In uno dei periodi più gelidi dell’anno, le maestà del cosmo oscuro si ergono tenebrose.

ACOD – Cryptic Curse (Les Acteurs De L’Ombre)

I marsigliesi ACOD pubblicarono soltanto lo scorso settembre l’eccellente “Fourth Reign Over Opacities And Beyond”, una delle migliori release francesi dello scorso anno in ambito estremo e, su scala internazionale, tra le opere più compiute per quanto concerne il mondo del blackened death metal. Il disco ha superato così di slancio il valore dei loro quattro LP precedenti (“Point Zero”, “First Earth Poison”, “II The Maelstrom”, “The Divine Triumph”) che il gruppo sembra ora deciso a seguire la strada appena intrapresa anche dal punto di vista visivo, con rappresentazioni grafiche di stampo mitologico/infernale ammiccanti l’immaginario dantesco. Il trio torna a stretto giro di boa grazie a “Cryptic Curse”, un breve EP che continua il discorso dell’ultimo full-length attraverso un sound sporco e grintoso arricchito da gustosi arrangiamenti sinfonici, quasi a riesumare sia i primi Dissection, quelli cinici e gelidi di “The Somberlain” (1993), sia l’epica dei Dimmu Borgir di “Stormblåst” (1996), oltre a lievi sfumature di Gothenburg sound. Una band, dunque, in crescita esponenziale, che, messo da parte lo stile à la Aura Noir degli esordi, oggi si pone come una delle realtà più intriganti e sfaccettate della galassia extreme.

Tracce consigliate: “The Hourglass Slave”, “The Mask Of Fate”

Bodyfarm – Ultimate Abomination (Edged Circle Productions)

Per il loro quinto platter “Ultimate Abomination”, i Bodyfarm non soltanto hanno trovato una nuova label, visto l’accasamento con la norvegese Edged Circle Productions, ma anche una diversa impostazione di line-up. Se il vecchio drummer Quint Meerbeek è stato sostituito da David Schermann e Bram Hilhorst continua a imbracciare la chitarra, ora spetta all’ex bassista Alex Seegers suonare l’altra ascia, mentre Ralph De Boer, oltre a gestire la voce, prende l’onere del quattro corde. Una serie di novità capaci di portare aria fresca alla proposta della band sia in termini di aggressività e potenza sia a livello di songwriting, oggi molto più vario ed elaborato rispetto al passato. Accanto al solito metallo della morte schiacciasassi, pullulano, infatti, pezzi carichi di groove, vicini a suggestioni death’n’roll che richiamano le gesta degli Entombed di “Wolverine Blues” (1993), benché gli olandesi restino comunque ancorati a quell’old school ricco di legami con il thrash. Assoli sofisticati, qualche influenza sludge e certo ritmo galoppante à la Bathory completano un disco tradizionale, eppure aperto a stimoli diversi, per un gruppo magari di seconda fascia rispetto ai conterranei Asphyx, eppure così deliziosamente brutale da non potervi resistere a lungo.

Tracce consigliate: “Torment”, “Blasting Tyranny”, “Charlatan Messiah”

Carnosus – Visions Of Infinihility (Autoproduzione)

Il technical death, più di qualsiasi sottogenere metal esistente, sfida i migliori sforzi del linguaggio per definirne i contorni e il secondo full-length dei Carnosus,“Visions Of Infinihility”, come altri LP dalle medesime caratteristica, non sfugge a tali difficoltà di categorizzazione. La band svedese usa ogni mezzo a propria disposizione per documentare l’ascesa di un impero totalitario deciso a ripopolare il mondo con una razza di esseri umani simili a cadaveri, mettendo sì a dura prova il sistema nervoso centrale dell’ascoltatore, ma compensandolo attraverso piacevoli effetti collaterali. Il quintetto di Örebro mescola un po’ dell’esuberanza e dell’abilità degli Archspire alle articolate tendenze thrash degli ultimi Revocation, mentre le linee di chitarra solista evocano il lavoro di Ryan Knight dei The Black Dahlia Murder in album come “Ritual” (2011) ed “Everblack” (2013).  Gli assoli distorcono e trasmutano sé stessi, piegandosi in forme sorprendenti mentre sfrecciano oltre le influenze del prog e del classic rock, fungendo da vettori bussola di un sound che gioca sulla dinamica della scomposizione per giungere a una nuova sintesi di certo non sorda agli ambiti musicali attigui. Le ingenuità del debutto “Dogma Of Deceased” appaiono un lontano ricordo, perché oggi gli scandinavi viaggiano su marce diverse: occorre etichetta adeguata.

