Prevalgono i rappresentati dell’estremo del continente americano in questa seconda metà di luglio più calda  dell’Inferno.

Belphegor – The Devils (Nuclear Blast Records)

Difficile reperire una band che si sia identificata così intimamente con Satana come i Belphegor, tanto a fondo da lambire, soprattutto nella parte centrale della carriera, la carnevalata gratuita, considerato il sound stereotipato e tematiche da sex eploitation movie di terza categoria. Con “Conjuring The Dead” (2014) prima e “Totenritual” (2017) poi, gli austriaci hanno aggiustato un po’ il tiro, restituendoci dei dischi sì diabolici, ma più sobri e controllati, oltre che tecnicamente migliori rispetto alle abitudini. La creatura oggi nelle mani pressoché esclusive di Helmuth e Serpenth giunge, con “The Devils”, al dodicesimo album in studio e lo fa irrobustendo la scia compositiva degli ultimi lavori, qui grazie anche al virtuoso contributo dietro le pelli di David Diepold (Cognizance, Obscura). Il classico blackened death rozzo e volgare caratteristico del gruppo si ammanta di ritualismo ed epicità, due elementi che, già intravisti nei vecchi “Goatreich – Fleshcult” (2005) e “Pestapocalypse VI” (2006), non avevano ancora ricevuto il giusto spazio in un singolo platter, mentre la potente produzione di Jens Bogren riesce a conferire un risalto “sinfonico” all’insieme. Sempre e comunque malvagi, sia quando sparano a raffiche che durante i molti momenti di sapore liturgico.

Tracce consigliate: “Totentanz – Dance Macabre”, “Glorifizierung Des Teufels”, “Kingdom Of Cold Flesh”

Castrator – Defiled In Oblivion (Dark Descent Records)

In attività dal 2014, ma soltanto con una demo e un EP dallo stesso titolo nel carnet, i Castrator hanno impiegato davvero parecchio tempo per riuscire a esordire sulla lunga distanza; per una volta, tuttavia, l’atto del procrastinare si è rivelato utile al gruppo al fine di affinare e rodare la propria proposta. “Defiled In Oblivion”, rappresenta, dunque, il primo frutto di una band tutta al femminile – evento più unico che raro in ambito death metal -, coltivato in pieno stile OSDM, con un piede nei Cannibal Corpse e l’altro nei Morbid Angel, senza dimenticare un spruzzata dai Deicide che non guasta mai come condimento. Ovviamente le statunitensi non cercano di riscrivere il libro del metallo della morte né di condurre il genere in territori sperimentali, bensì si accontentano di offrire all’ascoltatore, con gusto e una dose non trascurabile di mestiere, un sound classico, ben radicato negli anni ’80 e ’90, con un corona mai troppo pedissequa di calchi e citazioni. Di rilievo la selvaggia perfomance vocale di Clarissa Badini e il lavoro alle asce di Kenny Orellana, per un debutto che, se non fa gridare al miracolo, lascia comunque sazi e soddisfatti, tenendo quasi del tutto fede a un monicker di genere torvo e sinistro.

Tracce consigliate: “Dawa Of Yousafzal”, “Voices Of Evirato”, “Purge The Rotten (Ones)”

Krisiun – Mortem Solis (Century Media Records)

Quattro anni dopo l’uscita di “Scourge Of The Enthroned”, i sudamericani Krisiun tornano, redivivi, dalle fosse infere dalla loro città natale Ijui, situata nello Stato del Rio Grande do Sul, con il dodicesimo opus in studio, “Mortem Solis”, un album death arcigno e truculento, benché non del tutto sordo alle variazioni. Uno degli aspetti peculiari della band carioca risiede nella saldezza della formazione, praticamente inalterata dal 1990, anno in cui i tre fratelli Kolesne diedero avvio alle ostilità, proponendo un metallo della morte tanto istintivo quanto feroce, sublimato dall’uscita dello storico esordio “Black Force Domain” (1995). Mentre da un lato una collaborazione così lunga ha causato una certa ripetitività della formula, dall’altro l’inevitabile sintonia è stata senza dubbio un grande valore durante i lustri, e ciò appare evidente nel nuovo lavoro, nel quale i brasiliani bastonano e seducono con una comunità d’intenti davvero notevole. Nonostante i riff duri come cemento e una sezione ritmica più fragorosa di un frantoio, infatti, l’act non disdegna aperture groovy all’interno di una scrittura complessiva se non elegante quanto l’artwork, perlomeno ordinata e che sa quando affondare il colpo o trattenerlo. Lontani dalla brutalità sgangherata di un tempo, ma altrettanto e crudelmente efficaci.

