo, non è stato un buon momento, sono anche stato ricoverato. Quindi alla fine forse la colpa è mia [ride, ndr]. Poi c’è anche da dire che personalmente vedo la scrittura di canzoni nuove come una cosa diversa dal prendere il tuo strumento e suonarlo. Quello puoi farlo in qualsiasi momento, ma per scrivere invece hai bisogno di esperienze, di qualcosa che fai nella tua vita. Ad esempio, se avessi scritto musica prima della pandemia ovviamente sarebbe stata diversa da quella che ho scritto ultimamente. Anche se sono stati comunque anni bui, ad esempio pensa al fatto che Trump sia stato eletto Presidente. Se un razzista omofobo viene eletto significa che c’è qualcosa di grave in un Paese.

Parlando invece dell’album in termini di suoni, mi piace molto il fatto che è chiaramente un album degli Helmet, ma non suona per niente vecchio. Insomma, lo stile è quello di una band alternative metal degli anni ’90, ma rivisto sotto dei suoni più moderni. A questo proposito come avete affrontato il processo di registrazione?

Inizialmente devo dire che durante l’ultimo periodo una cosa che ho fatto è stato prendere nuovamente lezioni di chitarra, ma non solo, Volevo rimescolare le carte, imparare nuovamente a scrivere in un modo diverso, diventare un musicista migliore. Oltre a ciò mi sono anche dedicato alla produzione e ho prodotti alcuni lavori di diverse band. Quindi l’essermi concentrato su musica altrui e tutti il resto mi ha aiutato molto poi quando mi sono messo a scrivere, è stato come essere investito da un flusso creativo. Quindi tutto quello che ho fatto è stato molto utile, in certi casi ho anche dovuto lavorare sotto pressione perché c’erano tempistiche molto strette e anche questo mi ha aiutato poi mentre lavoravo a “Left”. Poi comunque è stato importante avere intorno persone fidate, che conosci bene e con cui sai che puoi lavorare bene. E a questo proposito credo davvero che questo album, più di quelli precedenti, spieghi bene il concetto di band. Negli anni ’90, dopo “Meantime” le relazioni con i compagni di band non erano così positive, spesso eravamo in disaccordo su cosa fare e come farlo, mi ricordo che ad un certo punto c’era anche stata una discussione sul fatto che dovessimo fare canzoni country, cosa che secondo me non aveva senso. Mi piace il country, ma questo non significa che debba suonarlo io. Quindi all’epoca le pressioni venivano ovunque, da fuori e anche da dentro la band stessa, mentre ora è tutto l’opposto. So di essere circondato di persone di cui posso fidarmi e questo ovviamente ha avuto un risvolto molto positivo sull’album.

MALIBU, CA July 12, 2016 Helmet, rehearsal

A proposito di questo, hai raccontato dei problemi durante gli anni ’90, ma anche dopo la reunion la line up è stata parecchio instabile, mentre ora siete gli stessi da più di 10 anni. Cosa è cambiato e quanto è importante tutto ciò, nonostante tu rimanga l’autore principale?

Una cosa importante è il fatto che tutti i miei compagni di band, oltre a suonare, sono bravi autori e cantano. E soprattutto si vede davvero quanto si impegnano, dedicano tutto loro stessi alla musica. Negli anni mi è capitato di vedere band che neanche si esercitano o suonano insieme e poi magari compongono le solite quattro cose, mi pare assurdo, Io dopo tutti questi anni mi esercito ancora tutti i giorni, suono jazz, non troppo tempo fa ho scritto una canzone per l’orchestra di una scuola di Memphis. Insomma, amo la musica in tutte le sue forme. E avere intorno persone che intendono la musica nello stesso modo aiuta davvero sotto tutti i punti di vista.

Come primo singolo avete deciso di pubblicare “Holiday”, che è anche la prima canzone dell’album. Credo che sia ottima per introdurre il lavoro perché condensa tutti i suoi aspetti e c’è anche un bell’assolo. Ci sono altri motivi per cui l’avete scelta?