Tracce consigliate: “Ossein Larcenist”, “Fermenting Blastospheres Of Future Putridity”, “Devourer Of Light”

Häxanu – Totenpass (Amor Fati Productions)

Sono ormai passati più di due decenni da quando il black metal europeo invase stabilmente gli Stati Uniti, fondando colonie musicali mai, tuttavia, raggrumatesi in una scena vera e propria, con molti artisti che preferirono scegliere la strada individualistica della one man band. Alex Poole rappresenta una delle eccezioni a tale assunto, visto sia il ruolo fondamentale da lui rivestito in due gruppi statunitensi piuttosto noti come Krieg e Chaos Moon sia il suo coinvolgimento all’interno di numerosi progetti, tra cui quello degli Häxanu – con il vocalist L.C. – sembra decisamente il meno effimero. Nel 2020 venne rilasciato un solido debutto dalle tematiche occulte come “Snare Of All Salvation”, album che soffriva, però, di una produzione parecchio scadente; oggi è la volta del nuovo “Totenpass” e a questo giro le cose suonano ben diverse, soprattutto per un lavoro dietro la console estremamente professionale. DSBM e metallo nero atmosferico si crogiolano nella propria differenza azzerando le distanze, con chitarre e tastiere che, invece di evocare il medesimo mood epico dell’esordio, cercano nel melodismo malinconico la chiave consolatoria di un disco in realtà profondamente crudo e dispotico. Grecia e Norvegia convivono, dunque, in un’opera di comunque chiara provenienza a stelle e strisce che divora oscurità a ogni minima nota.

Tracce consigliate: “Death Euphoria”, “Sparagmos”, “Totenpass”

Memoriam – Rise To Power (Reaper Entertainment)

Il supergruppo death metal britannico Memoriam, sin dalla sua formazione nel 2015, è stato da molti considerato il successore spirituale dei leggendari e da tempo dismessi Bolt Thrower, vista la presenza al microfono di Karl Willetts, con l’ex Benediction Frank Healy al basso, Scott Fairfax dei Massacre alla chitarra e Spikey T. Smith dietro le pelli a sostenerne le evoluzioni vocali. Lo stile in cui il quartetto solitamente traffica e l’immaginario bellico che infestano le varie liriche richiamano da vicino le imprese della vecchia band del singer inglese, ma, nonostante il pedigree inattaccabile, i risultati raramente hanno davvero risposto alle attese, complice anche un ritmo di pubblicazione, dal 2017 a oggi, a dir poco frenetico. Questo nuovo “Rise To Power”, infatti, rappresenta il quinto lavoro sulla lunga distanza in appena sei anni, una frenesia produttiva che ancora una volta nuoce alla salute complessiva di un songwriting che, quantomeno, riesce a evitare il cliché del low and slow grasso e funereo, accostandosi a un death-doom sempre cupo, ma piuttosto melodico, già sperimentato nello scorso “To The End” (2021). Niente di straordinario, beninteso, eppure l’ascolto resta gradevole, come se ci si trovasse rinchiusi in un bunker sotterraneo, al riparo provvisorio da bombe e cingolati.

Tracce consigliate: “Total War”, “I Am The Enemy”, “This Pain”

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