Tracce consigliate: “Serpent Messiah”, “Tomb Of The Nameless”, “War Blood Hammer”

Panzerfaust – The Suns Of Perdition – Chapter III: The Astral Drain (Eisenwald)

Relegati per anni nell’underground più profondo malgrado una serie di lavori di tutto rispetto, anche se non eccezionali, i Panzerfaust diedero una sterzata alla propria carriera quando la label tedesca Eisenwald li mise sotto contratto, patrocinando l’uscita della prima tranche dell’epopea “The Suns Of Perdition”. Probabilmente neanche i canadesi stessi avrebbero immaginato una crescita di consensi così massiccia da rendere ansiogena l’attesa per la pubblicazione di un nuovo album, e questo “The Suns Of Perdition – Chapter III: The Astral Drain” onora appieno le aspettative, risultando forse il miglior lavoro sinora realizzato dal quartetto di Mississauga. Di minutaggio maggiore rispetto ai due capitoli precedenti, il sesto full-length dei nordamericani continua ad abbeverarsi al black metal esperito da Kriegsmaschine e Mgła, canalizzandone la proposta attraverso pezzi avvolgenti e oppressivi, debitori dell’industrial degli uni e dell’ipnotismo degli altri, e inseriti entro una vena progressive condita da un pizzico di sludge atmosferico. Clima cupo, melodie lugubri e ritmi downtempo, per un lavoro che si costruisce una sua soprannaturale sacralità senza frantumare crani né dilaniare corpi, ma viaggiando tra gli abissi apocalittici di un mondo in rovina. Il (post) Metal Noir Québécois colpisce ancora.

Tracce consigliate: “Death-Drive Projections”, “B22: The Hive And The Hole”, “Tabula Rasa”

Sedimentum – Suppuration Morphogénésiaque (Me Saco Un Ojo Records/Memento Mori)

Dopo un paio di demo e altrettanti split capaci di destare grande attenzione nell’underground più melmoso, per i Sedimentum è arrivata finalmente l’ora di un full-length di debutto che va a confermare le buone qualità messe in mostra in questi due anni. Chiunque abbia una minima dimestichezza con le sonorità estreme, si accorgerà della natura abietta dell’album dei canadesi prima che parta la musica in esso contenuta. Da un titolo, “Suppuration Morphogénésiaque”, poco consono a fraintendimenti di sorta, al grottesco artwork di Brad Moore, dal monicker stesso della band che richiama – e non soltanto per la comune desinenza – i Mortiferum e altre amenità del settore, alla presenza in line-up di U.N., già in forza come Cobra ai connazionali Outre-Tombe, tutto procede in una chiara e determinata direzione. Il quartetto québécois, dunque, non può che rifilarci un death metal vecchia scuola umido e fetido, immerso in atmosfere così claustrofobiche e irrespirabili che i brani minacciano di collassare sotto il proprio stesso peso, causando rovina e desolazione geologica intorno a essi. Un diluvio di sporcizia raccapricciante, tipico dei roster di Me Saco Un Ojo Records e Memento Mori, sotto cui pullulano melodie capaci di carpire, in maniera subdola e malefica, l’anima dello sventurato ascoltatore: derivativi, eppure quanta personalità!

Tracce consigliate: “Krypto Chronique II”, “Excrétions Basaltiques”, “Un Grotesque Panorama”

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