Purtroppo io non sono proprio capace a fare queste scelte [ride, ndr]. Quindi insomma, ho chiesto a un sacco di persone diverse quale dovesse essere il singolo. Ovviamente ognuno mi ha dato risposte diverse, ma presa una lista di canzoni comune ho detto “Va bene se pubblichiamo prima questa, poi quest’altra e così via?” E così è stato. Non sono adatto a prendere queste decisioni, io scrivo e suono, mi piace tutto l’album. Infatti in questo tour stiamo suonano 5 canzoni da “Left”, ma per quando arriveremo in Europa probabilmente saranno 6 o 7.

Come stavamo dicendo, si tratta di album molto diretto e coeso, con l’eccezione di “Tell Me Again”, che è una ballata acustica, senza batteria e distorsioni. Cosa puoi raccontarmi di questo pezzo?

Per me è un pezzo molto emozionale, perché è partita da un litigio che ho avuto con un amico, una cosa che mi ha ferito molto. Invece per quanto riguarda la musica è partito tutto da un mio studente di San Diego. Si chiama Santiago, ha solo 14 anni ma so già che diventerà un mostro con la chitarra, è ad un livello veramente avanzato per l’età che ha. Insomma, voleva imparare “Friends” dei Led Zeppelin, che è un pezzo con un’accordatura molto particolare, quindi ho iniziato a suonarla e per fortuna l’ho imparata prima di rompermi il dito perché altrimenti sarebbe stato impossibile. Poi dopo un po’ di tempo quella chitarra era ancora nel soggiorno, l’ho presa per suonare un giorno e mi sono reso conto che era ancora accordata in quel modo strano. Quindi ho improvvisato un po’ e immediatamente e venuta fuori quella melodia. Insomma, tutta la canzone a quel punto è uscita davvero in poco tempo. Poi ho provato diverse cose, ho provato a metterci la distorsione con diverse chitarre elettriche, ho provato la batteria, ma mi piaceva di più così. “Led Zeppelin III” è un album molto acustico e un disco che è stato molto importante per me. Oltre a ciò volevo anche mettere gli archi, ma è stato difficile perché saremmo andato fuori budget. Insomma, si tratta di un album che sto pubblicando, quindi deve essere fatto come voglio. Quindi ho parlato con un musicista molto talentuoso con cui ero entrato in contatto quando avevo lavorato con l’orchestra della scuola e ha fatto un paio di arrangiamenti per gli archi, ma non era esattamente quello che volevo. Quindi alla fine ho scritto le parti e preso un violinista, che ha portato in studio altri musicisti e l’abbiamo registrata. È stato anche motivo di orgoglio per me, perché uno di loro ha detto che gli piaceva particolarmente quello che avevo scritto [ride, ndr]. Insomma, è una canzone molto emozionale che mi piace molto, vedremo se suonarla dal vivo, potrei suonarla sia con una chitarra acustica che con quella elettrica senza distorsioni.

Tra l’altro è un pezzo che spezza molto bene l’ascolto! Invece, parlando del tour, sarete in Europa tra non molto e suonerete anche in Italia a Mezzago e a Ravenna. I fan italiani non vedono l’ora di vedervi, è passato parecchio dall’ultima volta.

Sarà fantastico! Suoneremo un po’ tutto dalla nostra discografia, quindi ci saranno i brani di “Left”, ma anche pezzi più vecchi come “Taken” o “Your Head”. Stiamo cercando di allargare il numero canzoni che suoniamo, non è stato semplice riprendere dopo la lunga pausa della pandemia, ma ormai siamo di nuovo in forma. E soprattutto, suoneremo parecchio! A me piace suonare, non parlare. Non mi piace quando ad un concerto gli artisti si fermano per parlare ad ogni canzone. Siamo lì per la musica! E poi in ogni caso non avrei niente di interessante da dire [ride, ndr].

LeftHelmet

Durante la tua carriera hai lavorato con molti musicisti e una delle tue ultime collaborazioni (anche se sono passati 9 anni) è “All For Nothing”, con i Linkin Park. Che ricordi hai di quella esperienza?

Sono persone fantastiche, è stata una bella esperienza. Ho lavorato in studio con Mike Shinoda e prima ha voluto sapere come sono abituato a lavorare. Quindi poi abbiamo lavorato sull’arrangiamento e registrato in presa diretta, insieme a Rob, il batterista. Quindi il pezzo poi si è sviluppato così. Loro di solito lavorano in modo diverso, nel senso che prima scrivono attraverso software e dopo suonano. È stata una bella esperienza, molto interessante e mi è piaciuto lavorare con loro. Infatti poi la scomparsa di Chester mi ha davvero addolorato, non potevo crederci. L’avevo incontrato qualche altra volta ed era una persona fantastica, quindi ci sono rimasto davvero male. Personalmente è stata una cosa simile ad affrontare la scomparsa di Kurt Cobain, anche con lui negli anni precedenti mi ero visto in diverse occasioni, tra tour e tutto il resto. È orribile pensare a quanti amici ho perso nel corso degli anni.

Sì, si tratta di figure che diventano punti di riferimento per intere generazioni. Ci sono schiere di persone che ancora adesso si identificano nelle canzoni di Kurt o Chester e quindi è normale che quando accada una cosa simile un sacco di gente stia male a riguardo.

Sì, sono d’accordo, è sempre una cosa difficile da affrontare. Per i fan e ovviamente anche per la band. Sinceramente non so cosa stiano facendo adesso i Linkin Park…

Ufficialmente non si sono sciolti, ma non hanno più fatto nulla insieme. Solo Mike sta continuando a fare musica, per ora.

Ecco, sì, è ovviamente una situazione molto delicata.

Già… Passando ad argomenti più felici, come hai accennato prima, di recente “Meantime” ha festeggiato 30 anni. Si tratta di un album a suo modo seminale, uno dei lavori che ha dato origine al movimento alternative metal e che ha influenzato un sacco di band diverse. Che ricordi hai di quel periodo della tua vita?

Una cosa che vale ancora adesso e che per me era già importante all’epoca è che dovessimo suonare come noi stessi e come nessun altro. Ho sempre cercato di non fossilizzarmi su una stessa cosa e di non compiacere troppo una scena musicale specifica. Il mio obiettivo nello scrivere i pezzi non è mai stato quello di piacere a milioni e milioni di persone e questo approccio è rimasto lo stesso oggi come nel 1991. Il giudizio delle persone mi interessa relativamente. Ovviamente sono grato ai fan, per il fatto di fare musica e poterla suonare in giro per il mondo da più di 30 anni, ma il punto è che non potrai mai fare contenti tutti. Quando abbiamo pubblicato “Betty”, qualcuno diceva “Eh, questo non è Meantime”, quando abbiamo pubblicato “Aftertaste” siamo passati a “Eh, questo non è Betty” e così via. Poi tre anni dopo “Aftertaste” mi è capitato di parlare con il cantante di un’altra band e mi fa “Questo album è fantastico, è il migliore della vostra carriera”. Quindi insomma, ognuno ha le sue opinioni e spesso queste opinioni cambiano anche con il tempo. Poi ogni band ha il suo pubblico e il suo modo di lavorare. Mi ricordo che una volta, a proposito dei Linkin Park, stavo parlando con Mike e mi ha detto “Quando eravamo giovani il primo album ha fatto così tanto successo che abbiamo deciso di farne un altro molto simile”. Noi abbiamo fatto l’esatto opposto dopo “Meantime”. Abbiamo deciso di fare “Betty” e mi ricordo che la label ci disse “È un bel disco, ma ci aspettavamo un altro tipo di canzoni”. Ma quelle canzoni le ho già scritte, perché dovrei scriverle di nuovo? Non riesco neanche a guardarmi lo specchio e a dirmi che farò una nuova versione di una cosa che ho già fatto prima. Non serve. Alla fine è rock n’ roll, bisogna sorprendere le persone, scuoterle! Ci sono persone che quando abbiamo pubblicato “Holiday” mi fanno “Bel pezzo, ma perché hai dovuto metterci così tante volte la parola fuck?” A parte il fatto che ci sarà tre volte nel testo, ma poi il punto della canzone è proprio prendere in giro il modo di fare di chi usa quel linguaggio, non mi pare così difficile [ride, ndr] Ad un certo punto canto “Just another soulless clichè”. Ma poi quando l’ho scritta ovviamente non stavo pensando alla programmazione in radio, solo che a quanto pare stava andando bene, quindi per metterla in rotazione su una radio in UK mi hanno chiesto di cambiare quelle parole nel testo, quindi ho anche dovuto aggiungere qualche nuova parola per sostituire quelle che contenevano “fuck” [ride, ndr]. Non lo so, il punto della questione per me è trovare sempre nuovi modi che sconvolgere le persone, cose che negli anni ’90 ad esempio hanno fatto Marilyn Manson o Aphex Twin (che mi piace tantissimo), ma ovviamente non nello stesso modo. Per il resto io scrivo la musica che suono e deve piacere a me. Poi sono contento se piace anche agli altri, ma nel momento in cui qualcuno viene a dirmi che fa schifo mi interessa relativamente, perché so che non è così. Aspetta, mi sono appena reso conto che la batteria del mio tablet si sta esaurendo. Dammi un attimo cerco un caricatore qua in giro…

HelmetBand

Nessun problema, non c’è fretta!

Sì, io tra non molto ho il soundcheck, ma abbiamo ancora un po’ di tempo [ride, ndr]. Comunque stavo dicendo, se vogliamo intendere il rock come una forma d’arte, allora bisogna approcciarsi in quel modo, come se stessi lavorando ad un pezzo orchestrale e così via. Se pensi alle grandi band che hanno fatto la storia del rock come ad esempio i Beatles, David Bowie, i Led Zeppelin, gli AC/DC c’è sempre un approccio completo di quel tipo verso la musica. Poi gli AC/DC li adoro, perché sono unici e se ne fregano di tutto il resto. Quando qualcuno è andato a dire ad Angus che avevano fatto 11 album tutti uguali, lui ha risposto “No, ne abbiamo fatti 12” [ride, ndr]. Per le lezioni di chitarra uso anche diverse parti ritmiche degli AC/DC, perché il punto è che la gente pensa che siano semplici, ma intanto nessuno lo fa come loro. Io riesco a suonare gli accordi, ma il suono e tutto quanto è un’altra cosa. Ma poi se guardi quello che fanno dal vivo sono incredibili, Malcolm inseriva un sacco di variazioni e hanno un groove incredibile. Li adoro, loro e gli ZZ Top, un’altra band che secondo molti suonano musica semplice, ma non è così. La gente dice “Sì vabbè li so fare pure io quegli accordi”, ma non riesce a suonarli in quel modo.

Stiamo comunque parlando di band leggendarie, che hanno uno status intoccabile e riconosciuto da quasi tutti. Questo è anche indipendente dal fatto che poi una canzone piaccia o meno, il riconoscere la grandezza e l’impatto che una band ha avuto va oltre questo discorso.

Sì, vero. E a questo proposito, l’altro giorno mi hanno detto una cosa che mi ha reso molto felice. Stavo facendo un’intervista per una rivista inglese e questa persona mi raccontava che un sacco di musicisti con cui ha parlato negli anni citavano gli Helmet tra le influenze principali. Quasi non ci credevo, è una cosa molto bella. Immagino che sia perché siamo onesti in quello che facciamo. Poi non facciamo sold out a Wembley, ma alla fine non è mai stato quello il nostro obiettivo. Sono contento dei fan che abbiamo, hanno un sacco di passione e a volte mi piace pensare che siano migliori degli altri [ride, ndr]. Insomma, pochi ma buoni.

Sì, a proposto di questo discorso, sarà anche vero che non avete una fanbase come quella dei Metallica o degli AC/DC, ma sicuramente siete uno dei punti di riferimento per quanto riguarda gli anni ’90. Se parliamo di band come gli Helmet o i Refused, non suonano negli stadi, ma ci sono schiere di musicisti e di band che ancora adesso iniziano a suonare grazie a voi e credo che questo sia un grande riconoscimento.

Sì, è vero, è una bella cosa. Tra l’altro adoro anche i Refused, “The Shape Of Punk To Come” è uno dei miei album preferiti.

Sì, lo è anche per me, è incredibile.

Mattia, mi spiace andare, ma è arrivata l’ora del soundcheck, quindi dobbiamo salutarci. Grazie mille per questa chiacchierata!

Grazie a te, è stato un piacere averti qui.

Anche per me, ci vediamo a novembre!

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